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~ "Non ci sono tante pietre al mondo!"

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Stipendio

08 lunedì Gen 2018

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di letteratura, Un mondo di cialtroni

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Amazon, anni 30, antifascismo, Bassani, Bezos, catalanata, cialtroni, classici del 900, diritti, diritti dei lavoratori, diritti del lavoro, Farinetti, fascismo, Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, JEff Bezos, lavoratori, lavoro, letteratura, Micòl, Micòl Finzi-Contini, Oscar Farinetti, politica, precariato, precarietà, Sinistra

“Lo stipendio compra il lavoro, non la persona che lo svolge”.

Questa frase è contenuta in un romanzo italiano scritto alla fine degli anni Cinquanta ed ambientato per la maggior parte nella seconda metà degli anni Trenta. Non è una sentenza emessa dal narratore, bensì parte di un dialogo tra i protagonisti dell’opera, dei ragazzi attorno ai 25 anni di elevata istruzione (tre su quattro sono laureati, il quarto è fermo alla tesi) e discreto benessere. All’interno della conversazione, la frase non è pronunciata dal personaggio politicamente più attivo dei quattro, un comunista dichiarato, nonché l’unico non ebreo, e come tale l’unico non direttamente vittima dei provvedimenti discriminatori del fascismo, ma dalla figlia minore di una famiglia ricca – una famiglia che, contrariamente ad altre, anche prima delle discriminazioni aveva sempre mostrato ostilità nei confronti di Mussolini ed ostentato un atteggiamento progressista, ma pur sempre lontano dall’antifascismo da barricate e dalle istanze della classe operaia.

Oggi, nel 2018, nella società in cui un’azienda verifica il comportamento di un candidato sui social media prima di sottoporlo ad un colloquio di lavoro senza che nessuno lo consideri inappropriato, nel mondo in cui si può essere multati o licenziati per un commento imprudente nei confronti del capo o della compagnia per cui si lavora, in Italia, con la benedizione di un governo guidato da un partito che si dice di sinistra ed ha avallato il licenziamento arbitrario, la medesima frase sarebbe probabilmente vista come estremista, proveniente da quella sinistra che vuole regalare il paese alle destre ed ostacola il grande rinnovamento portato avanti da chi vuole rendere precaria la società in tutti i suoi aspetti ed immagina un mondo in cui siano tutti clienti felici di Amazon e Booking – a proposito di chi fa maliziosamente confusione tra ciò che le persone, non solo i dipendenti, fanno, ciò che hanno e ciò che sono.

Insomma, lavori al Centro di Incubazione e di Condizionamento: ringrazia che un lavoro ce l’hai e tieni un comportamento appropriato alla tua posizione anche fuori dall’ufficio!

Ecco, in una sessantina d’anni siamo passati dal considerare una sostanziale catalanata, fatta dire da Giorgio Bassani al personaggio complessivamente più equilibrato del suo libro più famoso, un’opinione bizzarra, anacronistica e, diciamocelo, un po’ anti-sistema. In una sessantina d’anni siamo arrivati a considerare un’estremista dei diritti dei lavoratori una come Micòl Finzi-Contini.

Con i sentiti complimenti dei grandi capitani d’industria contemporanei, da Jeff Bezos ad Oscar Farinetti.

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Rivelazioni

25 mercoledì Ott 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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abusi, abuso, abuso di potere, alfa, Amazon, ambizione, Asia Argento, Bezos, Bill Gates, cialtroni, competitività, costume e società, Cristiano Ronaldo, donne, Eataly, economia, Farinetti, femminismo, Harvey Weinstein, Hollywood, Lady GaGa, maschi alfa, Merkel, Michael Crichton, molestie sessuali, personalità alfa, politica, potere, Renzi, ricchezza, rivelazioni, sesso, società, stupro, uomini, valori, violenza, violenza sessuale, Weinstein

Allora, in Italia, nel 2017, pare che grazie al caso Weinstein ed alle denunce di Asia Argento, con tutto quello che ne è seguito, abbiamo scoperto che le persone di potere commettono abusi. Per il 2018 mi aspetto l’incredibile rivelazione che l’acqua è bagnata.

Senza andare troppo indietro, correva l’anno 1994 e negli Stati Uniti un uomo finì sulla graticola: il suo nome era Michael Crichton, era l’autore del romanzo “Jurassic Park” che era appena stato trasposto al cinema per la regia di Steven Spielberg (cosa che ci aveva consentito di vedere dei dinosauri perfettamente credibili su uno schermo!), ed il motivo era la pubblicazione della sua ultima fatica letteraria, “Rivelazioni”. Il libro parlava della vita in un’azienda high-tech americana e il plot principale si snodava attorno ad una vicenda di molestie sessuali: la ragione del rumore fu il fatto che nel romanzo la vittima era un uomo ed il molestatore una donna, sua superiore.

Il libro fu subito accusato di essere antifemminista, ed in parte lo era, infatti Crichton aveva dichiarato più volte di non poterne più di un movimento che stava finendo per considerare la donna una specie protetta – un po’ come quella parte di femminismo nostrano che combatte il patriarcato per sostituirsi ad esso, ad esempio dicendo alle donne come vestirsi e comportarsi per evitare di screditare o creare problemi alla causa. I lettori che non soffrivano di analfabetismo funzionale, però, capirono abbastanza rapidamente che la tematica centrale non erano le molestie sessuali, ma l’abuso di potere. Nel libro, dopotutto, l’avvocato a cui il protagonista si rivolge per tutelarsi e minacciare causa alla sua superiore lo asserisce piuttosto chiaramente: le molestie sessuali non c’entrano niente col sesso, sono una manifestazione violenta di potere.

