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~ "Non ci sono tante pietre al mondo!"

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Il buco nel tabellone

19 lunedì Giu 2017

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Angelique Kerber, Bacsinszki, Bois de Boulogne, carattere, Daria Gavrilova, emotività, emozioni, Francia, freddezza, Gavrilova, Grande Slam, Halep, Internazionali di Francia, Jelena Ostapenko, Kerber, Kontaveit, Maria Sharapova, Ostapenko, Parigi, perseveranza, Pliskova, pressione, Radwanska, Roland Garros, Serena Williams, Sharapova, Simona Halep, Svitolina, tennis, terra battuta, terra rossa, Williams, Wozniacki, WTA

È passata una settimana da quando Jelena Ostapenko si è ritrovata al numero 12 della classifica WTA dopo aver vinto a sorpresa gli Internazionali di Francia di tennis, battendo in finale la favorita Simona Halep, quindi proverò a fare alcuni ragionamenti a mente fredda.

Comincio tuttavia col mettere le mani avanti: Simona Halep è una delle mie protégée tennistiche, assieme a Daria Gavrilova e prima di Agnieska Radwanska, Maria Sharapova e Caroline Wozniacki. Jelena Ostapenko, assieme ad Anett Kontaveit e a Daria Kasatkina, è il talento in ascesa che guardo con più simpatia e curiosità. Detto questo, chiarita senza ulteriori dubbi la mia aperta faziosità, passiamo al nocciolo della questione.

Si è detto da più parti che, a causa della situazione contingente del tennis femminile, questo Roland Garros avrebbe potuto vincerlo chiunque ed in effetti così è stato. Per prima cosa, contesterei questa affermazione: in assenza di Serena Williams e Maria Sharapova, con la Kvitova e la Azarenka al rientro dopo tanto tempo, con la Kerber in condizioni approssimative e la Muguruza che non ha capitalizzato la vittoria a Parigi del 2016, l’inizio di stagione è stato per così dire incerto, è vero. Tuttavia, nella stagione su terra una giocatrice ha registrato il seguente ruolino: al pomeriggio del 9 giugno, semifinale a Stoccarda, vittoria a Madrid, finale a Roma persa per infortunio e finale a Bois De Boulogne avendo battuto durante il percorso Svitolina e Pliskova, le due giocatrici che avevano totalizzato più punti durante il 2017. Io a questa serie di risultati non so che altra definizione dare se non “dominio”: Simona Halep ha dominato la stagione sul rosso – avrebbe potuto vincere di più, certo, ma è sempre stata la giocatrice da battere.

A Parigi il 10 giugno è stata battuta da Jelena Ostapenko. Ora, probabilmente la Halep ha sofferto di ansia da prestazione e ha sottovalutato non tanto l’avversaria, quanto la sua potenza, pensando che fare il muro di gomma contro una ventenne che picchia e basta sarebbe stato sufficiente a mandarla al manicomio, ignorando però quanto la giovane lettone picchiasse forte e fosse capace di perseveranza. Il punto però è che Jelena Ostapenko il suo capolavoro non l’ha fatto in finale, una finale che comunque si è andata a prendere con grinta e merito: l’ha fatto per arrivarci.

È partita da numero 47 del mondo. Era nel sedicesimo di finale della Kerber, che però ha pensato bene di farsi eliminare al primo turno. Di conseguenza, a partire dal terzo turno la Ostapenko ha incontrato in sequenza di avversarie sulla carta favorite per ragioni di classifica e pedigree, ma non troppo: tutte tenniste che una giovane in ottima forma, in estrema fiducia e scema abbastanza da essere irresponsabile e dunque difficile da scalfire, avrebbe potuto battere: nell’ordine, Lesia Tsurenko, Samantha Stosur, Caroline Wozniacki, Timea Bacsinszki.

Ha ignorato per ben 4 partite la crescente pressione, esercitata molto più dall’interno, dall’osservare che l’impresa in effetti si poteva portare a termine, che da un mondo che avrebbe senza dubbio considerato normale e comprensibile una sconfitta contro qualunque delle sue avversarie. E ci vuole davvero tanta, tanta freddezza per affrontare prima un’ottima tennista in fase calante di carriera sapendo che ce la puoi fare e se ci riesci vai dritta ai quarti di uno slam, e vincere; poi una ex numero uno del mondo che per tanti motivi è alla tua portata, con l’idea che se la batti te ne vai alle semifinali del Roland Garros, e vincere ancora; infine una ex semifinalista di Parigi, numero 30 del mondo e come tale del tuo livello, sapendo che puoi vincere, sapendo che la finale degli Internazionali di Francia è lì, alla tua portata, ma prima devi giocare una partita al massimo, e riuscendoci.

La Ostapenko ha indubbiamente sfruttato una moria delle vacche nel tabellone, ma il buco era lì per tutte, e lei è stata l’unica capace di reggere la pressione di sapere che in fondo, partita dopo partita, ce la poteva fare, tanto che alla fine ce l’ha fatta – non a raggiungere la finale contro la 3 del mondo e favorita del torneo, ma a vincerla. Ora deve confermarsi: ecco, se c’è qualcosa che mi fa pensare che in qualche modo ce la potrà fare sono la freddezza e la consapevolezza con cui ha affrontato e battuto due avversarie alla sua portata al suo primo quarto ed alla sua prima semifinale slam.

