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Lourdes

07 domenica Gen 2018

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di cinema

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Amélie Nothomb, attrice, Bruno Todeschini, cinema, cinema francese, cinismo, distopia, fede, film, grottesco, Hausner, invidia, Jessica Hausner, Léa Seydoux, Lourdes, Luna Lovegood, meschinità, pellegrinaggio, pellegrini, pellicola, persone, polemica, recitazione, regia, religione, satira, Seydoux, Stupore e tremori, Sylvie Testud, Testud, umanità, uomini

Avevo questo film sul computer da mesi e non l’avevo mai guardato. Avevo due paure: primo, che fosse un film a sfondo religioso, e come tale non mi sarebbe piaciuto; secondo, che fosse un film di pura critica alla fede, di quelli aggressivi ed irridenti, e come tale non mi sarebbe piaciuto. L’avevo scaricato per stima nei confronti di un paio di attori, lo svizzero Bruno Todeschini e, molto più importante, la meravigliosa Léa Seydoux, la donna più bella della storia dell’universo, che fortunatamente non soffre di particolari problemi di pudicizia, tanto che credo “Lourdes” sia la prima pellicola che ho visto in cui lei appare completamente vestita dall’inizio alla fine. Alla fine ho deciso di vederlo perché ieri volevo guardare un film in francese per ragioni di studio e ha vinto lui.

Cominciamo da questo: il film non parla di fede, e parla anche poco di religione. Quello di cui parla sono gli uomini, le persone, e diciamolo fin dall’inizio, non ne parla molto bene.

La protagonista dell’opera è Sylvie Testud, che interpreta una donna affetta da sclerosi multipla, che per disperazione, ed anche per fare qualcosa di nuovo, tenta la carta del pellegrinaggio a Lourdes. Durante la sua permanenza si sente palesemente fuori posto ed esterna opinioni e commenti su realtà inconfutabili senza curarsi delle conseguenze; è assistita da Maria, la volontaria interpretata dalla Seydoux, coadiuvata dalla coordinatrice del viaggio. Le sue interazioni principali avvengono con la compagna di stanza, che non si capisce bene cosa abbia, ma è devota all’immagine della Madonna ai livelli della superstizione, con un paio di altre beghine presenti in loco non si sa a che titolo, un sacerdote che parla per frasi fatte e risponde alle domande, talvolta apertamente provocatorie, che gli vengono poste con frasi da prontuario del cattolico dilettante, e con un tizio in uniforme con cui sembra esserci un interesse, ostacolato dalle condizioni della donna.

Quello che viene evidenziato per tutta la durata della pellicola è la palese, finanche ostentata mercificazione del miracolo, con relativa sottintesa presa in giro dei pellegrini. L’idea che la struttura sfrutti la fede di pochi e la disperazione di molti per campare con viaggi organizzati tra il grottesco ed il distopico non è solo suggerita, è espressa in termini piuttosto chiari. Poi, a due terzi del film, Christine improvvisamente è in grado di alzarsi, e dunque si grida al miracolo: persino i medici da cui viene portata (e da cui c’è la fila, perché i sospetti miracoli sono tutt’altro che rari, laggiù), per quanto prudenti nel ricordare che la sclerosi multipla può conoscere fasi di apparente remissione, sono sorpresi dall’entità del recupero.

A questo punto il film, per così dire, parte all’attacco. Le reazioni dei pellegrini all’apparente guarigione sono sintetizzabili nelle seguenti tre parole: “perché a lei?” Il sacerdote è ovviamente preso in contropiede e reagisce alla sorpresa tirando fuori le migliori frasi di circostanza del prontuario, in sequenza; gli altri malati la guardano con invidia e sospetto, apertamente delusi dal fatto che non sia toccato a loro; le beghine ne hanno un po’ per tutti, ogni volta che aprono bocca è una sentenza, solitamente di uno squallore indecente. Le uniche che non ne escono a pezzi sono la compagna di stanza di Christine, che assiste in silenzio agli eventi, e Maria, che è tutto sommato il personaggio di contorno più umano. Il tutto fino ad un finale amarissimo, che mette ancora più a nudo rancori, meschinità e povertà umana delle persone.

“Lourdes” è un’opera di un cinismo spettacolare. La cosa interessante è che non c’è un attacco diretto alla fede o alla disperazione, né in generale alla situazione che vivono i pellegrini, di cui invece il santuario di fatto si prende gioco. Forse avrebbe potuto essere più aggressiva in alcuni momenti, ma davvero anche così ce n’è abbastanza.

Una riflessione sull’attrice protagonista del film, Sylvie Testud: per tutti i 95 minuti di visione avrei voluto abbracciarla fortissimo; poi ho visto una sua intervista a proposito della pellicola, ed avrei voluto abbracciarla ancora di più. È bionda, mette a nudo realtà assurde, ha gli occhi chiari e lo sguardo sognante: Luna Lovegood esiste davvero, ma è un’attrice francese. Un’attrice francese che nel 2003 ha recitato in “Stupeur et tremblements”. In altre parole, Luna Lovegood ha interpretato i grotteschi e fantozziani tentativi della giovane Amélie Nothomb di farsi strada in una grande azienda giapponese: voglio vedere quel film!