Qualsiasi persona ricerchi ossessivamente il potere, il successo, i soldi e qualunque altra forma di realizzazione personale che si basa sul sentirsi superiore agli altri, è uno che, in un modo o nell’altro, è propenso all’abuso. Politici arrivisti, arrampicatori sociali, squali della finanza, scalatori di gerarchie aziendali, imprenditori aggressivi e competitivi: tutte tipologie di individui da cui è lecito attendersi un comportamento abusivo nei confronti del prossimo. È quello che fanno le cosiddette personalità alfa.

Lo fa Renzi quando caccia dal partito chi non la pensa come lui e lo fa la Merkel quando impone ai greci di rinunciare alle cure mediche gratuite; lo fa Bezos quando obbliga i dipendenti a ritmi massacranti e condizioni lavorative schiavistiche e lo fa Farinetti quando ricatta i dipendenti e insulta chi lo contesta; lo fa il barone universitario quando chiede all’assegnista di portargli a spasso il cane o quando non gli fa firmare un articolo; lo fa il broker della City quando manda migliaia di persone sul lastrico spostando soldi per speculare o quando si assume il merito di un’operazione brillante condotta interamente dai suoi assistenti sfruttati e sottopagati; lo fa il tizio col Cayenne quando si ferma in doppia fila bloccando un parcheggio per disabili; lo fa il produttore di Hollywood quando fa capire alla giovane attrice (o anche al giovane attore, perché no?) che o si mette a 90 gradi o non lavorerà mai più.

Ovviamente, solo alcuni di questi comportamenti sono penalmente rilevanti, e l’abuso in ambito sessuale è particolarmente odioso, il punto è che però sono tutte facce della stessa questione – la necessità di esercitare ed ostentare il potere, il bisogno di essere riconosciuti come superiori. Il vero problema, però, è che la società attuale è di fatto subalterna alle personalità alfa: chi lotta, compete e fa di tutto per arricchirsi, emergere e conquistare potere, e ci riesce, è considerato un modello, uno da invidiare ed imitare – non parlo solo dei Bill Gates, eh, parlo anche dei Cristiano Ronaldo e delle Lady GaGa. Chi vive la sua vita con un sistema di valori diverso, non basato su ambizione e desiderio di successo, è normalmente visto come un debole.

L’ipocrisia della società, alla fine, è tutta qui: portare sul palmo di mano come esempi persone che sono intrinsecamente propense all’abuso, e poi sorprendersi e scandalizzarsi quando commettono abusi – ma solo (e nemmeno sempre) se gli abusi sono penalmente rilevanti: negli altri casi si tratta di personalità, carattere e abilità di leadership, mentre il povero sottoposto schiavizzato è solo un fallito che a questo mondo non sa farsi valere.

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Il brand e l’etica

19 martedì Set 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia

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agricoltura, alimentazione, Amazon, anacardi, Antonio Pascale, bio, biologia, biotecnologie, chimica, cibo, classismo, complottismo, disuguaglianza, disuguaglianze, ecologia, etica, fame, ingegneria genetica, integralismo, ipocrisia, liberismo, mandorle, miopia, morale, multinazionali, nutrizione, quinoa, ricerca, slow food, soia, vegan, veganesimo, vegani

L’articolo che da stamattina sta creando una quantità innumerevole di discussioni a proposito della supposta eticità della dieta vegana, ponendo l’accento su una serie di problemi di sfruttamento del territorio o dei lavoratori legati alla coltivazione o produzione di alcuni alimenti chiave della dieta vegana, o comunque consumati in gran parte dai vegani, ha un merito fondamentale: quello di ribadire che, ad oggi, l’unica scelta veramente etica a livello alimentare sarebbe il digiuno. E sostenere che la scelta vegana è etica in sé, poi se c’è sotto dello sfruttamento è colpa degli sfruttatori, è un po’ come dire che va benissimo fare continuamente acquisti su Amazon con il 25% di sconto, se Amazon sfrutta i dipendenti è un problema solo suo: un po’ ipocrita.

Qualunque scelta venduta come “etica” è, alla prova dei fatti e nel momento in cui la produzione degli alimenti è demandata a privati che operano con le stesse regole di mercato di chi commercializza elettrodomestici e voli low cost, una truffa. Parole come “bio”, “slow food”, “vegan” suggeriscono comportamenti e scelte apparentemente meritori, ma in realtà non sono altro che brand, tra l’altro molto spesso classisti, che creano eserciti di individui, sovente trasformandoli in adepti, convinti di una qualche superiorità morale che nella realtà non esiste.

Basta una semplice analisi del testo: dire, come da stanco ritornello degli amanti del “bio”, “certo, il bio costa un po’ di più, ma la qualità è tutta un’altra cosa” significa, a conti fatti, “io mi posso permettere di spendere di più per mangiare roba migliore, chi è più povero si fotta con i prodotti di scarto”. E questo non pone un problema molto diverso da quello sollevato da un articolo che rileva come il triplicare dei prezzi del quinoa, causato da ovvie dinamiche di domanda e offerta, comporti che per i poveri boliviani diventa più conveniente il cibo spazzatura americano.

È inconcepibile pensare di risolvere il problema dell’alimentazione di oltre 7 miliardi di persone con soluzioni a basso costo che prevedano un’etica accettabile del lavoro e uno sfruttamento non intensivo del territorio e degli animali senza le biotecnologie e l’ingegneria genetica. Il problema è che, grazie ad un gruppo di integralisti miopi ai limiti del complottismo, si è preventivamente impedito pressoché qualsiasi investimento pubblico in tal senso, accarezzando il mito del piccolo agricoltore con l’orto tipo i racconti della nonna. Questo ha lasciato terreno completamente libero alle multinazionali, che hanno guadagnato un vantaggio competitivo misurabile in anni e che si trovano oggi in una condizione difficilmente intaccabile di monopolio, dal quale offrono sementi ai prezzi che desiderano con la quasi certezza di venderli senza problemi: perché l’alternativa, per gli agricoltori, sono piante più deboli, più esposte alle infestazioni, da cui devono essere liberate con metodi antiquati ed inefficienti come il rame, che tra l’altro è un metallo pesante che viene in questo modo sparso sul terreno – il romanticismo dell’agricoltura di una volta.

