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Come i leghisti con i profughi

13 sabato Gen 2018

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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abusi, abuso di potere, analfabetismo funzionale, carabinieri, Catherine Deneuve, cialtroni, Deneuve, fastidio, forze dell'Ordine, genere, idee chiare, molestie, molestie sessuali, molesto, polizia, potere, prostituzione intellettuale, sesso, stupro, supri, violenza, violenza di genere, violenza sessuale

Nutrivo da un po’ il dubbio che certa gente che straparla di femminismo, sessismo, molestie sessuali, stupri ed in generale di questioni di genere avesse le idee un po’ confuse, che quando dice “so distinguere perfettamente tra un’avance ed una molestia sessuale” si sopravvaluti sensibilmente. Grazie alla lettera di Catherine Deneuve firmata da 100 intellettuali francesi che ricorda come uno che ci prova, magari in maniera un po’ goffa, insistita o anche importuna, che introduce argomenti privati o un po’ espliciti fuori contesto, o che sfiora il ginocchio di una donna non è un molestatore e che portare avanti una mostruosità del genere finirà per intaccare le libertà sessuali, ne ho avuto la certezza. In quattro giorni su Internet si sono lette assurdità di ogni tipo e livello, ma alla fine due cose sono emerse in modo chiaro: primo, buona parte dei commentatori è formata da gente che interviene per sentito dire e da analfabeti funzionali che la lettera l’hanno letta ma non l’hanno capita; secondo, la differenza tra un comportamento inopportuno ed uno penalmente perseguibile, di fatto tra persona molesta e molestatore, non è chiara per niente.

La prima cosa abbastanza ovvia da sottolineare è che manipolare, banalizzare o fingere di fraintendere le parole altrui per criticarle indica assenza di argomenti: Sostenere che Catherine Deneuve avrebbe scritto che le donne devono farsi molestare, che quelle che non se lo fanno appoggiare in metropolitana sono delle puritane, è una pura e semplice invenzione: chi polemizza su questo polemizza sul nulla, ed in un certo senso le dà ragione. La seconda, altrettanto scontata, è che attaccare il ragionatore invece del ragionamento, come se il fatto che la Deneuve si sia in passato spogliata al cinema la inibisca a discutere di diritti delle donne e la renda una sostenitrice del patriarcato, è ridicolo ed inutile se non dannoso alla discussione.

Passiamo al merito della questione, con un breve esempio: qualche tempo fa fece più o meno il giro di Internet un video in cui una donna avrebbe subito 108 “molestie sessuali” nel corso di 10 ore trascorse per strada. Praticamente tutte suddette “molestie sessuali” consistevano in saluti o commenti, nient’altro. Comportamenti certo non graditi, magari anche molesti, ma se parliamo di “molestie sessuali” parliamo di un reato che prevederebbe una pena detentiva. Davvero vogliamo invocare il codice penale per uno che dice “ciao bella” per strada?

Dice, “ma sono fastidiosi”. Certo che sono fastidiosi, ma il punto è esattamente quello: c’è differenza tra un comportamento fastidioso ed uno penalmente perseguibile, e, esattamente come rileva Catherine Deneuve, non sembra che questa differenza sia chiara. Anche il camion della nettezza urbana che passa alle tre di notte sotto le finestre di chi cerca di dormire perché si deve svegliare alle sei è fastidioso, ma nessuno parla di denunciarlo.

Oltretutto, il “fastidio” è una reazione soggettiva, e io ho letto esempi allucinanti: da quella che “se ti dico no è no, se insisti è violenza e io ti cicco in un occhio” (non c’è nessuna violenza nel fare un secondo tentativo, nel ‘ciccare’ in un occhio sì) a quella che dopo aver ricevuto dei fiori senza biglietto nel negozio in cui lavorava si è fatta andare a prendere dal padre perché temeva per la sua incolumità. Sarebbe ora di rendersi conto che in questi casi il problema non sono gli uomini, nemmeno quelli molesti, ma certe donne che vivono in uno stato di terrore autoindotto degli uomini, come i leghisti coi profughi.

Il fine ideale di certe integraliste che hanno o cavalcano certe paure irrazionali ed ingiustificate, il loro scopo recondito, è molto semplice: poter arrivare ad agitare lo spettro della denuncia per molestie a chi gira loro attorno e non è gradito. Donne che, peraltro, messe alle strette, non possono altro che suggerire una maggiore presenza delle forze dell’ordine a cui rivolgersi ogni volta che si sentono minacciate – forze dell’ordine i cui membri sono o sono stati processati per la macelleria della scuola Diaz, l’omicidio Cucchi e, guarda un po’, un doppio stupro a Firenze: tipiche persone che vorrei incontrare mentre cammino da solo in un vicolo di notte.

Viviamo in una società in cui la stragrande maggioranza dei comportamenti violenti contro le donne avviene tra le mura di casa; degli altri, nella maggioranza dei casi si tratta di violenze perpetrate da congiunti; dei rimanenti, la stragrande maggioranza degli episodi è riconducibile a situazioni di abuso di potere (il capo che molesta le sottoposte, il produttore che molesta la provinante, il poliziotto che violenta la turista alticcia). Non mi pare si sentano spesso, in relazione ad uno stupro, commenti tipo “ce lo aspettavamo: le fischiava quando passava”, mentre “sembrava una brava persona” e “salutava sempre” vanno per la maggiore.

Le molestie sessuali non hanno nulla a che vedere col sesso: sono un’espressione di potere. Forse anche certe cosiddette femministe (spesso a loro volta un po’ troppo attratte dal potere) prima o poi ci arriveranno.

