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Yeats è morto!

30 giovedì Apr 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di letteratura

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capolavoro, dialoghi, Dublino, follia, genio, Guy Ritchie, I Commitments, I Dieci, Irlanda, Joseph O'Connor, Joyce, letteratura, libri, libro a più mani, Marinetti, narrazione, pulp, Roddy Doyle, romanzi, romanzo, Yates è morto

Joseph O'Connor - Yeats è mortoQualcuno ha letto “I Commitments”? Oramai sono in pochi anche quelli che in epoca recente hanno visto il (fantastico) film di Alan Parker, quindi immagino che il romanzo di Roddy Doyle sia pressoché scivolato nell’oblio, ed è davvero un peccato, perché, incentrato su una band di scappati di casa che decide di portare il soul nella zona nord di Dublino tra prove, concerti, speranze, risse e bevute, è uno dei più divertenti che io abbia mai letto. È scritto a tratti in forma di sceneggiatura, ci sono scene delineate solo utilizzando i surreali e vivaci dialoghi tra 10 persone chiuse in un garage che cercano di imparare a suonare assieme. Le battute sono esplicite e fulminanti, con le voci che si sovrappongono e seguono contemporaneamente tre o quattro conversazioni diverse, di modo che dopo un po’ non si capisce più cosa stia succedendo, chi stia parlando e chi stia mandando affanculo chi, fino al momento in cui qualcuno si impone e ristabilisce la calma a forza di urla.

Ecco, l’autore di tutto questo, del collega scrittore irlandese Joseph O’Connor dice che ha un grande orecchio per la comicità del parlato quotidiano. Che è un po’ come se Woody Allen dicesse di un regista newyorchese che è bravissimo a descrivere le insicurezze e le nevrosi dell’uomo contemporaneo, o come se Aristotele avesse scritto di un filosofo ateniese che con la logica ci sapeva fare.

Joseph O’Connor qualche anno fa decise che l’investitura di grande autore di dialoghi ricevuta dal miglior autore di dialoghi al mondo non gli bastava e, su incarico di Amnesty International per una raccolta di fondi, si cimentò in un’impresa singolare: prese un plot di una mezza specie di thriller incentrato sul presunto, e quantomeno difficoltoso, ritrovamento di un manoscritto inedito di Joyce nell’Irlanda dei giorni nostri, e contattò quattordici colleghi compatrioti, tra cui ovviamente Roddy Doyle, per realizzare la stesura facendo loro scrivere un capitolo a testa. E si noti, non in collaborazione, secondo un approccio, quello dell’opera a più mani, già utilizzato in passato – per quello che ne so, almeno su questa scala, introdotto dal lusinghiero “Lo zar non è morto”, romanzo apparso in Italia in epoca fascista a firma “I Dieci”, un gruppo di scrittori di ambiente futurista, tra cui ovviamente Marinetti. No, più una cosa del tipo “questi sono i primi due capitoli: tu scrivi il numero 3, che deve contenere questi sviluppi e queste informazioni, poi il tuo contributo si esaurisce; quello che succede dopo verrà gestito da chi scriverà il capitolo 4”.

Come non è difficile immaginare, “Yates è morto!” è un libro assurdo. Il primo, ovvio, motivo di interesse è che si tratta di un romanzo pindarico ed illogico, in cui diversi stili linguistici e narrativi si susseguono senza senso, paralizzando e smarrendo il lettore in un’esperienza affascinante e surreale. Il secondo, ancora più ovvio, aspetto curioso risiede nel fatto che ognuno degli autori ha sì inserito i tasselli richiesti, ma per lo più come sottotesto in un capitolo incentrato su tutt’altro, autonomo ed indipendente da quanto fin lì partorito, con il fine di disorientare il lettore e rendere la vita difficile a chi veniva dopo di lui – almeno fino al capitolo 9, quando il povero direttore d’orchestra si è ritrovato a mettere assieme i cocci e dare un senso all’opera imponendo a chi veniva dopo di lui di proseguire in modo almeno passabilmente coerente.

Flashback, inseguimenti, sparatorie, dialoghi assurdi, sviluppi ancora più assurdi ed una serie di cialtroni, poveracci e delinquenti all’inseguimento prima di una scia di sangue e cialtronerie apparentemente emersa dal nulla, poi del manoscritto inedito di Joyce (o forse non proprio di quello) mentre ognuno cerca anche qualcosa di molto diverso per i fatti propri, buona parte dei quali non erano probabilmente nemmeno previsti nel plot originale, rendono “Yates è morto” un romanzo folle e pazzesco, spassoso e labirintico. Un romanzo teoricamente leggero, che tuttavia richiede attenzione e concentrazione, perché perdersi nel caos di improvvisazioni a 30 mani che si fanno i dispetti è facilissimo, ma che ripaga abbondantemente lo sforzo, e può magari introdurre chi legge a qualche nome di un filone letterario – quello irlandese moderno, in cui il pulp alla Guy Ritchie è nato prima di “Lock and stock” – magnifico e sottovalutatissimo.

Un’esperienza esaltante, un libro imperdibile.