Poi possiamo pure dire che il nostro obiettivo è proprio un mondo diverso, in cui l’alimentazione, come buona parte del resto, non sia nelle mani dei privati e non ci sia bisogno di politiche redistributive perché le inuguaglianze verranno impedite all’origine, ma nel frattempo i poveracci che coltivano la soia per due spicci e che tra tre anni avranno il territorio devastato perché la soia è terribilmente aggressiva, con cosa e come si prevede che si sostentino? Si fa una quantità enorme di discorsi sul come risolvere i problemi in teoria, strutturalmente e definitivamente, ma ogni tanto ci si dimentica della congiuntura: domattina, nel frattempo, che facciamo? Perché nel frattempo la produzione di quinoa in Bolivia è controllata da squali che sfruttano terreno e lavoratori, che il quinoa non possono nemmeno più permetterselo.

Questi sono discorsi che una persona molto intelligente della professione, l’agronomo del Ministero delle Politiche Agricole, ed incidentalmente romanziere, Antonio Pascale, porta avanti da anni, per lo più insultato o sbeffeggiato da gruppi che hanno personalmente avallato una serie di decisioni disgraziate che stiamo pagando carissime e continueremo a pagare per decenni. Perdonatemi se non intendo starli a sentire.

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Capitalismo

24 lunedì Lug 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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Amazon, anticapitalismo, banche, Booking, capitalismo, cialtroni, concorrenza, diritti civili, diritti sociali, economia, economia politica, Facebook, feudalesimo, Google, imprenditori, investimenti, leggi, liberismo, lobbismo, lobby, neoliberismo, paradisi fiscali, PMI, politica, politica economica, regole, sistema economico, soldi, speculazione, stato, tasse, teoria economica

Cos’è il capitalismo?

Il capitalismo è stato il sistema economico grosso modo prevalente degli ultimi tre secoli. Funziona più o meno così: un tizio investe soldi, conoscenza e capacità organizzativa in un processo produttivo ed assume lavoratori per portare a termine l’attività; i lavoratori guadagnano un salario basato sostanzialmente sulle condizioni economiche e sulla reciproca forza contrattuale, mentre l’imprenditore vede remunerato il proprio investimento ed il lavoro di organizzazione mediante un profitto. In tutto questo, lo Stato serve a garantire la presenza di condizioni favorevoli all’attività economica, ad esempio il rispetto delle norme di concorrenza. L’associazionismo a tutela degli interessi di categoria, sia degli imprenditori che dei lavoratori, è consentito. Le banche fungono da intermediari tra il risparmio privato ed il finanziamento dell’attività imprenditoriale.

Esistono diversi gradi di limitazione e regolamentazione dell’attività economica. Ad esempio, lo Stato può anch’esso essere capitalista, ma senza fini di lucro, per gestire la produzione di beni e l’erogazione di servizi essenziali che non possono essere soggetti a transazione sul mercato, perché ad esempio altrimenti non tutti potrebbero avervi accesso, o perché l’eventuale fallimento dell’azienda erogante verrebbe a privare la collettività di qualcosa di indispensabile. Inoltre, lo Stato può in certa misura intervenire per evitare l’insorgere di un inaccettabile grado di sbilanciamento nella distribuzione della ricchezza, mediante politiche preventive (come l’imposizione di salari minimi) e correttive (come la tassazione progressiva ed il suo utilizzo per fini redistributivi).

Fin qui come stanno in teoria, ed utilizzando semplificazioni estreme, le cose. Vediamo perché l’attuale sistema economico non ha nulla a che vedere col capitalismo – no, nemmeno con il liberismo più selvaggio, quello secondo il quale lo Stato dovrebbe limitarsi al minimo indispensabile, se non proprio sparire del tutto.

Per cominciare, non c’è nessuna concorrenza. Il sistema economico è drogato da una quantità enorme di storture atte a creare vantaggio a chi è dimensionalmente rilevante: si basa sulle lobby, che possono permettersi di foraggiare i legislatori per ottenere in cambio quello che vogliono; in un sistema aperto esistono paradisi fiscali, dove chi può permettersi di piazzare la sede paga tasse minime, con enormi vantaggi competitivi; nel frattempo vengono mantenuti in vigore concetti di concorrenza dogmatici e ridicoli, che di fatto si ritorcono contro lavoratori e piccole aziende, non contro le società più grandi.

In molti casi i capitalisti non rischiano niente di proprio. In Italia, ad esempio, siamo pieni di imprenditori coi soldi degli altri: mettono su un’attività che permane indefinitamente sull’orlo della bancarotta, che non ha nessuna possibilità di competere alla pari sul mercato (in massima parte per incapacità gestionale, organizzativa e pratica), ma viene tenuta in vita, peraltro sulle spalle dei lavoratori e non di una dirigenza incompetente e strapagata, mediante contributi, aiuti di Stato ed altre gentili regalie, il tutto mentre i dipendenti devono sempre essere a disposizione dell’azienda.

Le banche acquisiscono i risparmi privati ma non finanziano attività produttive. Da anni gli istituti di credito preferiscono sottrarre soldi al circuito dell’economia reale per destinarli a rischiose operazioni speculative di breve periodo, mentre piccole e medie imprese non hanno accesso al credito e annaspano contro giganti che le soffocano col dumping fiscale e salariale, mentre tutti si dicono quanto è bello ordinare le cose su Amazon.