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San Valentino

14 martedì Feb 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera

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14 febbraio, amore, cinema, coppie, coppiette, donne, festa degli innamorati, fiction, innamoramento, letteratura, musica, personaggi, persone, san Valentino, sport, tennis

San Valentino è la festività più irritante dell’anno ed oggi, oltre alla solita irritazione per il vedere coppiette dappertutto, c’è anche un altro motivo di pessimismo cosmico che mi fa affrontare la giornata con un atteggiamento poco conciliante. Per questa ragione, dedico la festa degli innamorati ad una serie di persone, personaggi ed affini, tutti rigorosamente di sesso femminile, che hanno rivestito o rivestono un ruolo importante nel determinare la persona che sono.

  • Smilla Qaavigaaq Jaspersen – per il suo cinismo ed il suo amore per la verità, venuti molto prima dei suoi emuli mainstream tipo il dottor House;
  • Jennifer Ellison – per le tette;
  • Grimes – ho un amico che mi dice che sono un hipster perché la ascolto, ma non mi interessa perché lei è la migliore;
  • Luna Lovegood – perché se fossi stato a Hogwarts mi avrebbe fatto perdere la testa;
  • Victoria Lloyd – perché il paradiso è un luogo dove lei canta per me;
  • Chiara Gamberale – perché “Le luci nelle case degli altri” è un capolavoro e domani pomeriggio me lo farò autografare alla libreria IBS Libraccio a via Nazionale;
  • Ani DiFranco – per avermi spiegato cosa sono la lotta, gli ideali e la libertà, anche se io ci ho messo un po’ troppo a capire;
  • Idgie Threadgood – perché è stata uno dei primi amori veri della mia vita e mi fa ancora male lo stomaco quando rivedo “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”;
  • Sarah McLachlan – per avermi insegnato che si può essere dolci senza essere sdolcinati, anche se ci riescono in pochi;
  • Simona Halep – perché è una tennista irritante, mentalmente fragile e tatticamente incomprensibile, ma la sbatterei contro qualsiasi superficie adatta all’uopo;
  • Kate Bush, Elizabeth Fraser, Lisa Gerrard – perché senza di loro non ci sarebbero i tre quarti delle vocalist e delle cantautrici che amo;
  • Bjork – perché fa parte di questi tre quarti, ma è talmente brava da assorbire qualunque qualità e cancellare tutti i difetti;
  • Amélie Poulain – perché dopo aver restituito la scatola di ricordi scappa invece di compiacersene;
  • Lucy Liu – perché, quando compare sullo schermo, identificazione e sospensione dell’incredulità spariscono di colpo ed ho occhi solo per lei;
  • Yuja Wang – perché è capace di rendere l’ascolto di una sonata di Chopin o di un concerto di Rachmaninov un’esperienza erotica;
  • Isabel Allende – perché ha scritto “Eva Luna”;
  • Eva Luna – perché è la donna più affascinante, pazzesca e profonda della letteratura contemporanea;
  • Helen Marnie – per un amore artistico che oramai ha più di 15 anni ed è un sovrappensiero che mi accompagna stabilmente;
  • Léa Seydoux – perché è la donna più bella dell’umanità, e perché non si è mai tirata indietro quando c’era da mostrare il corpo alla macchina da presa;
  • Lady Lamb – perché ho ancora le cicatrici nei posti dove mi ha colpito quando ad Amsterdam ha passato un’ora a strapparsi l’anima dal petto e a lanciarla al pubblico;
  • Charlotte Gainsbourg – perché il suo nome dovrebbe essere inserito nel vocabolario come sinonimo di fascino;
  • Nathalie (Le Invasioni Barbariche) – perché è splendida, infelice, sconfitta ed autodistruttiva;
  • Hiromi Uehara – perché non c’è nessuno al mondo suona il pianoforte come lei, e se c’è non mi interessa;
  • Daria Gavrilova – perché riesce ad essere sexy mentre gioca a tennis, e perché è “good from behind”;
  • Nathalie Giannitrapani – perché è una gran figa, ha vinto X-Factor, è andata a Sanremo, ma fa musica indie come dice lei: una speranza per l’umanità.

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Il ritorno del Re

29 domenica Gen 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera

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2017, ATP, Aus Open, Australian Open, Australian Open 2017, brividi, emozioni, Federer, leggenda, mito, Nadal, Rafael Nadal, Roger Federer, sport, tennis, Wawrinka

Quando l’estate scorsa Roger Federer, dopo l’eliminazione in semifinale a Wimbledon, dichiarò che si sarebbe preso un periodo di pausa per rimettersi a posto fisicamente, perché doveva pensare al prosieguo della sua carriera, l’abbiamo pensato tutti: “quale prosieguo?”

Aveva appena perso sulla sua erba londinese, quella dei 7 titoli, di cui 5 consecutivi, dell’ultima vittoria Slam (nel 2012) e dell’ultima finale (nel 2015, persa con Djokovic dopo aver giocato alla pari due set su quattro), contro un tizio che aveva avuto come unico merito quello di tirare più forte di lui e di essere più giovane di 9 anni. Aveva quasi 35 anni, una carriera di record avviata verso il tramonto, era costretto a rinunciare alle Olimpiadi, uno dei pochissimi trofei (individuali) che mancano nella sua bacheca, poi agli US Open ed al finale di stagione, con conseguente caduta fino al numero 17 del ranking ATP. L’idea che sarebbe rientrato a livelli anche soltanto medio-alti era poco più che una pia speranza, anche per i tifosi più convinti.

L’annuncio del rientro ad inizio 2017, l’anno dei suoi 36 anni, con la partecipazione alla Hopman Cup, sapeva a sua volta di mani avanti – un torneo amichevole per divertirsi e saggiare il proprio livello, affrontato con qualche grandissimo sprazzo ma una continuità di gioco molto approssimativa. Poi la partecipazione agli Australian Open, l’inizio stentato con una vittoria contro un qualificato, in 4 set dopo aver perso il primo, condita da momenti di grande tennis: i risultati di un giocatore discreto, o di un nobile in decladenza.