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La rapina perfetta (The bank job)

01 mercoledì Mag 2013

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di cinema

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Baker Street, cinema, cinematografia, doppiaggio, Emanuela Orlandi, fantapolitica, film, fotografia, Gran Bretagna, Guy Ritchie, Inghilterra, insabbiamento, Inside man, London Tube, Londra, Mediaset, MI5, Notturno bus, prima serata, Rai, rai 4, rapina in banca, recitazione, regia, Roger Donaldson, Sky, Spike Lee, spionaggio, televisione, The bank Job, thriller, tv

La rapina perfettaQuando Mediaset trasmette la Champions League, la Rai si inchina e non propone nemmeno uno straccio di competizione per tentare di portare via pubblico, mentre nelle serate in cui il calcio europeo va in onda su Sky, è più che probabile trovare qualcosa. Ieri era martedì, ed il canale satellitare proponeva il fallito tentativo di rimonta del Real Madrid contro il Borussia Dortmund. La Rai rispondeva con ben due film moderni ed interessanti: “Notturno bus” su Rai Movie e “The bank job” su Rai 4. Avendo già visto da tempo l’ottimo film di Davide Marengo con la Mezzogiorno, Mastandrea e Pannofino, ho optato per la pellicola inglese. Che si è rivelata un filmone.

L’11 settembre 1971 una banca sita in Baker Street a Londra fu svaligiata penetrando nel caveau da un tunnel sotterraneo; sparirono i contenuti di centinaia di cassette di sicurezza, un bottino di milioni di sterline dell’epoca, eppure, nei giorni, mesi ed anni successivi, un silenzio inquietante avvolse la faccenda – in italiano si dice insabbiamento – nonostante dei rapinatori si conoscessero le voci, grazie ad un radioamatore che aveva intercettato le comunicazioni tra la squadra e il palo. Fin qui i fatti storici realmente accaduti e perfettamente noti. Il regista Roger Donaldson in questo film apre lo scenario alla fantapolitica, sviluppando come ricostruzione degli eventi una delle più accreditate teorie su quanto accaduto e fornendo al tutto una forma romanzata.

L’Inghilterra ha un problema: non riesce a far condannare Michael Abdul Malik, uno spacciatore che si atteggia a difensore dei neri inglesi col nome di Michael X, perché possiede potentissime armi di ricatto – le foto di un membro della famiglia reale (viene suggerito si tratti della principessa Margaret) in imbarazzanti attività sessuali. L’MI5 mette allora una donna ammanicata con la delinquenza londinese nelle condizioni di svaligiare la banca dove suppone che le foto siano custodite. Solo che nel caveau, oltre ai soldi, c’è davvero di tutto: foto scattate da una maîtresse che potrebbero risultare altrettanto problematiche per alcuni mebri dei vertici politici britannici, libri mastri con l’elenco dei poliziotti corrotti della città, cose del genere.

Lo sviluppo rimanda ai primi film di Guy Ritchie: nella prima parte del film la rapina viene imbastita ed effettuata, nella seconda si scatena un putiferio brutale e violento che punta verso un finale in cui le varie sottotrame convergono in modo quasi grottesco. La gestione del ritmo è esemplare, ed anche le parti più esplicitamente romanzate (come le questioni personali del capo della banda) si inseriscono alla perfezione senza appesantire o fuorviare il racconto. Londra di fatto non viene utilizzata, salvo per gli appuntamenti tra rapinatori ed MI5 nelle stazioni della Tube, tuttavia la fotografia urbana, il clima, il grigiore della metropoli sono eccezionali. Il film in pratica è un thriller, ma l’azione non prende mai il sopravvento e non distrae lo spettatore dalla vera posta in palio. Ovviamente, avendo visto il film sulla Rai, non sono in grado di esprimere un parere sensato sulla recitazione – se si esclude la considerazione che la parte visiva è molto ben inserita nel contesto. Il dppiaggio in compenso è quello che è: ottimo per alcuni attori, modesto per altri, ma in generale, come spesso accade, troppo impostato per il tipo di recitazione e di personaggi.

Una pellicola apparentemente di intrattenimento, ma che insegue molto altro: interessante, intelligente e orientata anche a raccontare una storia che magari non è vera, ma serve a tratteggiare certe dinamiche di potere. Da un certo punto di vista, mi ha ricordato “Inside man” di Spike Lee. Roba di livello.

Per non parlare della Rai che trasmette due ottime opere cinematografiche la stessa sera. Fosse sempre così…

Una considerazione: il film sviluppa e confeziona in un prodotto narrativo di ampia diffusione una teoria qualificabile come dietrologica di un singolare evento storico, perfettamente verosimile, che gode di un certo credito e che è apertamente diffamatoria nei confronti di un membro vivente della famiglia reale britannica. Grosso modo come se qualcuno decidesse di fare un film con un grosso budget ed attori di primo piano su una qualunque delle teorie dietro la scomparsa di Emanuela Orlandi – che so, magari coinvolgendo le gerarchie ecclesiastiche. Qualcuno ci crede davvero?

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