Gli Stati (così come gli organismi sovrastatali) hanno abdicato al ruolo di controllori, non per sparire come vorrebbero i liberisti, ma per gettarsi su quello dei facilitatori: si limitano ad osservare la realtà e, invece di combatterla ove si verifichino storture e si riscontrino comportamenti che violano le leggi e le regole essenziali, abbattono dette leggi e regole essenziali dicendo che il mondo è cambiato e le norme della convivenza civile devono essere superate, e costruendo una società a misura dei desiderata di lobby ed imprese.

Se domani si risvegliassero i teorici del capitalismo come Smith e Ricardo, tornerebbero immediatamente a dormire, depressi dopo aver constatato che il sistema economico è tornato al medioevo, con Facebook e Booking al posto dei signorotti locali e con eserciti di fessi che li idolatrano invece di combatterli. Sono loro, Facebook e Booking, Amazon e Google, i primi ad osteggiare apertamente la vera libera iniziativa economica, i principali e concreti anticapitalisti.

Capitalismo? Ma fatemi il piacere!

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Il succo del discorso

10 giovedì Set 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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Amazon, Angela Merkel, autocritica, banche, BCE, concorrenza, Draghi, economica, Euro, Europa, finanza, Grecia, Grexit, ipocrisia, Jean-Claude Juncker, Juncker, Lussemburgo, Mario Draghi, mercato, Merkel, paradisi fiscali, politica, politica economica, UE, Unione Europea

Adesso Juncker ha deciso che nell’Unione Europea mancano l’Europa e l’unione. Approfittiamone per rendergli giustizia, ricordando alcune tra le sue gesta più memorabili, assieme a quelle di tanti altri statisti di altissimo rango, che hanno combattuto tenacemente a favore di una maggiore integrazione tra i popoli, le persone e le culture in Europa.

Jean-Claude Juncker è stato primo ministro in Lussemburgo e ha trasformato il piccolo stato mitteleuropeo in un paradiso fiscale a tutti gli effetti, in cui buona parte delle società multinazionali, tipo Amazon, piazzano la sede legale per pagare meno tasse e fare dumping nei confronti dell’economia locale di mezza Europa; nel mentre la UE, ligia ad una definizione di concorrenza dogmatica ed idiota, multava le librerie di quartiere parigine che si consorziavano per resistere alle pulsioni monopolistiche del colosso americano, tra l’altro chiacchierato per un atteggiamento vessatorio nei confronti dei dipendenti nel silenzio assordante delle istituzioni europee.

Nel frattempo la Grecia, nazione con un’economia traballante, riceveva prestiti a tassi elevati ed ad altrettanto alto rischio di insolvenza da parte di buona parte delle banche continentali, le quali, quando è diventato evidente che l’insolvenza era molto più di un rischio astratto, sono andate a frignare dalle istituzioni europee, che, invece di porsi il problema di banche che passano il tempo a scommettere per poi piangere miseria quando perdono, o magari quello della popolazione greca che non riusciva a pagare i propri debiti e che, strozzata da rate insostenibili, non poteva tentare di impostare una politica volta alla ripresa economica, salvava il sistema bancario senza chiedere garanzie in cambio, concedendo prestiti che tuttavia erano nominalmente erogati non alle banche in crisi, ma allo stato in default, al quale invece domandava come contropartita tagli da lacrime e sangue.

La BCE, in tutto ciò, a causa di uno statuto ridicolo e profondamente dogmatico, in una situazione di stagnazione accompagnata da deflazione, essendo stata costituita con il fine prioritario di combattere l’ascesa dei prezzi, deprimeva l’economia a forza di misure restrittive, rifiutando categoricamente per anni di trasformarsi nel prestatore di ultima istanza di paesi di cui era tecnicamente la banca centrale, assistendo impassibile ad attacchi speculativi contro titoli di stato di nazioni con politica fiscale spuntata grazie ai vincoli di bilancio di una UE rigida con gli stati e accomodante con i creditori, attacchi che arricchivano grandi gruppi bancari e si trasformavano rapidamente in problemi contabili gravissimi per paesi con milioni di abitanti. Il tutto mentre di una politica monetaria espansiva per dare una smossa ad un sistema bloccato non se ne parlava neanche – eh, no, c’era il rischio puramente teorico del 3% di inflazione, meglio veder crollare il PIL del 25%, peraltro con grosso aumento della diseguaglianza.

Contemporaneamente, in tutti gli Stati periferici, messi in difficoltà da scelte economiche e finanziarie dissennate effettuate a livello centrale dalla Commissione, dal Parlamento europeo e dalla BCE, oltre che dalla Merkel che a volte opera come il padrone di un intero continente, scelte basate su concetti economici orientati ad un liberismo estremo ed ad un totale assoggettamento ai giganti della finanza, del web e dell’industria, venivano messi in discussione diritti fondamentali come la sanità e l’istruzione pubbliche e l’erogazione e distribuzione di beni e servizi primari, tra cui l’acqua, perché costano troppo, lasciando che si iniziasse a suggerire che questi siano in realtà privilegi da discutere, avallando di fatto una guerra tra poveri per l’accesso alle risorse ed ai diritti residui.

Non c’è che dire, Juncker ha ragione. E sono molto contento che abbia preso coscienza del problema: mi piace chi fa autocritica. Quindi immagino che dopo aver annunciato il fallimento della sua spinta unitaria, rassegnerà le sue dimissioni e farà pressioni perché altri facciano lo stesso.

Come sarebbe a dire che non era questo il succo del discorso?