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Stipendio

08 lunedì Gen 2018

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di letteratura, Un mondo di cialtroni

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Amazon, anni 30, antifascismo, Bassani, Bezos, catalanata, cialtroni, classici del 900, diritti, diritti dei lavoratori, diritti del lavoro, Farinetti, fascismo, Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, JEff Bezos, lavoratori, lavoro, letteratura, Micòl, Micòl Finzi-Contini, Oscar Farinetti, politica, precariato, precarietà, Sinistra

“Lo stipendio compra il lavoro, non la persona che lo svolge”.

Questa frase è contenuta in un romanzo italiano scritto alla fine degli anni Cinquanta ed ambientato per la maggior parte nella seconda metà degli anni Trenta. Non è una sentenza emessa dal narratore, bensì parte di un dialogo tra i protagonisti dell’opera, dei ragazzi attorno ai 25 anni di elevata istruzione (tre su quattro sono laureati, il quarto è fermo alla tesi) e discreto benessere. All’interno della conversazione, la frase non è pronunciata dal personaggio politicamente più attivo dei quattro, un comunista dichiarato, nonché l’unico non ebreo, e come tale l’unico non direttamente vittima dei provvedimenti discriminatori del fascismo, ma dalla figlia minore di una famiglia ricca – una famiglia che, contrariamente ad altre, anche prima delle discriminazioni aveva sempre mostrato ostilità nei confronti di Mussolini ed ostentato un atteggiamento progressista, ma pur sempre lontano dall’antifascismo da barricate e dalle istanze della classe operaia.

Oggi, nel 2018, nella società in cui un’azienda verifica il comportamento di un candidato sui social media prima di sottoporlo ad un colloquio di lavoro senza che nessuno lo consideri inappropriato, nel mondo in cui si può essere multati o licenziati per un commento imprudente nei confronti del capo o della compagnia per cui si lavora, in Italia, con la benedizione di un governo guidato da un partito che si dice di sinistra ed ha avallato il licenziamento arbitrario, la medesima frase sarebbe probabilmente vista come estremista, proveniente da quella sinistra che vuole regalare il paese alle destre ed ostacola il grande rinnovamento portato avanti da chi vuole rendere precaria la società in tutti i suoi aspetti ed immagina un mondo in cui siano tutti clienti felici di Amazon e Booking – a proposito di chi fa maliziosamente confusione tra ciò che le persone, non solo i dipendenti, fanno, ciò che hanno e ciò che sono.

Insomma, lavori al Centro di Incubazione e di Condizionamento: ringrazia che un lavoro ce l’hai e tieni un comportamento appropriato alla tua posizione anche fuori dall’ufficio!

Ecco, in una sessantina d’anni siamo passati dal considerare una sostanziale catalanata, fatta dire da Giorgio Bassani al personaggio complessivamente più equilibrato del suo libro più famoso, un’opinione bizzarra, anacronistica e, diciamocelo, un po’ anti-sistema. In una sessantina d’anni siamo arrivati a considerare un’estremista dei diritti dei lavoratori una come Micòl Finzi-Contini.

Con i sentiti complimenti dei grandi capitani d’industria contemporanei, da Jeff Bezos ad Oscar Farinetti.

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L’internazionalismo di quartiere

29 domenica Ott 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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catalani, Catalogna, cialtroni, comuni, Crimea, democrazia, Donbass, Europa, fascismo, federalismo, indipendentismo, indipendenza, internazionalismo, localismo, Lombardia, Maroni, nazismo, politica, Puigdemont, Putin, Rajoy, referendum, Russia, secessione, signorie, Spagna, stato, Ucraina, UE, Unione Europea, violenza, voto

C’era una volta uno Stato. Si chiamava Cialtronia, era il paese dei nostri incubi ed era fortunatamente molto diverso dalla gran parte dei paesi europei. In questo stato, nella sua parte orientale per essere precisi, c’era una regione che, per ragioni linguistiche e culturali, non riteneva di farne parte, ma per complesse questioni politiche e di storia contemporanea, era politicamente sotto il controllo della capitale.

Ad un certo punto, a seguito di una fase di forte instabilità politica interna, terminata con la presa di potere da parte di un gruppo reazionario, corrotto e con simpatie verso l’estrema destra, i contrasti con la regione orientale a maggioranza non Cialtrona si acuirono. Lo Stato centrale rispose alle pretese della regione autonoma prima con stizza ed arroganza istituzionale, poi proprio con violenza. I media europei fecero inizialmente finta di non vedere, poi presero sistematicamente ad ignorare quello che succedeva nella zona est di Cialtronia, dove la popolazione chiedeva il ripristino dell’ordine democratico, interrotto con la presa del potere del governo in carica, o, in alternativa, la concessione dell’indipendenza.

Le cose degenerarono, e si finì in una vera e propria guerra civile. Le città principali della regione indipendentista di Cialtronia vennero attaccate, mentre su Internet si iniziavano a diffondere video ed immagini che sembravano testimoniare l’uso di bombe a grappolo da parte del governo centrale e le aperte simpatie naziste delle truppe che combattevano per conto dello stato Cialtrone. In tutto questo, i media europei continuavano a non raccontare quello che succedeva veramente, preferendo concentrarsi su supposti crimini perpetrati dagli indipendentisti.

In realtà una cosa del genere in Europa è effettivamente successa: non in Catalogna, ma in Ucraina, a seguito del colpo di stato che ha portato Poroschenko al potere e il Donbass a chiedere la secessione. Non ricordo orde di internazionalisti filorussi contro il potere centrale corrotto e fascista, probabilmente perché con le regioni separatiste si era all’epoca schierato Putin (e, si sa, le brave persone sostengono attivamente l’esatto contrario di quello che dice Putin), ma forse ero distratto.