E poi, Thomas Berdych, testa di serie numero 10, disintegrato in tre set come se fosse uno di livello inferiore, come ai bei tempi. E poi, Kei Nishikori testa di serie numero 5, battuto in 5 set dopo una sfida epica, e l’idea che non fossero soltanto attimi di grande tennis ma ancora un grande tennista iniziava a far capolino, mentre gli attuali imperatori del circuito pagavano l’onda lunga di un finale di 2016 combattuto allo spasmo ed uscivano prima di iniziare la seconda settimana. La semifinale con Wawrinka, il compagno di coppa Davis che dal Wimbledon 2012 ha vinto 3 slam diversi, uno all’anno, giocando con un’intensità pazzesca. Altra maratona, all’inizio del quinto Roger sembrava non averne più, ed eccolo invece imporsi 6-3, vincere con la testa molto più che col fisico.

E la finale con il rivale di sempre, il Nadal del parziale di 24-13 negli scontri diretti. Primo set comodo, secondo set perso male; terzo set vinto giocando un tennis stellare, quarto perso con un break decisivo e lo spagnolo che rintuzzava i tentativi di rimonta; e poi il quinto, iniziato un break sotto, e tutti abbiamo pensato che era andata così, grandissimo ma tradito dall’età e dal periodo di inattività. E poi le palle break, e finalmente una trasformata, dopo 3 ore e mezza di battaglia si va sul 3-3 e si ricomincia, con lo spettro della prosecuzione ad oltranza. 4-3 comodo e poi il clamoroso break: 5-3. Il Re, a 35 anni e 6 mesi, dopo sei mesi di inattività ed il sospetto di essere arrivato al capolinea, va a servire per la vittoria; basta questo per avere i brividi, vedere la faccia di Roger Federer e sotto la scritta “serving for the Championship”. 15-40, due palle per un contro-break che avrebbe steso una mandria di bufali; annullate, 40-40; vantaggio interno, doppio fallo, anzi no, ma gran brutto errore non forzato; ace e vantaggio interno, vincente.

Vincente? No, fermi tutti, Nadal chiede la verifica. Ha una faccia tipo “tanto, che mi costa?”, ma la verifica va fatta ed il colpo era effettivamente dubbio. Il replay mostra che la palla ha toccato la riga.

La palla ha toccato la riga! Il Re, la Leggenda, il Vecchietto, dopo 17 tornei del Grande Slam, tutti e 4 almeno una volta, dopo 27 finali Slam, dopo 302 settimane da numero 1 del mondo, dopo 1086 match vinti da professionista, di cui 306 in tornei Slam, dopo 6 mesi di inattività a 35 anni suonati, è campione degli Australian Open. È in lacrime lui al centro del campo, e sono in lacrime io davanti allo schermo del computer.

Dopotutto, c’è un motivo se tutti quelli che a luglio scorso hanno pensato “quale prosieguo?”, ed oggi sono felicissimi di vederselo ricacciato in gola a racchettate da uno dei più grandi campioni sportivi di sempre, l’hanno pensato comodamente seduti sul loro divano.

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Diritti civili e diritti civili di parte

24 martedì Gen 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera

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Adinolfi, diritti, diritti civili, diritti degli omosessuali, diritti umani, discriminazione, discriminazioni, disuguaglianza, donna, equità, fascismo, femminismo, femministe, immigrati, LGBT, libertà, libertà civili, matrimonio egualitario, omosessuali, parità, parità di genere, PD, politica, razzismo, Salvini, sorveglianza di massa, Stati Uniti, uguaglianza

Un sottile brivido lungo la schiena mi coglie ogni volta che sento personaggi di varia natura ed estrazione parlare di diritti civili di qualcuno. Diritti civili degli omosessuali, dei neri, dei musulmani, delle donne, degli immigrati, degli italiani e via discorrendo. In discreta parte dei casi, chi li menziona è in buona se non ottima fede e certamente animato da buoni se non ottimi propositi, ma purtroppo in questo caso la forma è importante e qualcuno mi dovrebbe ricordare com’è fatta la strada che porta all’inferno.

I diritti civili non sono un costrutto di parte: sono un concetto universale. Essere favorevole ai diritti civili vuol dire essere favorevole ai diritti civili di tutti e, se da un lato è ovviamente necessario battersi perché determinati gruppi di persone abbiano accesso ad alcuni diritti inalienabili, dall’altro non bisogna mai, mai, mai dimenticare il quadro d’insieme. Perché il problema non sono i diritti delle donne o dei gay, il problema è che a donne e gay siano garantiti pari diritti, ma parimenti che questi diritti comprendano tutte le necessarie libertà civili.

Altrimenti si finisce come la pletora di esaltati del PD, che con la mano destra, in parte giustamente, festeggia l’introduzione delle unioni civili tra omosessuali, mentre con la sinistra priva i lavoratori del diritto a non essere licenziati per giusta causa o ad un salario dignitoso. Oppure si finisce come Barack Obama, che pubblicamente festeggia la decisione della Corte Suprema di imporre il matrimonio egualitario in tutti gli Stati Uniti, ma da dentro la Casa Bianca aumenta la sorveglianza di massa, avalla le torture di Guantanamo e autorizza droni a compiere omicidi mirati in giro per il mondo – e se sono un omosessuale afghano brutalizzato nella base cubana per semplici dicerie, l’idea che se fossi in Alabama potrei sposare un uomo è davvero consolante.