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Elastic Rock vs. e-commerce giants

26 domenica Lug 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di musica, Un mondo di cialtroni

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Amazon, CD, cialtroni, commercio, Dead Can Dance, Discoteca Laziale, e-commerce, Ebay, Elastic Rock, Feltrinelli, Gianicolense, IBS, La Feltrinelli, Monteverde, musica, Rakuten, Roma, Within the realm of a dying sun

Volevo colmare un buco che avevo nella mia discografia: “Wthin the realm of a dying sun” dei Dead Can Dance – forse la band iconica meno ascoltata in assoluto, di cui avevo solamente una raccolta e lo splendido “Spleen and ideal“. Non facile trovarlo usato, difficile trovarlo in vinile, impensabile trovare un 33 giri in buone condizioni a cifre accettabili. Chi ce l’ha se lo tiene e, siccome sono in pochi ad averlo, tanto vale comprarlo nuovo invece di aspettare che qualche scriteriato se ne stanchi. Solo che essendo un album del 1987 uno spererebbe di comprarlo a poco.

Ecco i risultati della ricerca per titolo effettuata sabato 25 luglio pomeriggio su 5 grossi canali di vendita al dettaglio che spediscono in Italia: nell’ordine, Amazon, Ebay, Rakuten, IBS, Feltrinelli. Amazon è carissimo, 15,61 euro più spese di spedizione, che si annullano se si superano i 19 euro di spesa; sul Marketplace il prezzo minimo è 6,75 più spedizione, che ammonta a 2,90, il che lo porta a 9,55 euro. Ebay si attesta sulle stesse cifre di quest’ultimo: copia usata a 9,53 euro, copia nuova a 9,69 euro. Su Rakuten (ex Play.com) il prezzo minimo è 8,05 sterline, che al cambio fanno poco meno di 11,40 euro, spedizione inclusa. IBS fa meglio di Amazon, 11,84 più spedizione, che diventa nulla con 25 euro di spesa o andando a ritirare il pacco in un punto vendita – dove ordinare il CD costa 14,80 euro. Feltrinelli è il peggiore di tutti: 15,90 euro più spedizione, nulla sopra i 19 euro o andando a ritirare il pacco in un punto vendita. Per la cronaca, la Discoteca Laziale, che non ha i prezzi di vendita al dettaglio disponibili sul sito, l’ultima volta che ci sono stato, un mesetto fa, aveva tutti i CD dei Dead Can Dance in vendita a 13,20 euro.

Poi c’è il già citato Elastic Rock, negozio indipendente con sede in via del Quattro Venti a Roma, tra Montevedre e la Gianicolense. Ci sono andato fiducioso che avrei trovato di meglio, e come al solito è andata a finire esattamente così. Senza pagare giganti della distribuzione, alcuni dei quali con sedi in paradisi fiscali e con una storia di dipendenti vessati ai livelli dello schiavismo, sono venuto via con la mia copia sigillata di uno dei capolavori degli ultimi 30 anni dopo averla pagata 9,33 euro – a listino erano 10, ma ho comprato contemporaneamente altri due articoli e mi è stato fatto uno sconto di 2 euro, 67 centesimi a titolo.

C’è poco da fare, sono i numeri uno.

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Neoliberisti

05 venerdì Giu 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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Adam Smith, Amazon, America, Angela Merkel, BCE, cartelli, che schifo, cialtroni, David Ricardo, diritto, economia, educazione, Europa, Facebook, feudalesimo, feudatari, Google, istruzione, liberismo, liberisti, libero mercato, mercato, mercato aperto, Merkel, mondo, monopolio, neoliberismo, oligopolio, politica, schifo, servizi, Stati Uniti, teoria economica, UE, Unione Europea, USA

Su queste pagine mi sono scagliato più di una volta contro il sistema economico immaginato, proposto e di fatto imposto e protetto dall’attuale establishment europeo, Merkel e BCE i testa, cadendo anch’io nella trappola semantica di definirlo “liberismo”, “neoliberismo” o “ultra-liberismo”. Anche molti analisti economici seri, oltre a gente impegnata in ambito politico e sociale, commettono il medesimo errore.

Chiariamo una cosa: il sistema economico verso cui tende buona parte delle politiche e delle scelte sociali dell’Europa e dell’intero mondo occidentale non è liberismo. Il liberismo è una dottrina economica che sostanzialmente crede che il mercato, in presenza di alcune condizioni di base come la concorrenza e l’accesso alle risorse, tenda intrinsecamente verso l’equilibrio senza nessun intervento esterno, e dunque che il settore pubblico debba limitarsi a legiferare, tra l’altro il meno possibile, per fare in modo che il mercato non sia drogato da disequilibri, rimanendone tuttavia sempre all’esterno: il mercato è sovrano.

Si può essere d’accordo o meno con questo approccio, che di fatto è un infiocchettamento del concetto di “homo homini lupus”. Io personalmente sono contrario, innanzitutto perché ritengo che un sistema, per dirsi democratico, dovrebbe garantire l’erogazione di alcuni servizi di base come l’educazione, la salute e l’amministrazione della giustizia. Uno può ritenere che chi non può pagarsi le cure mediche debba morire: per me è un discorso aberrante, ma uno squalo può ritenerlo giusto, tuttavia l’ipotetica giustizia decade quando a farne le spese è il figlio di 8 anni a cui il padre non può comprare un vaccino; lo stesso discorso si potrebbe fare per l’istruzione (quanto è democratico un sistema che non garantisce le stesse opportunità educative a tutti i bambini?) e per il diritto (quanto può dirsi evoluto un paese in cui alcuni diritti civili devono essere soppressi perché anti-economici?). E sono contrario perché trovo che esistano degli ambiti, come le scienze e le arti, che sono fondamentali per lo sviluppo umano, e come tali di pubblico interesse, troppo preziosi per lasciarne lo sviluppo alla brama di guadagno del committente.