Adesso invece siamo pieni di indipendentisti alle vongole: questi soggetti, che qualche anno fa erano sulle barricate contro la validità del referendum che ha restituito la Crimea alla Russia, si spellano le mani di fronte ad una votazione, quella catalana dell’1 ottobre scorso, ai limiti del grottesco, con un tasso di partecipazione del 42% e voti multipli documentati, perché “il popolo si è svegliato”. Per una curiosa coincidenza, anche in Lombardia, nell’altrettanto ridicolo referendum a sostegno dello “statuto speciale” indotto dalla Lega e tenutosi la settimana scorsa, ha votato circa il 40% degli aventi diritto, peraltro non mi risulta che Roberto Maroni abbia chiesto alla popolazione di stampare le schede a casa e portarle in qualsiasi seggio aperto. Però i lombardi che hanno votato sono dei pagliacci, i catalani un popolo che si sveglia, il referendum lombardo è stato un fiasco, quello catalano una grande prova di democrazia.

Dice: “ma le violenze della polizia!” A parte che girano articoli che mostrano come alcune foto siano false e risalgano addirittura a scontri tra manifestanti e polizia catalana, qui stiamo parlando di spaccare uno stato con il “mandato popolare” fattivamente espresso del 38% della popolazione.

Trovo poi particolarmente ridicoli quelli che esultano per il contributo dato dai catalani alla disgregazione dello Stato nazionale a vantaggio dell’internazionalismo. Secondo questi soggetti, dunque, il superamento degli Stati nazionali passa per la loro moltiplicazione. I prossimi indipendentismi saranno dei Paesi Baschi e della Galizia, poi si separeranno le regioni vallone da quelle fiamminghe in Belgio, quindi finalmente toccherà alla Scozia e al Galles, successivamente a Veneto e Sicilia, e alla fine chissà, magari riusciremo a spaccare a metà anche il Lussemburgo. Purché Putin non sia favorevole, altrimenti tutti compatti ad opporsi.

Avanti così, verso l’internazionalismo di quartiere, per un ritorno a comuni e signorie (notori esempi di pace e tranquillità per secoli, peraltro), però globali. Ma fatemi il piacere.

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Rivelazioni

25 mercoledì Ott 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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abusi, abuso, abuso di potere, alfa, Amazon, ambizione, Asia Argento, Bezos, Bill Gates, cialtroni, competitività, costume e società, Cristiano Ronaldo, donne, Eataly, economia, Farinetti, femminismo, Harvey Weinstein, Hollywood, Lady GaGa, maschi alfa, Merkel, Michael Crichton, molestie sessuali, personalità alfa, politica, potere, Renzi, ricchezza, rivelazioni, sesso, società, stupro, uomini, valori, violenza, violenza sessuale, Weinstein

Allora, in Italia, nel 2017, pare che grazie al caso Weinstein ed alle denunce di Asia Argento, con tutto quello che ne è seguito, abbiamo scoperto che le persone di potere commettono abusi. Per il 2018 mi aspetto l’incredibile rivelazione che l’acqua è bagnata.

Senza andare troppo indietro, correva l’anno 1994 e negli Stati Uniti un uomo finì sulla graticola: il suo nome era Michael Crichton, era l’autore del romanzo “Jurassic Park” che era appena stato trasposto al cinema per la regia di Steven Spielberg (cosa che ci aveva consentito di vedere dei dinosauri perfettamente credibili su uno schermo!), ed il motivo era la pubblicazione della sua ultima fatica letteraria, “Rivelazioni”. Il libro parlava della vita in un’azienda high-tech americana e il plot principale si snodava attorno ad una vicenda di molestie sessuali: la ragione del rumore fu il fatto che nel romanzo la vittima era un uomo ed il molestatore una donna, sua superiore.

Il libro fu subito accusato di essere antifemminista, ed in parte lo era, infatti Crichton aveva dichiarato più volte di non poterne più di un movimento che stava finendo per considerare la donna una specie protetta – un po’ come quella parte di femminismo nostrano che combatte il patriarcato per sostituirsi ad esso, ad esempio dicendo alle donne come vestirsi e comportarsi per evitare di screditare o creare problemi alla causa. I lettori che non soffrivano di analfabetismo funzionale, però, capirono abbastanza rapidamente che la tematica centrale non erano le molestie sessuali, ma l’abuso di potere. Nel libro, dopotutto, l’avvocato a cui il protagonista si rivolge per tutelarsi e minacciare causa alla sua superiore lo asserisce piuttosto chiaramente: le molestie sessuali non c’entrano niente col sesso, sono una manifestazione violenta di potere.

Qualsiasi persona ricerchi ossessivamente il potere, il successo, i soldi e qualunque altra forma di realizzazione personale che si basa sul sentirsi superiore agli altri, è uno che, in un modo o nell’altro, è propenso all’abuso. Politici arrivisti, arrampicatori sociali, squali della finanza, scalatori di gerarchie aziendali, imprenditori aggressivi e competitivi: tutte tipologie di individui da cui è lecito attendersi un comportamento abusivo nei confronti del prossimo. È quello che fanno le cosiddette personalità alfa.

Lo fa Renzi quando caccia dal partito chi non la pensa come lui e lo fa la Merkel quando impone ai greci di rinunciare alle cure mediche gratuite; lo fa Bezos quando obbliga i dipendenti a ritmi massacranti e condizioni lavorative schiavistiche e lo fa Farinetti quando ricatta i dipendenti e insulta chi lo contesta; lo fa il barone universitario quando chiede all’assegnista di portargli a spasso il cane o quando non gli fa firmare un articolo; lo fa il broker della City quando manda migliaia di persone sul lastrico spostando soldi per speculare o quando si assume il merito di un’operazione brillante condotta interamente dai suoi assistenti sfruttati e sottopagati; lo fa il tizio col Cayenne quando si ferma in doppia fila bloccando un parcheggio per disabili; lo fa il produttore di Hollywood quando fa capire alla giovane attrice (o anche al giovane attore, perché no?) che o si mette a 90 gradi o non lavorerà mai più.