Nessuno che si proponga di limitare le libertà civili della popolazione, o di una parte di essa, può dirsi un sostenitore dei diritti civili. L’alternativa è che tutti lo siano. E ci sono due tipi di persone che si battono per i diritti civili di parte: gli ipocriti e gli opportunisti. Io non vorrei mai, ad una manifestazione contro la violenza sulle donne, una persona che avalla la violenza in altre forme, tipo quella delle forze dell’ordine, che inevitabilmente finirà per coinvolgere anche le donne; non vorrei mai, ad una manifestazione per l’accesso dei gay ai diritti civili, una persona che vuole limitare i diritti civili dell’intera popolazione, limitazione che finirà per abbattersi anche sui gay.

La libertà di manifestare senza essere pestati dalle forze dell’ordine e l’accesso ad un salario dignitoso non sono privilegi: sono anch’essi diritti civili. Una donna che viene malmenata durante una carica della polizia invece che dal compagno e guadagna 300 euro al mese come il collega maschio può essere contenta di non essere vittima di violenza e disparità di genere, ma alla fine della storia è sempre in ospedale e sotto il salario di sussistenza, e sempre a causa della privazione delle libertà civili; forse vive in un mondo dove c’è meno disuguaglianza, sicuramente non vive in un mondo più equo, ancora più sicuramente vive in un mondo in cui i suoi diritti civili in quanto essere umano vengono calpestati. L’emancipazione della donna non potrà mai passare per la riduzione dei diritti civili degli esseri umani nel loro complesso, chi crede una cosa del genere sta semplicemente dall’altra parte della barricata.

L’idea che i diritti civili di una parte debbano andare a discapito di quelli di un’altra e l’idea che il riconoscimento dei diritti civili ad un settore della popolazione abbia un costo in termini collettivi sono la base del fascismo e del razzismo. Insisto: tantissime persone che si battono per i diritti civili di questo o quel gruppo sono in buona se non ottima fede. Purtroppo però altrettante non lo sono: per questo le parole sono importanti.

Ci si batte per i diritti civili in quanto tali. Punto. Magari un’istanza alla volta, ma non bisogna mai confondere l’istanza momentanea con l’obiettivo di fondo.

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La triste parabola

13 venerdì Gen 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Un mondo di cialtroni

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carta stampata, cialtroni, diritti, editoria, fallimento, giornalismo, giornalisti, governo, Gramsci, informazione, L'Unità, mainstream, Nicodemo, PD, politica, potere, Renzi, Rondolino, Sergio Staino, servilismo, social media, Staino, stampa, televisione

La notizia in questi giorni è che L’Unità è di nuovo in gravissime difficoltà economiche e non sta uscendo nelle edicole. Visti l’atteggiamento ed i contenuti, trovarlo sorprendente è come minimo fuori luogo. Un buon esempio della situazione si è avuto durante la campagna referendaria, quando i sostenitori del Sì erano in televisione ad insultare gli avversari praticamente di continuo e spadroneggiavano sui social media, per cui un giornale che faceva esattamente la stessa cosa, con gli stessi argomenti, un’arroganza se possibile ancora maggiore ed un atteggiamento servile nei confronti di chi occupava materialmente la comunicazione mainstream insopportabile, era ad essere gentili superfluo.

Infatti L’Unità non vende. Ora, ci si potrebbe soffermare sulla triste parabola del giornale fondato da Antonio Gramsci, per decenni quotidiano del principale partito di opposizione, fieramente comunista, trasformato in un organo di stampa del principale partito di governo, atto a magnificare provvedimenti che tolgono diritti ai lavoratori tipo il Jobs Act. Oppure si potrebbe impostare un discorso sull’altrettanto mesta, e sostanzialmente parallela, parabola di Sergio Staino, che ora, dopo aver condotto il quotidiano sotto terra con una direzione squallida ed adulatoria, va dal capo a chiedere l’elemosina.

Ma parliamo d’altro. Io personalmente non verserò una lacrima per l’eventuale chiusura di L’Unità e sono fortemente contrario a qualunque operazione di salvataggio, in particolare a quelle con ipotetici soldi pubblici. Il motivo pratico è che L’Unità è un giornale di partito, un partito tutt’altro che povero, se gli iscritti vogliono avere un megafono se lo paghino e, se non se lo possono permettere, si arrangino. E poi c’è un motivo teorico.

La libertà di pensiero è un diritto inalienabile. La libertà di espressione, all’interno del vincolo della responsabilità personale di fronte alla legge ed alla Costituzione antifascista, altrettanto. Avere un pulpito invece è un privilegio e, sinceramente, non sono per niente favorevole a concederlo a servi, valletti e lacché del potere, né a squadristi fascistoidi stile Rondolino e Nicodemo, che invocano il pestaggio dei manifestanti contro il governo, mentre i loro padroncini li spogliano di diritti fondamentali e a loro volta li insultano e li sbeffeggiano. E certamente non voglio contribuire a concederlo loro con i miei soldi.

Un giornale del genere certamente non è di pubblico interesse. Non ha nemmeno mercato, come chiunque sarebbe in grado di capire a maggior ragione nel momento in cui l’oratoria del capo è palesemente ed apertamente rivolta al fantomatico “uomo della strada”, che in Italia i quotidiani non li ha mai letti, ed è ripetuta urbi et orbi dalla gran parte dell’informazione televisiva. Se chi lo dirige non è in grado di, o più realisticamente non ha il coraggio per e non è autorizzato a, prendere una direzione diversa per rimanere in piedi e preferisce continuare a sdraiarsi di fronte all’editore sperando poi che questi lo finanzi indefinitamente, può tranquillamente finire a zampe all’aria senza che se ne senta la mancanza.