Il problema è che tutto questo non è il punto. Come detto, il liberismo suppone che in presenza di alcune regole di base, come la parità di accesso alle risorse e la concorrenza perfetta, che devono essere dunque difese strenuamente, il sistema si aggiusta da solo e non necessita di interventi esterni.

Vediamo dome funzionano alcuni grossi mercati a caso, strategici nell’attuale mondo economico: i produttori di petrolio sono un cartello; le aziende farmaceutiche sono un cartello; i servizi di comunicazione via web sono un oligopolio, tra l’altro suddiviso in aree funzionali all’interno di ognuna delle quali c’è di fatto un monopolista (Google, Amazon, Facebook…); i produttori di tabacco sono un cartello; l’intrattenimento di massa è un oligopolio, oltretutto con barriere all’ingresso spaventose; i produttori di armi sono un cartello; i fornitori di servizi finanziari sono un oligopolio. Tutti questi cartelli ed oligopoli sono impegnati in feroci attività di lobbismo, lecito e spesso anche illecito – un esempio, quanti medici sono foraggiati da Big Pharma per sconsigliare i farmaci generici? Inoltre uno dei principali mercati aperti del pianeta, l’Unione Europea, è una confederazione di stati sovrani tra i quali figurano dei paradisi fiscali, che offrono un vantaggio competitivo a chiunque sia grande abbastanza da poterci spostare la sede – ricordo che le tasse sono un costo, ma la UE preferisce sgridare le librerie di quartiere parigine che si consorziano per fronteggiare il problema.

Dov’è la concorrenza perfetta? Dov’è la parità di accesso alle risorse? Dov’è il liberismo?

Chiunque difenda lo status quo, oggi, non difende il mercato e le sue regole auree, difende solo le rendite di posizione, di solito essendone parte in causa o ricevendo una qualche sovvenzione da chi le percepisce. Oggi i veri liberisti sono pochissimi, e sono di solito persone con cui si può discutere, perché sanno perfettamente che, se Adam Smith o David Ricardo si risvegliassero domani, sarebbero schifati dal mondo economico che si troverebbero davanti. Gli altri non difendono il liberismo: le parole sono importanti e bisogna chiamare le cose col loro nome.

Difendono il feudalesimo.

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Il modello di business

18 lunedì Mag 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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Amazon, Ayreon, business model, CD, cialtroni, commercio, concorrenza, Devin Townsed, dischi, e-commerce, Ebay, economia, Elastic Rock, Europa, Feltrinelli, feudalesimo, IBS, impresa, internet, modello di business, monopolio, musica, Musica Parliamone, negozi, negozi di musica, negozio di dischi, paradisi fiscali, Roma, shopping, tasse, tecnologia, Unione Europea

Una volta, parlando con il proprietario dell’allora negozio di dischi ed impianti hi-fi usati (ed oggi associazione culturale che si occupa delle stesse cose, con sede in via della Serenissima, tra il ponte sulla ferrovia e viale della Venezia Giulia) Musica, Parliamone, espressi l’opinione che il miglior negozio di dischi di Roma fosse Elastic Rock, quello sulla Gianicolense, a via dei Quattro Venti, accanto a piazzale Dunant. Sorprendentemente il mio interlocutore, di fatto un concorrente di Elastic Rock, si dichiarò d’accordo con me. D’altra parte, Elastic Rock è l’unico negozio di musica a Roma che il sabato mattina è pieno di clienti, in discreta parte abituali, che discutono, chiedono, frugano, ascoltano, ma soprattutto trovano e comprano.

Sono andato da Elastic Rock sabato scorso e, dopo un’occhiata in giro, ho chiesto lumi su uno degli ultimi lavori di Devin Townsend, quello a firma Casualties Of Cool e da lui stesso efficacemente descritto come “Johnny Cash infestato dai fantasmi”: il titolo non risultava nemmeno presente in catalogo. Ho poi domandato, tanto per chiedere qualcos’altro, informazioni su “Into the electric castle” di Ayreon, opera monstre su due CD meravigliosi e prima collaborazione tra Arjen Lucassen ed Anneke Van Giersbergen: era ordinabile alla cifra di 11 euro. L’ho ordinato: fino a quel momento il prezzo più basso a cui l’avevo visto vendere, incluse le copie usate, era circa 11,50 euro su Ebay.

E non parliamo nemmeno di Amazon: al momento il titolo è in vendita a poco meno di 16 euro più spedizione (che diventa nulla oltre i 19 euro di spesa); va un po’ meglio col Marketplace, dove si acquista con circa 12,40 euro. In negozi come Feltrinelli o IBS il doppio CD costa circa 20 euro e in linea di massima deve essere ordinato. Per la cronaca, Casualties Of Cool sul gigante dell’e-commerce mondiale costa 23,20 euro, circa 14 sul relativo Marketplace, mentre la ricerca va a vuoto sui principali canali di distribuzione italiani.

Piccola considerazione: Feltrinelli ed IBS non sono giganti del web che hanno sede in un paradiso fiscale, fidelizzano i clienti mediante tessere sconto, non attraverso profilazione dettagliata ed intermediari che raccolgono metadati sulla loro navigazione come dei bulimici per personalizzare gli annunci pubblicitari, tra l’altro con un livello di raffinatezza ridicolo, e non svolgono un’aggressiva attività di lobbismo nei confronti dell’Unione Europea, che poi, ligia ad una definizione dogmatica e stupida del concetto di concorrenza, multa le librerie di quartiere perché si riuniscono in consorzi invece del monopolista gigantesco che fa dumping.