Ovviamente, solo alcuni di questi comportamenti sono penalmente rilevanti, e l’abuso in ambito sessuale è particolarmente odioso, il punto è che però sono tutte facce della stessa questione – la necessità di esercitare ed ostentare il potere, il bisogno di essere riconosciuti come superiori. Il vero problema, però, è che la società attuale è di fatto subalterna alle personalità alfa: chi lotta, compete e fa di tutto per arricchirsi, emergere e conquistare potere, e ci riesce, è considerato un modello, uno da invidiare ed imitare – non parlo solo dei Bill Gates, eh, parlo anche dei Cristiano Ronaldo e delle Lady GaGa. Chi vive la sua vita con un sistema di valori diverso, non basato su ambizione e desiderio di successo, è normalmente visto come un debole.

L’ipocrisia della società, alla fine, è tutta qui: portare sul palmo di mano come esempi persone che sono intrinsecamente propense all’abuso, e poi sorprendersi e scandalizzarsi quando commettono abusi – ma solo (e nemmeno sempre) se gli abusi sono penalmente rilevanti: negli altri casi si tratta di personalità, carattere e abilità di leadership, mentre il povero sottoposto schiavizzato è solo un fallito che a questo mondo non sa farsi valere.

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Divorzio

18 mercoledì Ott 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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1 ottobre, Andalusia, Barcellona, BCE, Carles Puigdemont, catalani, Catalogna, cialtroni, economia, Europa, fascismo, governo, indipendentismo, indipendenza, Madrid, Mariano Rajoy, Merkel, pestaggi, politica, Puigdemont, Rajoy, referendum, secessione, secessionismo, Spagna, spagnoli, Stefano Olivari, UE, Unione Europea, violenza

Notizie da Cialtronia. Nel paese dei nostri incubi, al cui mondo calcistico faceva spesso riferimento Stefano Olivari, una volta c’era una coppia sposata che stava attraversando una crisi: più precisamente, la moglie della coppia, Rambla, voleva lasciare il marito Lavapiés, che non era per niente d’accordo. All’epoca degli avvenimenti che stiamo narrando, Cialtronia non era un paese moderno, ed il divorzio in generale non esisteva: esistevano i tribunali che decidevano caso per caso, a seconda delle motivazioni.

Uno dei problemi principali della questione era che Rambla, grazie al suo percorso di studi ed alla sua gavetta, guadagnava un sacco di soldi, ma la comunione di beni la costringeva a dividerli con Lavapiés, il quale aveva l’obbligo morale di usarne una parte per mantenere la sua famiglia d’origine, che comprendeva anche membri molto poveri come, mentre Rambla per i suoi introiti aveva ben altri progetti, tra i quali, almeno idealmente, aiutare a sua discrezione i bisognosi, che a Cialtronia peraltro non mancano mai. Inoltre, Lavapiés doveva rifondere i debiti contratti con una potente e vendicativa donna straniera, Bicié. E insomma, Rambla voleva diventare padrona del proprio destino, fino a tentare di trattare personalmente con Bicié la sua parte di debito, anche se Bicié non sembrava molto propensa a considerare Rambla un interlocutore valido una volta sciolto il matrimonio.

Il fatto però era che il tribunale di Cialtronia non considerava le motivazioni economiche una giusta causa di divorzio. Un giorno Rambla decise, nonostante le condizioni avverse, di prendere e lasciare Lavapiés in modo unilaterale, senza il consenso dello stesso, né del tribunale del divorzio. Lavapiés, dopo aver passato anni ad ignorare le richieste di soldi ed attenzioni di Rambla, perse completamente la testa e massacrò Rambla di botte. L’aspetto grottesco dell’aggressione è la persona che voleva scappare veniva pestata dalla persona che voleva tenerla al suo fianco – al di là dell’ovvia ed assoluta gravità del pestaggio, davvero una strategia raffinata. Purtroppo a questo punto la storia si interrompe, perché non è ancora stato scoperto che cosa successe in seguito a Rambla: quello che si sa è che, dopo il pestaggio, non solo parecchi amici, ma finanche alcuni famigliari di Lavapiés avevano iniziato a capire le ragioni di Rambla ed iniziarono a farsi qualche domanda sul loro capofamiglia.

Quello che abbiamo capito, al di là di ogni possibile dubbio, è che se Rambla è una donna capricciosa ai limiti dell’avventato, Lavapiés è un idiota, inadeguato, privo di autocontrollo, squadrista e violento, incapace di ascoltare, uno che di fronte ad un problema si chiude e chiama gli sgherri. Uno che, per prima cosa, la sua famiglia deve rimuovere e sostituire immediatamente, non tanto e non solo, oramai, perché è un inetto completo che non è nemmeno capace di evitare le ire di Bicié e le sue conseguenti rappresaglie, ma soprattutto perché la famiglia deve recuperare una credibilità che con i pestaggi ha miseramente e squallidamente perso.

Rambla non ha mai davvero avuto un motivo per andarsene. Pretesti, ne ha cercati tanti: il voler utilizzare i soldi come voleva lei, purché non se ne avvantaggiassero i parenti di Lavapiés, come se Giralda, Mezquita o Alhambra fossero persone indegne; la corruzione del marito, come se lei credesse veramente di esserne immune nei secoli a venire; la subalternità di Lavapiés verso Bicié, come se, volendo restare nello stesso giro, lei pensasse davvero di essere in grado di parlarci da pari a pari; e via dicendo. Ma non era mai stata oppressa, discriminata o maltrattata, almeno prima del mese scorso.