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Virginie Despentes: “Apocalypse baby”

11 domenica Nov 2012

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di letteratura

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Apocalypse baby, Barcellona, cinismo, Despentes, detective, Einaudi, Francia, letteratura, libri, narrativa, Parigi, pulp, realsimo, romanzo, Virginie Despentes

Virginie Despentes - Apocalypse babyQualche giorno fa, andando a trovare due amici che lavorano in una libreria, mi cadde l’occhio su questo libro pubblicato da Einaudi; al momento di andarmene e lasciarli al loro lavoro decisi, nonostante il prezzo di 18 euro (leggermente ridotto da un piccolo sconto tra amici) di fare il tentativo e comprarlo. A causa di una recente conversazione via mail con un’amica sugli acquisti alla cieca – ed in particolare sul piacere che lei si perde utilizzando oramai quasi solo il formato elettronico – temevo che il karma mi avrebbe punito con un romanzo modesto o, peggio, squallido. Fortunatamente non è andata così.

“Apocalypse baby” è un libro che può benissimo non piacere. I motivi sono tanti, dall’approccio narrativo alla discontinuità nello sviluppo della storia, dal realismo esasperato che porta l’autrice a descrivere scene che possono facilmente essere considerate gratuite o volte a scandalizzare all’assurdo finale. Ovviamente qualunque romanzo, così come qualunque cosa, può piacere o meno, ma in questo caso non si parla di un lavoro che, al di là del gusto del lettore, si caratterizza per particolari aspetti di grandezza o di originalità. Io tuttavia l’ho trovato un libro magnifico.

Lucie, una cinica e sprovveduta investigatrice privata, ha il compito – come le capita oramai fin troppo spesso – di sorvegliare un’adolescente problematica, figlia di uno scrittore di medio successo; la ragazza di punto in bianco sparisce e Lucie viene incaricata di ritrovarla. Non avendo la minima idea nemmeno di come iniziare a cercarla, decide di farsi aiutare dalla Iena, una figura leggendaria nell’ambiente che Lucie riesce a contattare attraverso legami comuni, energica, efficiente, manesca, androgina e convintamente lesbica.

Dopo una prima fase che si svolge a Parigi all’interno di una serie di ambienti adolescenziali sconfortanti, tra sesso estremo, stupri, cocaina e bravate di varia natura, le ricerche portano la male assortita coppia di investigatrici alla ricerca della madre della ragazza, una signora benestante ed innamorata del lusso che vive a Barcellona cercando di impedire che il suo passato la raggiunga. Lucie si barcamena come può, la Iena attiva una serie di contatti, per arrivare a svelare la vera posta in gioco, la cui entità emerge lentamente nell’ultima parte del romanzo, fino ad un finale privo di senso, ma che ha comunque il non indifferente merito di sorprendere, superando la scontata dicotomia tra il finale positivo e quello negativo, fino a poche righe prima suggerita.

La narrazione è piuttosto singolare, anche se non del tutto nuova. L’io narrante è Lucie, ma a capitoli alterni. Negli altri viene mostrato il punto di vista di un personaggio alla volta, usando sempre la terza persona, nel momento in cui, talvolta in modo del tutto inaspettato ed inizialmente quasi balbettante, questo si interfaccia con la trama principale. La Despentes tratteggia per ognuno di questi narranti alternativi qualche breve cenno biografico od introduttivo, atto a spiegare e circostanziare i suoi movimenti e le sue scelte. Si tratta di brani che esulano dalla struttura portante, a volte interessanti altre meno, ma sempre realistici e funzionali, e che una scrittrice cialtrona avrebbe utilizzato per scrivere 3 o 4 romanzi diversi. Gli stili di scrittura sono però complessivamente solo due: quello cinico e contemporaneamente ingenuo di Lucie e quello impersonale – quantunque sempre iper-realistico e “sporcato” di volta in volta da scelte lessicali, grammaticali legate al gergo del carattere tratteggiato – dalla narrazione in terza persona.

Il realismo e la critica sociale caratterizzano in modo deciso l’approccio dell’autrice. I personaggi, di vario tipo, estrazione ed età, vengono rappresentati con dovizia di particolari cialtroni, debolezze ed aspetti squallidi: menzogne, ricatti, gelosie, ipocrisie, droghe e sesso a profusione. Spesso questo viene fatto con l’aiuto, davvero prezioso e ben calibrato, della descrizione da più punti di vista. La Despentes prende chiaramente le parti delle sue due protagoniste, quantunque a volte del tutto incompatibili tra loro: una donna diretta verso la mezza età piena di insicurezze ed insoddisfazioni che si rifugia dietro il disprezzo per ciò che la circonda, ed una che si avvicina ai 50, manesca, brutale e accondiscendente. Gli altri escono tutti con le ossa rotte, tranne qualche giovanissimo con la scusante dell’idealismo, sempre che non lo abbia già venduto. Discorso analogo per i luoghi: Parigi non fa una bella figura, ma Barcellona ne esce a pezzi. In questo senso il messaggio di fondo – o almeno quello portato avanti dalla Iena – sembra essere che la vita è dura, è meglio farsene una ragione, scegliersi qualche regola, rispettarla e prendere tutto quello che arriva.

Non sarà questo grande libro, e può benissimo non piacere. Io però l’ho adorato, e l’ho divorato guardando con crescente tristezza l’assottigliarsi delle pagine che mancavano alla fine. Per me, entusiasmante.

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