Già, vediamolo un po’ meglio il modello di business di Amazon.

Dopo anni di guerre per sfiancare la concorrenza più ramificata sul territorio, ora Amazon è mediamente caro. È raro che, frugando per più di 15 minuti su internet, non si trovino offerte migliori sui medesimi prodotti. Il Marketplace è relativamente conveniente, ma chi intende vendere deve sottostare a condizioni svantaggiose e rendersi contemporaneamente competitivo – tra l’altro, Amazon può giocare sulla propria reputazione per battere i piccoli commercianti, un utente privato, ancorché col bollino Amazon sopra, in generale no. Nel frattempo ricordo che Amazon paga le tasse in un paradiso fiscale, ha costi di magazzino più bassi grazie alla dimensione ed alla diversificazione geografica e, soprattutto, ha un potere contrattuale spropositato nei confronti di chi vuole piazzare qualcosa sul mercato, perché voglio vederlo il successo commerciale di un prodotto che sul più grande sito di e-commerce mondiale non esiste. Ricordo anche che Amazon adotta politiche di sfruttamento dei dipendenti ai limiti dello schiavismo e dei lavori forzati – problemi che, fossero emersi in aziende meno cool, avrebbero visto gente lanciare mattoni contro le vetrine.

In pratica, Amazon persegue il seguente mondo ideale: i piccoli concorrenti si abbattono a forza di dumping, quelli medi si indeboliscono con gli stessi metodi, i partner si vessano dall’alto della propria posizione; le leggi si aggirano con elusione, ricatti ed attività di lobbismo; la massa dei lavoratori si sfrutta con salari bassi e condizioni usuranti, mentre si strapagano professionisti di alto livello per profilare l’universo con la scusa di politiche di marketing di dubbia efficacia e studiare strategie per incrementare la propria potenza in diversi ambiti chiave. Il tutto ponendosi come il futuro tecnologico ed affascinante, non come dei feudatari col delirio di onnipotenza.

Nel frattempo, fortunatamente, un negozio come Elastic Rock gli tiene testa.

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La tessera della Coop

17 martedì Feb 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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advertising, Amazon, banner, big data, big data analysis, cialtroni, commercio, comprare, consumatori, cost per click, data science, data scientist, Ebay, economia, internet, marketing, orrore, pay per click, privacy, profilazione, pubblicità, Snowden, Statistica, vendere

Marketing significa letteralmente “piazzare sul mercato” e comprende quindi tutte le azioni aziendali riferibili al mercato destinate al piazzamento di prodotti o servizi (da Wikipedia).

In altre parole, l’obiettivo del marketing è convincere i consumatori a comprare beni e servizi che prima non ritenevano di dover o voler acquistare (piazzamento) ed a compiere l’acquisto attraverso il proprio canale (fidelizzazione) in modo da massimizzare gli utili.

Vediamo un attimo come funziona una grossa fetta del marketing on line. Di fatto, i siti mettono in vendita spazi pubblicitari, i cosiddetti banner, sulle proprie pagine. Le aziende si rivolgono a degli intermediari perché li acquistino. La procedura di acquisto è grosso modo questa: quando un utente accede alla pagina web, l’informazione che il banner sta per essere visualizzato viene trasmessa agli intermediari, i quali danno il via ad una velocissima asta; il vincitore sceglie quale prodotto delle aziende che rappresenta mettere sul banner.

Detta così, sembra facile. L’aspetto complicato, il motivo per cui esistono società che vivono solo di questo, è ovviamente decidere quanto puntare e cosa visualizzare. Ogni intermediario ha il suo portafoglio clienti, che fornisce budget per le campagne di marketing, dunque ogni intermediario necessita di massimizzare due quantità contemporaneamente: il proprio margine e la probabilità che il cliente guadagni. In altri termini l’intermediario deve, allo stesso tempo, spendere il meno possibile per la campagna per massimizzare la quota del budget che trattiene come profitto e comprare banner in modo efficiente per il cliente, che deve dunque poi aumentare gli introiti, altrimenti si rivolgerà ad un altri. Si noti che discreta parte di questi clienti sono a loro volta negozi, tipo Ebay o Amazon, che dunque hanno come obiettivo realizzare una vendita, non vendere uno specifico prodotto.

L’intermediario, a questo punto, stante che il numero di banner che vengono venduti nel corso anche di un solo minuto è pressoché incommensurabile e non è possibile intervenire sulle procedure di asta oltre un certo tipo (molto poco raffinato) di dettaglio, si fa forte dei big data e della profilazione degli utenti. Le strategia di offerta per l’acquisto di spazi pubblicitari si basano su tutte le informazioni che l’intermediario riesce ad avere a disposizione sull’utente che sta per visualizzarli: età, sesso, domicilio, e soprattutto storico della navigazione su internet, in parte gentilmente messo a disposizione dal cliente medesimo – Amazon sa esattamente quello che un potenziale acquirente ha cercato e visualizzato sul proprio sito. Si noti che questo tipo di profilazione è davvero molto approfondito, se si considera che l’utente viene spesso riconosciuto anche quando naviga da postazioni diverse (e quindi le sue query avvengono da indirizzi IP diversi).

Ora, tutti abbiamo vissuto l’esperienza di cercare qualcosa su un sito internet di un venditore e di vedersi pubblicizzato il risultato della ricerca o l’oggetto cercato su un banner poco dopo. Tutti abbiamo cercato, che so, i Desert Boots Clarks su Amazon per poi andare su un sito contenente due banner che rimandavano alla pagina dei Desert Boots su Amazon. In altre parole, tutti abbiamo visto come funziona il marketing digitale: aziende che raccolgono ed utilizzano tutti i dati personali che possono, società che spendono e fatturano cifre stratosferiche e pagano centinaia di professionisti di altissimo profilo, per reclamizzare all’utente il prodotto che ha appena cercato, sul sito dove lo ha appena cercato. Altro che piazzare prodotti sul mercato, attrarre consumatori e convincerli a comprare cose che non pensavano di voler comprare.