Adesso, grazie al fatto che nel cervello di Lavapiés comanda un cretino, il motivo ce l’ha, perché le botte non possono essere accettabili, e la combinazione tra irrisione e botte è anche peggio, a maggior ragione se poi i parenti più stretti di di Lavapiés fanno finta che non sia successo niente. Questo lo sa Rambla e probabilmente lo sa anche il tribunale del divorzio.

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Il bravo secessionista

16 lunedì Ott 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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Barcellona, capopopolo, Carles Puigdemont, catalani, Catalogna, cialtroni, economia, fascisti, identità, identità nazionale, indipendentismo, integrazione, internazionalismo, leader, leadership, leghismo, macroeconomia, Madrid, paradisi fiscali, politica, politici, Puerta del Sol, Puigdemont, Rajoy, referendum, secessione, secessionismo, sfruttamento, Sinistra, socialismo, Spagna, UE, Unione Europea

Non capisco tutto questo credito di cui gode in ambienti sinistrorsi il leader indipendentista catalano Carles Puigdemont. Nel corso delle ultime settimane, nell’ordine:

1. Ha varato a tappe forzate dei provvedimenti che consentissero un referendum per l’indipendenza nonostante sapesse che, secondo sondaggi accreditati, grosso modo tra il 38 ed il 42% dei catalani è favorevole ad andarsene dalla Spagna;
2. Di fronte alle reazioni poco concilianti di Spagna ed Unione Europea si è trovato del tutto impreparato – forse pensava che lo avrebbero festeggiato;
3. Di fronte alle inaccettabili violenze della polizia spagnola si è prima di nuovo mostrato inadeguato, poi ha chiesto ai catalani che volevano votare di stamparsi le schede da casa e consegnarle dove potevano, una roba che neanche Trujillo;
4. Dopo un risultato positivo ma certo non eccezionale (anche per via dei prevedibili e documentati voti multipli), ha alzato la voce e avvisato il mondo che avrebbe dichiarato l’indipendenza della Catalogna, salvo non avere la minima idea delle conseguenze del gesto e di come portare avanti il processo;
5. Di fronte alla solidarietà dei giovani di Madrid che la sera dell’1 ottobre cantavano “Viva Catalunya” in Puerta del Sol è rimasto spiazzato, come tutti quelli che vivono in una retorica tipo “io solo contro il mondo” quando si accorgono che le cose non sono così semplici;
6. Messo davanti alle evidenti difficoltà gestionali di un processo di separazione con cui una percentuale rilevante della popolazione che sostiene di rappresentare non è nemmeno troppo d’accordo, se l’è fatta sotto ed è tornato sui suoi passi.

In tutto ciò, se da un lato c’è il lodevole internazionalismo di stampo socialista di una parte degli indipendentisti catalani, dall’altro c’è una tuttora mancante spiegazione su come e dove la Catalogna dovrebbe compensare la perdita economica delle imprese nazionali spagnole che chiuderanno le sedi locali. C’è chi dice che l’apertura verso i mercati internazionali attirerebbe capitali esteri, ma a questo punto sorgono due problemi pratici di difficile soluzione: primo, il fatto che la Catalogna dovrebbe, da paese unilateralmente in fuga da uno Stato membro della CEE dal 1986, negoziare l’ingresso nell’Unione Europea da zero; secondo, il fatto che le multinazionali se ne fregano delle questioni di politica locale, scelgono le loro sedi su basi di convenienza, il che, semplificando un po’, verrebbe a significare che la Catalogna o pensa di diventare una sorta di paradiso fiscale, o ritiene di accettare un livello di sfruttamento dei lavoratori superiore a quello attualmente consentito dalle leggi spagnole. E questo ha molto poco di internazionalismo socialista.

Intendiamoci, io non ritengo Puigdemont peggiore di Rajoy, che, oltre ad essere, come ha mostrato domenica 1 ottobre, uno con tendenze squadriste, violente ed autoritarie, è uno squalo monetarista al servizio dei peggiori deliri contabili della UE ed un imbecille a sua volta completamente impreparato ad affrontare una situazione delicata, al punto da preferire la strada della radicalizzazione dello scontro a quella del ragionamento – e questo è andato avanti per anni, non mi riferisco solo agli ultimi due mesi. Vorrei solo capire, al di là dei suoi discorsi da cappa e spada, dov’è che Puigdemont sarebbe un bravo leader.

Infine, c’è un’altra cosa che mi piacerebbe sapere dai filo-catalani. Abbiamo visto tutti le violenze ed i simpatici saluti fascisti di una parte dei manifestanti contro l’indipendenza – poi siamo sempre tutti bravi a generalizzare con le manifestazioni degli altri ed a fare i distinguo con le nostre, ma non è nemmeno questo il punto. Il punto è: certa gente pensa davvero che, una volta ottenuta la separazione, nello stato autonomo di Catalogna queste cose smetterebbero di verificarsi? In altre parole, secondo questi teorici del bianco e nero il concetto di fondo quale sarebbe? Separatisti buoni e socialisti contro filo-spagnoli cattivi e fascisti?

Ma, anche fosse così, i separatisti catalani, ottenuta l’indipendenza, cosa pensano di fare con gli spagnoli ed i filo-spagnoli brutti e cattivi residenti a Barcellona? Cacciarli a pedate? Così, tanto per capire.

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Il collaboratore

21 giovedì Set 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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cialtroni, cialtronia, collaborare, collaboratore, collaborazionista, contribuire, contributo, cose di lavoro, forma, forma e sostanza, inglese, Italia, italiano, lavorare, lavoro, parole, rispetto, semantica, senso, sfruttamento, sostanza

Ecco un’interessante lezione che ci viene dalla lingua della terra d’Albione.

