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Premessa: non ho visto “La grande bellezza”, quindi questo discorso è basato su discorsi astratti e generali sul cinema, su Paolo Sorrentino e su come la gente viva gli eventi che capitano nel mondo. Tra l’altro mi sono rifiutato di vederlo su Canale 5 ieri sera, perché conoscendo Sorrentino posso supporre con un certo grado di sicurezza che una trasmissione su una rete commerciale ne avrebbe ucciso ritmo e narrazione, non solo con le pause pubblicitarie, ma per il fatto di posizionarle solo su base oraria e senza nessun rispetto per le cadenze narrative.

“La grande bellezza”, e direi proprio Sorrentino in generale, sono soggetti a reazioni forti. C’è chi il film lo ha amato, chi lo ha trovato insopportabile, chi lo ha trovato carino ma inferiore agli standard del regista napoletano, chi lo ha trovato lento; un po’ come tante altre pellicole, da “Le conseguenze dell’amore” a “Il divo”, da “L’uomo in più” a “This must be the place”. Il che è di per sé un fatto positivo: non amo il plebiscito, qualunque cosa piaccia a tutti si espone alla fortissima criticità di essere e raccontare alla gente quello che la gente vuole e vuole sentirsi dire – quindi, in ultima analisi, di non essere nulla di innovativo o di originale.

Inoltre Paolo Sorrentino non è un regista che può essere giudicato su parametri come la lentezza del film o la storia: un film non è una storia. Se uno vuole raccontare una storia scrive un libro. Capisco che molti autori cinematografici e parte del pubblico siano ancorati al concetto di film come romanzo con immagini, ma l’utilizzo della macchina da presa, della recitazione, della fotografia, degli effetti sonori e della musica permette molto altro. Pellicole come “Brazil” (1985), “Blade runner” (1982), “Apocalypse now” (1979), “Matrix” (1999) hanno creato un’atmosfera, un immaginario, un modo di intendere e vedere la realtà, ed anche di raccontarla, presentarla e farla vivere. Sorrentino in questo, visionario e quasi psichedelico, è parecchie lunghezze avanti rispetto a qualunque regista italiano, ed è molto più vicino a personaggi come Gilliam, Amenábar, Audiard e Kar Wai. Può piacere e non piacere, ma dal punto di vista, diciamo così, tecnico, o magari realizzativo, un film di Sorrentino è molto diverso, più complesso ed enormemente più moderno di buona parte di quelli di tanti suoi colleghi.

Inoltre, l’Oscar è un premio. Uno solo, a fronte del mare di riconoscimenti cinematografici che vengono distribuiti nel mondo, e dovrebbe far riflettere il fatto che esista l’Oscar per il film straniero: non esistono il Leone d’Oro, la Palma d’Oro o l’Orso d’Oro per il film straniero. L’Oscar è un premio americano, dato dagli americani, ed è rivolto principalmente al cinema mainstream, ossia a quello che piace alla gente e che viene realizzato con logiche di mercato, tanto è vero che non è contestuale alla presentazione dei film: un film che vince a Cannes può essere un flop, mentre un flop non può andare agli Oscar. Quindi rassegniamoci: “La grande bellezza”, quali che siano i suoi meriti ed i suoi demeriti, ha vinto semplicemente perché in America è piaciuto alla critica ed ha avuto un certo successo.

Chiudo con una considerazione: leggo da molte parti confronti con l’ultimo film italiano che ha vinto l’Oscar, “La vita è bella”. Al di là della mia opinione sulla pellicola (scarsa), ricordo che anche Benigni fu premiato per lo stesso motivo, ossia perché critica e pubblico americani l’avevano gradito (e il carro armato statunitense del finale ci aveva messo del suo), mentre evidentemente un’opera, uscita lo stesso anno, come “Train de vie” era allora troppo fuori dagli schemi di presentazione dell’olocausto per poter essere apprezzata dalla gente. Faccio anche presente che nel frattempo sono passati 15 anni. Capisco che l’Italia non se ne sia accorta, ma il mondo sì: “La vita è bella” era un film degli anni ’90, e nemmeno particolarmente moderno; “Train de vie” per l’epoca era innovativo; “La grande bellezza” è un film del 2013, e come tale è stato premiato.