E allora perché? I motivi sono sostanzialmente due: il primo è che le procedure di analisi di big data sono tutt’altro che raffinate e, come sostengo da sempre, consentono solo sintesi piuttosto superficiali ed elementari, che diventano più dettagliate ad un livello di aggregazione che esclude di poter intervenire in modo significativo sul micro; il secondo è che il vero obiettivo di Amazon, essendo un negozio, non è piazzare un prodotto nuovo, ma realizzare una vendita, quindi, una volta saputo che un utente sta cercando qualcosa, il solo messaggio che è interessata a mandare è “comprala da me!”, “comprala da me!!”, “comprala da me!!!”.

Miliardi di dollari di consulenze ed intermediazioni, aziende che prosperano solo su questo, professionisti di alto livello strapagati, bulimia di dati e necessità di profilazione dell’utenza fino a far decadere qualunque concetto di privacy, il tutto per ottenere l’effetto che i supermercati e le librerie di quartiere realizzano con le tessere fedeltà.

L’analisi dei big data. Ma fatemi il piacere!

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Bulimia

24 venerdì Ott 2014

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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Amazon, analisi dei dati, big data, cialtroni, cloud, cloud computing, controllo, data analysis, data analytics, data science, datagate, dati personali, Edward Snowden, Facebook, Google, grande fratello, NSA, orrore, privacy, Snowden, Statistica, voglio scendere

I big data sono scientificamente una stronzata; al momento dal punto di vista analitico sono il nulla cosmico e non rispondono a nessuna esigenza diversa dalla smania di raccogliere, immagazzinare e catalogare il maggior numero di informazioni possibili.

In realtà i big data non è nemmeno chiaro cosa siano. Non esiste una definizione formale, esiste soltanto la possibilità tecnica, grazie allo sviluppo tecnologico, di immagazzinare tutte le informazioni che transitano in tempo reale attraverso internet in tutte le sue forme, quindi ciò che gli utenti cercano, il loro traffico, le pagine che visitano, i contatti che stringono, le persone con cui scambiano informazioni, ciò che scaricano, ciò che usano sui loro dispositivi perennemente connessi e via dicendo. Ogni operatore raccoglie e conserva tutto quello che trova a sua portata, che ne sia intitolato o meno, che abbia la licenza a farlo o meno, perché tanto tecnicamente costa poco ed è difficilissimo andare a contestare la legittimità del possesso di un dato perché la legge viene facilmente elusa dal posizionare server e sedi legali in giro per il mondo e dal fatto che il dato contestato dovrebbe prima di tutto essere trovato.

Big data significa, allo stato attuale, dati che non è possibile immagazzinare o processare con un solo dispositivo. Dal punto di vista teorico si potrebbe, anche se dubito che chi li tratta e finge di utilizzarli abbia una conoscenza così raffinata delle procedure statistiche, sostenere che uno scopo base sia quello di disporre di una lista esaustiva degli utenti, in modo da poter da un lato prescindere dalle procedure di campionamento e di estensione induttiva che generano incertezza e lavorare esclusivamente sui censimenti, dall’altro, nel caso in cui si debba procedere ad analisi campionarie, poter selezionare un campione con rigorose basi probabilistiche, e dunque estremamente informativo.

In realtà chi fa big data analysis, chi la fa veramente, ossia chi dispone di una potenza analitica mostruosa come Google, Amazon, Facebook e via dicendo, non fa niente di tutto ciò. L’analisi dei big data, di quelli veri, non ha come scopo la sintesi, ma la profilazione dell’utente, la personalizzazione del servizio e la vendita di dati personali con fini di lucro o di controllo. Per il resto del mondo, si tratta principalmente di combattere con un data base caotico e problematico che si aggiorna più rapidamente di quanto procedure analitiche serie permettano di fornire risultati e dunque consente solamente calcoli basilari che saprebbe impostare chiunque abbia fatto un corso di statistica, il cui vero problema è l’implementazione informatica – poi sie l’immagazzinamento avviene sui server ad esempio di Google, che permette l’esecuzione di query in linguaggio naturale, non serve nemmeno scrivere cinque righe di codice per il calcolo di un coefficiente di correlazione. Tutto ciò permette di giungere a risultati molto meno strutturati rispetto a quelli che si otterrebbero con un campione decente, e basati su analisi molto meno complesse, perché a quelle dimensioni deve fare tutto il computer in quanto sarebbe impensabile sottomettere ad un analista vero un output complesso ed attendersi una lettura sensata – non a caso gli algoritmi si chiamano di machine learning.

Il bello è che chi richiede big data analysis poi pretende che i risultati si focalizzino sulla significatività statistica (il p-value, l’unica cosa che conta, dell’effetto netto non frega più niente a nessuno da anni), che notoriamente è collegata alle procedure di campionamento probabilistico, non ai censimenti, il che conferma che chi si occupa di certe cose non ha la più pallida idea di quello che vuole, dice e scrive.

Il tutto mentre i fornitori dei servizi di cloud (ricordiamo che, come dice Paolo Attivissimo, un’efficace traduzione di cloud è “computer di qualcun altro”) per l’immagazzinamento e la fase analitica, e con essi il governo americano che ci ha da tempo fatto accordi vantaggiosi, gongolano perché raccolgono sempre più informazioni e metadati, che dal loro punto di vista, dal punto di vista di chi intende solo profilare, sono utilizzabili e spendibili.

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