Una delle parole preferite delle persone che sfruttano il lavoro e la disponibilità, a volte forzata o comunque estorta, degli individui che hanno accanto, è “collaboratore”. Non è mai davvero chiaro quello che significa essere un “collaboratore”: di solito, implicitamente, uno che dà una mano a titolo imprecisato, il che, a Cialtronia, significa per la gloria, forse per il curriculum, ma molto spesso non per i soldi né per un progetto di lungo periodo. Un collaboratore non è uno con cui si ha un rapporto forte e stabile, è uno che c’è e non si sa cosa e soprattutto quanto faccia.

Dall’inglese, la parola “collaborator” può essere tradotta in due modi: come “collaboratore” e come “collaborazionista”. Di conseguenza, il termine assume una connotazione piuttosto negativa, e viene usato raramente per descrivere le situazioni lavorative: si preferiscono i termini “co-worker”, “cooperator” o “contributor”, a volte “colleague”. Una persona che usa l’inglese in ambito lavorativo tendenzialmente non chiede ad un professionista con chi o a che cosa ha collaborato, ma con chi la lavorato e a che cosa ha contribuito.

In effetti suona molto meglio: si “contribuisce”, non si “collabora”, alla realizzazione di un progetto. Un “contributo” è qualcosa di rilevante, di significativo, e soprattutto di definito: è sempre possibile identificare il contributo di una persona ad un lavoro. “Contribuire”, inoltre, subito l’idea di partecipazione attiva, di lavoro effettivamente svolto, che come tale viene riconosciuto, sia in sede di attribuzione dei meriti sia in termini di compenso.

O magari si “coopera”, che invece dà una vivida sensazione di assenza di strutture gerarchiche: nessuno coopera per un capo, si coopera con una squadra per raggiungere un obiettivo comune.

“Persona con cui si lavora”, “collega”, “membro del team”, analogamente, sono tutte espressioni che fanno pensare a parità di livello, in questo caso non necessariamente in senso gerarchico (si può dirigere un team ed indicare gli altri membri come tali), ma sicuramente in senso di partecipazione. Un “collaboratore” dà l’idea di essere una persona esterna, non coinvolta personalmente nelle attività, che fa saltuariamente la sua parte e poi se ne va. Come tale, non necessita di un riconoscimento formale al di là della pacca sulla spalla.

Le parole sono importanti e molto spesso vanno molto oltre gli aspetti puramente formali di un discorso: usiamole correttamente. O, almeno, le usino correttamente le persone che sono vittime di sfruttamento: lasciamo a chi vuole ostentare che si approfitta degli altri l’uso esclusivo del termine “collaboratore”.

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Capitalismo

24 lunedì Lug 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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Amazon, anticapitalismo, banche, Booking, capitalismo, cialtroni, concorrenza, diritti civili, diritti sociali, economia, economia politica, Facebook, feudalesimo, Google, imprenditori, investimenti, leggi, liberismo, lobbismo, lobby, neoliberismo, paradisi fiscali, PMI, politica, politica economica, regole, sistema economico, soldi, speculazione, stato, tasse, teoria economica

Cos’è il capitalismo?

Il capitalismo è stato il sistema economico grosso modo prevalente degli ultimi tre secoli. Funziona più o meno così: un tizio investe soldi, conoscenza e capacità organizzativa in un processo produttivo ed assume lavoratori per portare a termine l’attività; i lavoratori guadagnano un salario basato sostanzialmente sulle condizioni economiche e sulla reciproca forza contrattuale, mentre l’imprenditore vede remunerato il proprio investimento ed il lavoro di organizzazione mediante un profitto. In tutto questo, lo Stato serve a garantire la presenza di condizioni favorevoli all’attività economica, ad esempio il rispetto delle norme di concorrenza. L’associazionismo a tutela degli interessi di categoria, sia degli imprenditori che dei lavoratori, è consentito. Le banche fungono da intermediari tra il risparmio privato ed il finanziamento dell’attività imprenditoriale.

Esistono diversi gradi di limitazione e regolamentazione dell’attività economica. Ad esempio, lo Stato può anch’esso essere capitalista, ma senza fini di lucro, per gestire la produzione di beni e l’erogazione di servizi essenziali che non possono essere soggetti a transazione sul mercato, perché ad esempio altrimenti non tutti potrebbero avervi accesso, o perché l’eventuale fallimento dell’azienda erogante verrebbe a privare la collettività di qualcosa di indispensabile. Inoltre, lo Stato può in certa misura intervenire per evitare l’insorgere di un inaccettabile grado di sbilanciamento nella distribuzione della ricchezza, mediante politiche preventive (come l’imposizione di salari minimi) e correttive (come la tassazione progressiva ed il suo utilizzo per fini redistributivi).

Fin qui come stanno in teoria, ed utilizzando semplificazioni estreme, le cose. Vediamo perché l’attuale sistema economico non ha nulla a che vedere col capitalismo – no, nemmeno con il liberismo più selvaggio, quello secondo il quale lo Stato dovrebbe limitarsi al minimo indispensabile, se non proprio sparire del tutto.

Per cominciare, non c’è nessuna concorrenza. Il sistema economico è drogato da una quantità enorme di storture atte a creare vantaggio a chi è dimensionalmente rilevante: si basa sulle lobby, che possono permettersi di foraggiare i legislatori per ottenere in cambio quello che vogliono; in un sistema aperto esistono paradisi fiscali, dove chi può permettersi di piazzare la sede paga tasse minime, con enormi vantaggi competitivi; nel frattempo vengono mantenuti in vigore concetti di concorrenza dogmatici e ridicoli, che di fatto si ritorcono contro lavoratori e piccole aziende, non contro le società più grandi.