Questa storia per cui qualsiasi foglio di carta stampata è di per sé un arricchimento deve finire. Anzi, ce ne sono alcuni di cui è meglio liberarsi il prima possibile.

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Astrologia

25 mercoledì Mag 2016

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Un mondo di cialtroni

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astrologia, astronomia, BCE, cialtroni, cose di lavoro, crisi, data science, data scientist, econometria, economia, Europa, Germania, lavoro, metodo scientifico, oroscopo, previsioni statistiche, recessione, Renzi, Schaeuble, scienza, scienza dei dati, Statistica

La nostra società si basa sull’oroscopo. Non in senso letterale, ma di approccio all’esistenza.

Prendiamo l’economia. La Lehman Brothers è fallita quasi 8 anni fa. Quando è fallita, erano mesi che giravano avvoltoi sulla finanza internazionale, quindi possiamo dire che l’economia europea ha vissuto quasi 9 anni di difficoltà, che nei paesi del sud sono stati devastanti sotto tutti i punti di vista ed in quelli del centro-nord hanno avuto comunque gravi conseguenze, soprattutto in termini di aumento delle diseguaglianze e di un movimento generale volto alla riduzione dei diritti civili per facilitare la produzione di reddito.

In questi otto anni, pletore di economisti e statisti spalleggiati da sedicenti guru dell’analisi economica hanno proposto interventi e soluzioni, fatto previsioni ottimistiche e dato del disfattista a chiunque fosse anche solo perplesso, sulla base di calcoli e modelli matematici complicatissimi, basati su ipotesi come minimo discutibili. Gli interventi e le soluzioni sono sempre risultati inutili se non dannosi, le previsioni ottimistiche sono sempre prima state riviste al ribasso, poi smentite dai fatti, ma gli economisti hanno sempre trovato il capro espiatorio, sono sempre stati capaci di dire cosa ha impedito ai loro modelli di funzionare – di solito il fatto che le loro ricette non sono state applicate con la dovuta attenzione.

Gli astrologi fanno esattamente lo stesso, solo che costano molto di meno. Se invece di rimuovere il dannoso, populitsta, ipocrita e per giunta autoritario, Matteo Renzi per mettere su un altro fantoccio di Unione Europea, BCE e Germania coi suoi modellini giocattolo che non servono a niente, mettessimo su uno nato sotto il segno del Leone in un momento in cui Giove si trova nella medesima costellazione, l’effetto sarebbe esattamente lo stesso: nessuno. Ma almeno saremmo consapevoli dell’inutilità della manovra, non ci aspetteremmo il deus ex machina e non avremmo Schaeuble che sponsorizza soddisfatto la macelleria sociale e la migrazione di manodopera qualificata da sfruttare a basso costo in Baviera dicendo che così l’economia si rimetterà sicuramente in moto.

Prendiamo il mio ambito professionale, quello che si chiama “data science” anche se quasi nessuno di quelli che ci lavorano ha la minima idea di cosa sia e come funzioni una scienza. Le aziende hanno a disposizione quantità sconfinate di informazioni, che la potenza computazionale attualmente disponibile permette di analizzare. Il problema è che nessuno è davvero in grado di produrre una procedura scientifica su dati del genere e nessuno è davvero in grado di dare una lettura ad output incoerenti e complicatissimi, ma questo in ambito business è inaccettabile, come è inaccettabile che la scienza richieda tempo, sia fallibile ed a volte non consenta di giungere a dei risultati utili e spendibili.

Quindi si procede ad usare quantità sconfinate di codici informatici e procedure di calcolo strutturate prive di qualunque replicabilità al di fuori dell’ambito specifico (e talvolta inutili anche al suo interno a causa delle pessime caratteristiche dei dati) per tirare fuori risultati che non hanno nessuna validità pratica, e li si presenta con visualizzazioni accattivanti per suggerire soluzioni semplici a problemi di complessità inaudita e previsioni di processi intricati ed interdipendenti in due semplici valori. Soluzioni che invariabilmente si rivelano inefficaci e previsioni che vengono prontamente disattese, e anche qui il bravo data scientist è sempre in grado di trovare una giustificazione validissima per i miseri fallimenti del suo lavoro. E a volte no, a volte sostiene di averci preso contro qualsiasi evidenza, tanto oramai tenere il punto contro l’universo fenomenico è diventata una prassi comune.

Per quelle che sono la validità e la vita media delle proiezioni “statistiche” fatte da pletore di analisti senza nessuna conoscenza scientifica, tanto varrebbe fregarsene e dire che l’azienda l’anno prossimo crescerà perché Saturno sarà nel Sagittario e il suo fondatore è nato ad inizio gennaio, e che il prossimo autunno sarà il momento ideale per una fusione societaria, perché nel Sagittario ci transiterà Venere. Scientificamente parlando, si tratta di previsioni di nessun supporto analitico e di ancor minore utilità. Quindi non vedo la differenza.

Che amarezza.

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Il vocalist

13 venerdì Mag 2016

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Fingersi esperti di musica

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Anneke Van Giersbergen, Bono, Bono Vox, Brendan Perry, cantanti, canto, canzoni, Dead Can Dance, Fleetwood Mac, Lhasa, Linsey Buckingham, Marcela Bovio, Marie Fisker, Mick Jagger, musica, Nick Cave, passione, Purson, Rolling Stones, U2, Victoria Lloyd, vocalist, voce

Un mio amico ha deciso di iniziare a prendere lezioni di canto: è intonato e ha tanta voce, quindi faccio da ora le condoglianze ai suoi vicini. Ieri mi ha comunicato che la tizia che cercherà di educare la sua ugola gli ha chiesto di portare due canzoni, in modo che possa capire che cosa intende imparare, cosa vorrebbe cantare.

