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Cos’è una canzone? La definizione più generica dice che è un brano musicale per voce accompagnata da strumenti. Definizioni più strutturate incardinano la canzone all’interno di forme compositive, utilizzando il concetto di canzone strofica (ripetizione di un solo periodo musicale in cui il testo viene variato di volta in volta) e di canzone con strofa e ritornello (alternanza di due periodi, di cui generalmente uno varia il testo e l’altro no). La caratterizzazione diventa più aperta, ed allo stesso tempo più specifica, introducendo ulteriori concetti come il bridge (formalmente una transizione tra due temi, nella musica leggera il termine spesso descrive un tema, talvolta chiamato anche special, distinto da strofa e ritornello, solitamente con cambio di tonalità), l’introduzione, l’assolo ed il finale.

La musica cosiddetta leggera, il pop, il rock, il folk, ma anche il blues ed in qualche verso il jazz, si basano sul concetto di canzone. In realtà tantissime canzoni pop, rock, folk, blues e jazz sono tutt’altro che canzoni. Qualsiasi brano strumentale non è una canzone; brani con frasi musicali sviluppate in modo rettilineo e non ciclico, o alternati in modo non regolare, non rispondono alla definizione canonica; alcuni pezzi, più strutturati e basati su un intreccio di temi più complesso, sono formalmente diversi dalla forma canzone, e rispondono ai canoni, ad esempio, della suite; brani in cui la voce non è lo strumento principale sono difficilmente compatibili con la definizione; canzoni che sono parte di lavori più complessi, concept album ed opere rock, non dovrebbero nemmeno essere considerate composizioni isolate.

Una grossa percentuale della produzione rock e pop, dei 13 anni che vanno dalla pubblicazione di “Surrealistic pillow” dei Jefferson Airplane e “Freak out” dei Mother Of Inventions al canto del cigno della stagione progressive rappresentato da “The wall” dei Pink Floyd, è caratterizzata da tutt’altro che canzoni: brani estesi, pezzi con canoni sinfonici, composizioni libere, sperimentazioni con intrecci di temi musicali e unità ritmiche, assoli interminabili, fughe e via dicendo. Eppure, quando si parla di rock tutto è canzone. Suite da 20 minuti, pennellate di raccordo da 30 secondi, brani strumentali, pezzi basati su sviluppi di frasi musicali privi di qualunque struttura definita, composizioni basate su ritmi multipli: tutto è “canzone”.

Eppure nessuno, fatta eccezione per qualche direttore d’orchestra o qualche musicista di alto livello, questiona l’utilizzo del termine: “The dance of eternity” dei Dream Theater e “New manner” di Beatrice Antolini sono canzoni come “Pride” degli U2. Formalmente, non lo sono: è un utilizzo improprio del termine, identifica quella che ad oggi è una struttura mutevole, varia e di fatto onnicomprensiva, che rappresenta il grosso della comunicazione musicale contemporanea. Nel mio piccolo io utilizzo parole come “pezzo” o “brano” per identificare ciò che non è canzone. Possiamo anche coniare un termine nuovo, ma il concetto di fondo non cambia.

Invece, sono giorni che sentiamo una quantità enorme di tromboni sostenere in modo apodittico che quelle di Bob Dylan, premio Nobel per la letteratura nel 2016, non sono poesie e pertanto Bob Dylan non fa letteratura. Il punto è lo stesso: come in musica si utilizza il termine “canzone” per descrivere un brano che non è una canzone come “After the ordeal” (è strumentale, anche se è basato sull’alternanza di strofa e ritornello) perché è il vocabolo che identifica meglio la famiglia di composizioni di cui fa parte, così in letteratura si utilizza il termine “poesia” per identificare le composizioni di Robert Zimmermann. Magari l’utilizzo è improprio (e allora non voglio più sentire chi se ne lamenta chiamare “One of these days” una canzone), magari possiamo chiamarle liriche, testi, composizioni brevi. Ma dire che non sono letteratura perché non rispondono a determinati standard, e dunque che è letteratura solo ciò che è definito oggi come letteratura, significa vivere dentro una prigione dorata ed elitaria, in cui la Nona di Beethoven non avrebbe dovuto essere chiamata sinfonia ed in cui masturbazioni tecniche contano di più della comunicazione e del messaggio che un’opera tenta di veicolare.

La disgrazia è che siamo pieni di gente del genere.