In molti casi i capitalisti non rischiano niente di proprio. In Italia, ad esempio, siamo pieni di imprenditori coi soldi degli altri: mettono su un’attività che permane indefinitamente sull’orlo della bancarotta, che non ha nessuna possibilità di competere alla pari sul mercato (in massima parte per incapacità gestionale, organizzativa e pratica), ma viene tenuta in vita, peraltro sulle spalle dei lavoratori e non di una dirigenza incompetente e strapagata, mediante contributi, aiuti di Stato ed altre gentili regalie, il tutto mentre i dipendenti devono sempre essere a disposizione dell’azienda.

Le banche acquisiscono i risparmi privati ma non finanziano attività produttive. Da anni gli istituti di credito preferiscono sottrarre soldi al circuito dell’economia reale per destinarli a rischiose operazioni speculative di breve periodo, mentre piccole e medie imprese non hanno accesso al credito e annaspano contro giganti che le soffocano col dumping fiscale e salariale, mentre tutti si dicono quanto è bello ordinare le cose su Amazon.

Gli Stati (così come gli organismi sovrastatali) hanno abdicato al ruolo di controllori, non per sparire come vorrebbero i liberisti, ma per gettarsi su quello dei facilitatori: si limitano ad osservare la realtà e, invece di combatterla ove si verifichino storture e si riscontrino comportamenti che violano le leggi e le regole essenziali, abbattono dette leggi e regole essenziali dicendo che il mondo è cambiato e le norme della convivenza civile devono essere superate, e costruendo una società a misura dei desiderata di lobby ed imprese.

Se domani si risvegliassero i teorici del capitalismo come Smith e Ricardo, tornerebbero immediatamente a dormire, depressi dopo aver constatato che il sistema economico è tornato al medioevo, con Facebook e Booking al posto dei signorotti locali e con eserciti di fessi che li idolatrano invece di combatterli. Sono loro, Facebook e Booking, Amazon e Google, i primi ad osteggiare apertamente la vera libera iniziativa economica, i principali e concreti anticapitalisti.

Capitalismo? Ma fatemi il piacere!

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2 metri troppo a sud

03 mercoledì Mag 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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Mi sto facendo un sacco di risate sulla faccenda dello slittamento della Nuvola di Fuksas che andrebbe ad invadere lo spazio dei marciapiede di viale Europa. E le risate non sono legate tanto al pasticcio in sé, che comunque è abbastanza divertente, ma ad alcuni aspetti ad esso strettamente connessi.

Vediamo meglio (le immagini sono tratte da Google Maps). Stando a quello che leggo, il problema sarebbe che la Nuvola sembrerebbe esser stata costruita due metri troppo a sud, il che toglierebbe spazio sia alla cosiddetta Lama, un edificio progettato per diventare un hotel di lusso tuttora in fase di costruzione, ma la cui struttura è stata edificata da anni, sia al traffico pedonale su viale Europa, verso la quale l’intera struttura si affaccia, impedendo contemporaneamente la visuale verso ovest.

Allora, la struttura della Nuvola si trova in un isolato circondato, semplificando, ad ovest da via Cristoforo Colombo, un’arteria fondamentale che unisce il centro di Roma (zona San Giovanni, Terme di Caracalla, porta Ardeatina) all’Eur, il quartiere dove il Roma Convention Center è situato, a nord da viale Asia, ad est da viale Shakespeare ed a sud da detto viale Europa, un viale alberato rettilineo percorso da svariati autobus e da un discreto traffico automobilistico e pedonale che, dal lato ovest, termina sovrastato dalla basilica dei santi Pietro e Paolo. L’ingresso alla Nuvola è sulla Colombo.

La Nuvola occupa, diciamo così, la parte nord dell’isolato, quindi si affaccia su viale Asia, sulla Colombo e su viale Shakespeare. L’affaccio a sud, quello su viale Europa, non è occupato dal centro congressi, ma dal futuro albergo di lusso: la Nuvola non si affaccia su viale Europa. Quindi le possibilità sono due: o la Nuvola è stata costruita 2 metri troppo a sud e toglie spazio alla Lama, o l’intero isolato è stato edificato 2 metri troppo a sud ed invade il marciapiede di viale Europa. Non è possibile che si verifichino entrambe le condizioni.

Passiamo ad un concetto diverso: la tempistica. La Nuvola, nel suo complesso, non è un edificio irregolare all’aria aperta: è costruita all’interno di un parallelepipedo in vetro-cemento, la cui costruzione ha richiesto anni. La Lama è a sua volta un parallelepipedo, ad essa parallelo, anch’esso edificato lungo un periodo di tempo estenuante. Com’è possibile che in oltre 10 anni di lavori di costruzione nessuno si sia mai accorto che le due strutture sarebbero finite troppo vicine? Oppure, se è tutta la struttura che è troppo a sud, com’è possibile che in oltre 10 anni nessuno si sia mai accorto che la Lama si sarebbe trovata troppo a ridosso di viale Europa?

Concludiamo con gli aspetti più ridicoli di tutti: visibilità e viabilità. Da quando sono iniziati i lavori, la carreggiata di viale Europa è ridotta. Provenendo da est, all’incrocio con viale Shakespeare il traffico automobilistico è canalizzato leggermente verso sinistra tramite cartelli e segnaletica orizzontale gialli – quindi provvisori – a causa della presenza del cantiere sul lato destro. Poco prima dell’incrocio con la Colombo, l’intera carreggiata torna a disposizione e le macchine possono spostarsi di nuovo verso destra. Tutto questo avviene non per fare spazio all’edificio della Lama, che è in buona approssimazione alla stessa altezza degli altri palazzi che si affacciano su viale Europa, ma a qualche sorta di servizio posto tra la Lama e la strada.