Chiunque abbia avuto la fortuna di passare su queste pagine potrebbe avere il vago sospetto che adoro le voci femminili. Anneke Van Giersbergen, Victoria Lloyd, Marcela Bovio probabilmente su tutte, ma tante, tante altre (recentemente ho scoperto Lhasa. Marie Fisker e Rosalie Cunningham dei Purson). Amo le voci malinconiche, scure, tristi, non tollero il cantato accademico, i gorgheggi e l’ostentazione. Ovviamente non mi piacciono gli uomini che cantano nello stesso modo delle donne – un uomo che canta come Victoria Lloyd mi risulterebbe insopportabile.

Quando mi sono chiesto quali canzoni segnalerei a qualcuno che mi chiedesse cosa vorrei cantare, mi sono subito venuti in mente Bono e Mick Jagger: nessuno dei due è tecnicamente impeccabile (anzi…), ma tutti e due mi piacciono molto come interpreti. Brani come “New year’s day“, “The unforgettable fire“, “Bullet the blue sky“, “Hawkmoon 269“, “Until the end of the world” per il primo, “Gimme shelter“, “Lady Jane“, “Ventilator blues“, “Love is strong“, “Start me up“… Adoro come usano la voce, il loro piglio graffiante ed aggressivo, terribilmente di pancia, e come lo sposano alla loro musica, alla musica che chiedono alla band.

Ho poi pensato a due personaggi meno scontati: Brendan Perry dei Dead Can Dance e Nick Cave. Voci basse, cupe, dimesse, drammatiche, bellissime. “Enigma of the absolute” e “The mercy seat“, “In the wake of adversity” e “Henry Lee” (con P.J. Harvey, cazzo!). Che meraviglia! Due uomini che riescono ad emozionarmi in registri e stili che di solito considero esclusivamente femminili.

Infine mi sono ricordato di uno con una voce, una maniera di usarla, ed in generale una capacità di esprimersi che ucciderei per poter pareggiare: Lindsey Buckingham. Chitarrista e vocalist dei Fleetwood Mac, autore principale e vocalist su pezzi come “Tusk“, “Go your own way“, “Big love“, ma soprattutto “I’m so afraid“. Nella versione dal vivo nel tour di reunion del 1997, sette minuti pazzeschi, da standing ovation – infatti buona parte del pubblico alla fine si alza in piedi ad applaudirlo. Pazzesco, mostruoso.

Ecco, se potessi scegliere (e no, non posso, con la mia voce ed il mio orecchio decisamente non posso) direi che voglio cantare ed esprimermi esattamente come lui.

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Massimo Catalano e la stepchild adoption

07 giovedì Gen 2016

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Un mondo di cialtroni

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adozione, bambini, catalanata, Catalano, cialtroni, Cirinnà, ddl Cirinnà, diritti, diritti civili, diritti umani, famiglia, famiglia omogenitoriale, figli, gay, Italia, LGBT, Massimo Catalano, omofobia, omosessuali, omosessualità, ovvietà, ovvio, riproduzione, sentinelle in piedi, stepchild adoption, unioni civili

A proposito delle risse da saloon che imperversano ovunque sulla proposta di legge sulle unioni civili, l’oramai famoso e famigerato DDL Cirinnà, con specifica attenzione ai capitoli relativi alla stepchild adoption, c’è una cosa che non ho capito: l’argomento in discussione.

Siccome ho il fondato sospetto che una delle parti in causa non sappia di cosa si parli, partiamo dalla solita catalanata: una coppia di omosessuali, in quanto tale, non può avere figli. Questo nessuno lo nega. Ora, se, come ripetono certi individui ossessionati, la formazione di un nucleo familiare umano ha come unico scopo la riproduzione, allora la Chiesa cattolica e lo Stato italiano dovrebbero rifiutarsi di sposare anche persone sterili e donne in menopausa. È una catalanata anche questa, ma dalle nostre parti talvolta le catalanate sono rivoluzionarie.

Tuttavia, e continuiamo con l’ovvio, una persona omosessuale può avere figli: un gay non è sterile. Esattamente come alle persone eterosessuali, agli omosessuali può capitare di ritrovarsi soli con un figlio a carico. Ora, in questa situazione, e l’ovvio regna sempre sovrano, è evidente che finché non intervengono cambiamenti il bambino cresce con una sola persona che si occupa di lui, affettivamente come economicamente, il che può non essere facile. A quello che ho capito, però. nessuno propone di intervenire e strappare il bambino al genitore biologico.

Ora, poniamo che il genitore single decida di condividere la vita con una persona del sesso opposto: i due si sposano, il partner adotta il bambino e non c’è problema. Poniamo invece che il genitore single inizi una relazione con una persona del suo stesso sesso. Qui evidentemente il problema c’è, e non si capisce quale sia la soluzione proposta da chi è contrario alla stepchild adoption. A termini di legge, il nuovo convivente non solo non è obbligato a farsi carico del mantenimento del bambino, ma non può nemmeno decidere autonomamente di costringersi a farlo adottandolo. Secondo chi si oppone all’adozione del figlio del partner, se un genitore single va a convivere con una persona del suo stesso sesso dev’essere vincolato a rimanere l’unico responsabile di suo figlio. Nel caso in cui la coppia si separi, l’ex compagno del genitore (nuovamente) single non è tenuto a versare nemmeno un euro di alimenti. Alla faccia degli interessi del minore.