Da questo discendono due considerazioni. Primo, che la Lama, di per sé, non ostacola la visuale verso la basilica dei santi Pietro e Paolo più di quanto la ostacolino gli altri palazzi, che peraltro al contrario della Lama sono fronteggiati da alberi – la ostacola in altezza, magari, essendo parecchio più alta degli edifici circostanti, ma certo non con un impedimento in orizzontale. Secondo, il restringimento di carreggiata in corrispondenza dei cantieri della Lama è presente da anni; il fatto che, a fine aprile 2017, qualcuno se ne sia improvvisamente accorto è quantomeno bizzarro: nessuno, compresi architetto e direttore dei lavori, è mai transitato su viale Europa negli ultimi 10 anni?

Non è esilarante tutto ciò?

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Vaffanculo

27 lunedì Mar 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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25 marzo, 60 anni, Belgio, CECA, CEE, celebrazioni, cialtroni, Comunità europea, economia, Euro, Europa, Francia, Germania, Italia, Jean-Claude Juncker, Juncker, Lussemburgo, Maastricht, Merkel, Paesi Bassi, politica, Roma, Schengen, SME, Trattati di Roma, UE, Unione Europea, vaffanculo

Sabato a Roma, per chi se lo fosse perso, si sono tenute le celebrazione per i 60 anni dalla stipula dei trattati istitutivi della Comunità Economica Europea, madre dell’attuale pasticcio politico, economico e istituzionale che va sotto il nome di Unione Europea.

Ce ne sarebbero di cose da dire, a cominciare dal fatto che storicamente si è scelto di considerare la nascita della CEE come ciò che ha dato il via al processo di integrazione giusto per avere una data, ma si è trattato di una serie di progressivi passi di maggiore apertura: la creazione della CECA (1951), la nascita di CEE, CEEA e MEC (1957), la loro unificazione (1965-67, 1986), l’istituzione dello SME (1979), gli accordi di Schengen (1985-90), il trattato di Maastricht (1992), l’entrata in vigore dell’Euro (1999-2002) e la creazione formale dell’Unione Europea (1997, 2001, 2007-09). Si potrebbe proseguire ricordando che la CEE nel 1957 era costituita da soli sei paesi, Germania, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, che quindi avrebbero dovuto essere celebrati in prima istanza – giusto invitare chi si è unito più tardi alla festa, ma qualcuno la festa l’aveva iniziata ed avrebbe dovuto essere enfatizzato.

Al di là di tutta la stucchevole retorica europeista, dunque, il 25 marzo 2017 i cittadini di sei nazioni europee hanno festeggiato i 60 anni insieme: 60 anni di libera circolazione, di progressivo avvicinamento culturale, economico e sociale, in cui l’Europa ha smesso di essere un’entità puramente geografica ed è diventata qualcosa di più profondo e coeso. Eppure, sabato a Roma nessuna celebrazione che riguardasse i grosso modo 200 milioni di abitanti coinvolti è stata organizzata o promossa.

Tutto ciò che è successo è che i capi di stato dei 26 paesi attualmente membri della UE, assieme ad alcune istituzioni europee, si sono ritrovati per una celebrazione in Campidoglio, luogo della firma dei trattati originari. In compenso, per garantire sicurezza e decoro e evitare il degrado, gli accordi di Schengen sono stati sospesi per qualche giorno, il centro di Roma è stato militarizzato, alcuni chilometri quadrati sono stati interdetti persino ai pedoni, il tutto mentre si svolgevano la bellezza di sei manifestazioni, quattro in movimento (due di euro-entusiasti, due di euro-scettici) e due sit-in, con una partecipazione trascurabile se non risibile, ed il questore si vantava di aver espulso persone dopo aver verificato il loro “orientamento ideologico”, con buona pace dell’articolo 3 della Costituzione italiana.

In altre parole, quello che è successo sabato è che i leader europei si sono chiusi ermeticamente nell’area dei Fori Imperiali, sorvegliata da una quantità di forze dell’ordine e forze armate sufficiente ad invadere un piccolo Stato, e si sono spompinati a vicenda dicendosi l’un l’altro quanto sono bravi, belli, lungimiranti e popolari. Nel frattempo, fuori da Versailles, pardon, fuori dalla zona di sicurezza, non c’era gente che celebrava a modo suo l’anniversario dell’idea di un’Europa unita e culturalmente unica, e non c’era nemmeno una folla inferocita delusa da un sogno di integrazione trasformato in un incubo burocratico e finanziario che devastava la città e si scontrava con polizia ed esercito. No: c’erano i 200 milioni di persone che avrebbero dovuto festeggiare i 60 anni insieme che pensavano agli affari loro.

È questo che è triste, mesto, disperante: le istituzioni europee sono diventate talmente autoreferenziali da spingere l’intera popolazione ad infischiarsene, non solo di loro, ma anche di quello che rappresentano. E l’aspetto più triste, mesto e disperante è che la reazione degli europei è tutto sommato quella giusta, o almeno la più equilibrata: le istituzioni fieramente rappresentate da uno come Juncker, il cui unico merito è quello di aver trasformato il Lussemburgo in un paradiso del dumping fiscale ed aver per questo riscosso il placet delle lobby che foraggiano i governi europei, vogliono chiudersi nel loro alto castello a celebrarsi ed esaltarsi? Facciano pure. Se credono, mi facciano sapere l’indirizzo, magari mando un telegramma. Ma non si aspettino il mio applauso: ho cose più importanti a cui pensare.

In italiano tutto ciò si dice “vaffanculo”, ma non credo che ci sia qualcuno interessato davvero a capirlo. Quando poi ricorderanno che tutti i grandi imperi della storia sono caduti dopo che i loro gerarchi si erano chiusi nelle loro prigioni dorate a banchettare fregandosene di quello che succedeva fuori, sarà troppo tardi. Che amarezza!

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