Poniamo poi il caso in cui il genitore naturale del bambino muoia. Questo bambino è cresciuto, magari per anni, in compagnia e protetto dall’affetto di una persona che non ha nessun vincolo di parentela con lui, ma secondo la legge è a tutti gli effetti solo al mondo. Di conseguenza, deve essere tolto ad una persona che lo ha cresciuto, che lo conosce e del quale lui si fida, ed essere dato in affidamento o in adozione, potenzialmente a persone che non ha mai visto. Sempre alla faccia dei suoi interessi.

Quindi, qual è esattamente il punto della discussione? Omofobi, integralisti cattolici, baciapile ed altre classi di ipocriti non vogliono che un bambino cresca in una famiglia omogenitoriale. Se il punto è tutto qui, la discussione non inizia nemmeno, perché non si può imporre ad un genitore di non morire né all’altro di andare a convivere con una persona dell’altro sesso dopo due giorni. Può farsi aiutare da un parente o da un amico, che magari è del suo stesso sesso. Cosa propongono davvero questi signori? Sterilizzare gli omosessuali? Togliere loro i figli alla nascita? Togliere preventivamente i figli a tutti i genitori single per darli a coppie sposate? Togliere i figli a chi va a convivere con una persona dello stesso sesso anche se è un parente o un amico, per darli a coppie sposate? Obbligare chi ha figli ad iniziare solo relazioni eterosessuali? Obbligarlo ad iniziare coabitazioni solo con una sola persona dell’altro sesso? Lasciare tutto com’è in modo che ci sia un mare di casi non normati in cui ci si basa sul buonsenso o sull’umore del giudice? E come pretendono che l’indeterminatezza vada a vantaggio del bambino?

Queste persone cosa vogliono fare veramente?

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Il fuoco amico

26 giovedì Nov 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Un mondo di cialtroni

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Adinolfi, Califfato, Daish, diritti, diritti civili, divertimento, Europa, fondamentalismo, Fondmentalisti, Francia, Gasparri, guerra, integralismo, ISIS, libertà, libertà civili, libertà d'espressione, Medici Senza Frontiere, Medio Oriente, MSF, Occidente, Parigi, Parigi sotto attacco, potere, rock, Salvini, Siria, terrorismo, terroristi, Valeria Solesin, vita

A proposito del cosiddetto Califfato, o ISIS, o Daesh come, ho recentemente scoperto, viene chiamato da chi non vuole dargli il credito che richiede, scrissi che era il risultato di tanti fattori, non ultimo l’aver affrontato situazioni problematiche in tutto il Medio Oriente armando per quasi 40 anni il meno peggio del momento, intendendo per “meno peggio” quello che rappresentava la soluzione contingente più vantaggiosa – quindi di fatto quello che era più abile a trattare e vendeva meglio il petrolio – senza mai avere un’idea di lungo periodo che non fosse vendere armi.

Il Daesh, o ISIS, sa benissimo che nel mondo ci sono due situazioni che vuole affrontare: una è un’emergenza, l’altra, forse, un problema di lungo termine. L’emergenza è il fatto che al mondo esiste gente che vorrebbe vivere la vita secondo le proprie regole: persone che vogliono divertirsi, bere, mangiare, ascoltare musica, innamorarsi e litigare, persone favorevoli alla laicità, all’uguaglianza, alle libertà civili, ai diritti umani, al dialogo ed alla convivenza pacifica, e questo, per chi vuole imporre le proprie convinzioni con la forza, è inaccettabile. Dal punto di vista di un stronzo armato fino ai denti e travestito da fondamentalista religioso, poi, il fatto che ci siano persone che, pur combattendo la stessa emergenza, sono spinte da motivazioni differenti, è un problema: le loro ragioni sono sbagliate.

Il Daesh, assieme a tutti i cosiddetti fondamentalisti islamici, si applica dunque per combattere prima di tutto l’emergenza. A livello globale, i terroristi che sostengono di agire in nome di Allah scatenano la violenza nei luoghi di ritrovo delle persone normali, dal mercato al ristorante passando per la sala da concerti nel centro di Parigi. Ce l’hanno con la libera informazione e con la satira, ce l’hanno con le organizzazioni umanitarie, ce l’hanno con chi vive la sua vita secondo ideali di libertà. Contro gli stessi principi, in Occidente agiscono altri tipi di fondamentalisti, uno potrebbe dire cattolici ma c’è anche molto altro: fanno la guerra ai diritti civili (come la privacy ed i matrimoni omosessuali), combattono la libertà di espressione (parlando di vilipendio e blasfemia), attaccano le organizzazioni umanitarie (come Emergency e Medici Senza Frontiere), osteggiano le libertà sessuali (considerando i sex workers esseri umani inferiori e vietando l’insegnamento dell’educazione sessuale a scuola), squalificano le fonti di passione e divertimento (come rock, fumetti, letteratura fantasy) ed in generale trattano con estremo sospetto chi ha una sua scala di valori e vive la sua vita di conseguenza – è di questi giorni, tra l’altro, l’insistente e vergognosa questione intorno al fatto che la povera Valeria Solesin fosse o meno battezzata.

Eccolo, dunque, il vero nemico dell’integralismo: Valeria Solesin, uccisa da fondamentalisti che sostengono di parlare in nome di Allah mentre viveva la sua vita ed insultata da fondamentalisti che sostengono di parlare in nome di Dio mentre i suoi cari la piangono. È lei l’avversario, il vero pericolo, e come lei tutti quelli che pensano e vivono secondo dei valori autodeterminati – quelli della passione e della libertà, non quelli del denaro, pel potere e del controllo sulle vite degli altri. Siamo pieni di tromboni che invitano a pregare per Parigi, ma i fondamentalisti islamici non hanno nessuna paura di un uomo che prega, anche se, proprio come i fondamentalisti cattolici, disprezzano chi prega un dio diverso. Bisognerebbe invitare le persone ad uscire, divertirsi, condividere, magiare, bere, discutere, ascoltare musica, ballare, stringere legami, scopare per Parigi (o per Beirut, Bamako, Tunisi), perché questo è ciò dà davvero fastidio a chi sa interfacciarsi col prossimo solo con odio e senso di superiorità.

Per questo, cari integralisti de noantri, voi non siete sotto attacco: nella guerra tra la libertà e l’oppressione, tra i lumi e l’ignoranza di massa, voi state dalla stessa parte del Daesh, come il Daesh sta dalla stessa parte del governo americano che combatte la trasparenza e bombarda MSF. E se ogni tanto qualcuno di voi ci va di mezzo, è semplicemente un danno collaterale, il medesimo tipo di danno collaterale che ritenete essere un male necessario quando avallate i bombardamenti sui civili in Siria, Libia, Iraq e Afghanistan. È fuoco amico: fatevene una ragione.

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L’ultras che mi vuole morto

18 mercoledì Nov 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Un mondo di cialtroni

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chiusura, diritti, educazione, Europa, fondamentalismo, fondamentalisti, francesi, Francia, guerra, Hollande, integrazione, ISIS, libertà, libertà civili, Medio Oriente, odio, Parigi, Parigi sotto attacco, parigini, paura, PorteOuverte, regresso, scuola, Siria, Stato Islamico, terrorismo, terroristi, ultras, USA, violenza

E quindi la Francia va in guerra. Con un’originalità ed un’imprevedibilità degne dei grandi geni mondiali, 14 anni dopo l’11 settembre il presidente francese François Hollande pensa di affrontare il problema del fondamentalismo che gli è arrivato fino alla porta di casa utilizzando una ricetta inedita: bombardamenti, restrizioni alle frontiere, limitazione delle libertà individuali. Per mezzo del suo uomo istituzionalmente più importante, la nazione i cui abitanti, nel pieno di una serie di attentati nel cuore della sua capitale, hanno offerto rifugio agli sconosciuti che non potevano raggiungere un luogo sicuro mediante l’hashtag “#PorteOuverte”, risponde a chi vuole spaventarla e la odia perché è troppo aperta con chiusura, spavento ed odio.

Hanno vinto i fondamentalisti. Quelli che si proclamano islamici, perché la Francia di domani sarà un paese meno libero, meno aperto e meno divertente, e quelli che si proclamano nemici del fondamentalismo islamico, per gli stessi motivi. Sono anni che lo dico, i terroristi stanno all’Islam come i violenti al calcio: come questi ultimi vanno in curva perché, facendosi chiamare ultras, possono esporre vessilli fascisti, gridare il loro odio, fare a botte e devastare senza pagare vere conseguenze, cosìnel Medio Oriente gli invasati possono, facendosi scudo di Allah, armarsi fino ai denti, sparare, insultare, umiliare, spadroneggiare e plagiare le menti senza essere linciati dalla folla. Purtroppo questa usanza sta prendendo piede anche da noi – gente che usa divinità di varia natura, da Dio ai soldi, per schiacciare il prossimo ed imporre le proprie regole di vita.

Detto questo, a me sembra che ci sia un aspetto di questa faccenda le cui implicazioni si sta deliberatamente scegliendo di ignorare: il fatto che gli attentatori fossero tutti cittadini europei. Non per la misura ridicola dei controlli alle frontiere (infatti stamattina, 18 novembre, c’è stata una sparatoria a Saint-Denis, non nel traforo del Monte Bianco), ma perché essere cittadini europei significa aver come minimo passato moltissimi anni in Europa, non esser venuti chissà da dove col solo scopo di farsi esplodere al primo pretesto utile. Probabilmente significa esserci nati, e questo, in Francia, implica aver frequentato le scuole francesi, in mezzo a coetanei francesi, da figli, nipoti o discendenti di persone che avevano fatto il possibile per lasciare il Medio Oriente chissà quanti anni fa.

Questa impellente necessità di tornare indietro, e non tanto per ritrovare le proprie origini quanto per divenire una quinta colonna di quello che i luoghi di origine sono oggi, con i loro fondamentalismi che si inseguono e la loro violenza, evidenzia un rifiuto della propria realtà quotidiana, quella europea, per quello che mi riguarda inquietante ed inconcepibile. Volere la morte delle persone con cui si è cresciuti e si vive, adoperarsi per ucciderle in nome di luoghi di cui si ha al più un lontano ricordo, se poi lo si ha, è qualcosa che va molto oltre la mia comprensione, ma di sicuro certifica il fallimento delle politiche di integrazione e del sistema educativo della Francia e dell’Europa nel suo complesso. Non mi pare una banalità su cui sorvolare.

Io sono molto più spaventato all’idea che un individuo cresciuto in Europa, che è stato educato in Europa ed interagisce quotidianamente con europei si adoperi per uccidermi in quanto membro della comunità di cui lui stesso fa parte, che dall’idea che uno a cui piovono bombe in testa tutti i giorni anche se non ha fatto niente pensi di vendicarsi sulla gente che avalla tutto ciò. Qualcuno, Hollande prima di tutto, intende porselo questo problema, o preferiamo tutti voltare la testa dall’altra parte? Limitare le mie libertà e sparare contro l’ignoto, quando il mostro non solo lo abbiamo dentro casa ma contribuiamo quotidianamente a formarlo, evidentemente proprio con le nostre vite, è una reazione facile, che fa un grande effetto e che da appena 14 anni peggiora le cose. Continuiamo così?

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