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~ "Non ci sono tante pietre al mondo!"

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Archivi tag: Marcela Bovio

Il vocalist

13 venerdì Mag 2016

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Fingersi esperti di musica

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Anneke Van Giersbergen, Bono, Bono Vox, Brendan Perry, cantanti, canto, canzoni, Dead Can Dance, Fleetwood Mac, Lhasa, Linsey Buckingham, Marcela Bovio, Marie Fisker, Mick Jagger, musica, Nick Cave, passione, Purson, Rolling Stones, U2, Victoria Lloyd, vocalist, voce

Un mio amico ha deciso di iniziare a prendere lezioni di canto: è intonato e ha tanta voce, quindi faccio da ora le condoglianze ai suoi vicini. Ieri mi ha comunicato che la tizia che cercherà di educare la sua ugola gli ha chiesto di portare due canzoni, in modo che possa capire che cosa intende imparare, cosa vorrebbe cantare.

Chiunque abbia avuto la fortuna di passare su queste pagine potrebbe avere il vago sospetto che adoro le voci femminili. Anneke Van Giersbergen, Victoria Lloyd, Marcela Bovio probabilmente su tutte, ma tante, tante altre (recentemente ho scoperto Lhasa. Marie Fisker e Rosalie Cunningham dei Purson). Amo le voci malinconiche, scure, tristi, non tollero il cantato accademico, i gorgheggi e l’ostentazione. Ovviamente non mi piacciono gli uomini che cantano nello stesso modo delle donne – un uomo che canta come Victoria Lloyd mi risulterebbe insopportabile.

Quando mi sono chiesto quali canzoni segnalerei a qualcuno che mi chiedesse cosa vorrei cantare, mi sono subito venuti in mente Bono e Mick Jagger: nessuno dei due è tecnicamente impeccabile (anzi…), ma tutti e due mi piacciono molto come interpreti. Brani come “New year’s day“, “The unforgettable fire“, “Bullet the blue sky“, “Hawkmoon 269“, “Until the end of the world” per il primo, “Gimme shelter“, “Lady Jane“, “Ventilator blues“, “Love is strong“, “Start me up“… Adoro come usano la voce, il loro piglio graffiante ed aggressivo, terribilmente di pancia, e come lo sposano alla loro musica, alla musica che chiedono alla band.

Ho poi pensato a due personaggi meno scontati: Brendan Perry dei Dead Can Dance e Nick Cave. Voci basse, cupe, dimesse, drammatiche, bellissime. “Enigma of the absolute” e “The mercy seat“, “In the wake of adversity” e “Henry Lee” (con P.J. Harvey, cazzo!). Che meraviglia! Due uomini che riescono ad emozionarmi in registri e stili che di solito considero esclusivamente femminili.

Infine mi sono ricordato di uno con una voce, una maniera di usarla, ed in generale una capacità di esprimersi che ucciderei per poter pareggiare: Lindsey Buckingham. Chitarrista e vocalist dei Fleetwood Mac, autore principale e vocalist su pezzi come “Tusk“, “Go your own way“, “Big love“, ma soprattutto “I’m so afraid“. Nella versione dal vivo nel tour di reunion del 1997, sette minuti pazzeschi, da standing ovation – infatti buona parte del pubblico alla fine si alza in piedi ad applaudirlo. Pazzesco, mostruoso.

Ecco, se potessi scegliere (e no, non posso, con la mia voce ed il mio orecchio decisamente non posso) direi che voglio cantare ed esprimermi esattamente come lui.

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The Theater Equation

23 mercoledì Set 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di musica

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Anneke Van Giersbergen, Arjen Anthony Lucassen, Arjen Lucassen, Ayreon, bellezza, bello, Devin Townsend, Ed Warby, emozioni, hard rock, Heather Findlay, James LaBrie, live, Marcela Bovio, metal, Mike Mills, musica, musica dal vivo, opera, opera rock, ovazione, prog metal, progressive, progressive metal, rock, rock opera, teatro, The human equation, the theater equation, vocalist, voce

The theater equationE quindi ci siamo andati.

Diversi mesi fa, due amici milanesi mi chiamarono durante una serata di osservazioni del cielo per chiedermi se dovevano prendere anche per me un biglietto per assistere ad una proposizione di “The human equation” – impressionante capolavoro del 2004 di Arjen Anthony Lucassen pubblicato all’interno del progetto Ayreon in forma di opera rock con una decina di vocalist ospiti ad interpretarne le parti – in forma scenica a teatro a Rotterdam, con buona parte dei musicisti originari, tra cui James LaBrie, Heather Findlay, Irene Jansen, Magnus Ekwall, Devon Graves, Eric Clayton, Marcela Bovio ed Ed Warby, più Mike Mills ed Anneke Van Giersbergen a sostituire cantanti non disponibili, per la cifra di circa 45 euro. Risposi immediatamente di sì perché certe occasioni capitano molto di rado e la possibilità di ascoltare, tra gli altri, Marcela Bovio e Heather Findlay duettare sulle note di un album stratosferico ed emozionantissimo non volevo perdermela.

Theater equation poster full castSuccessivamente scoprii che non era previsto che Lucassen suonasse in nessuna delle quattro repliche della rappresentazione: un peccato, ma d’altra parte, prima di tutto il signor Ayreon era l’autore di tutto e l’esecutore di quasi tutto quindi in qualunque veste sarebbe stato quasi sprecato, in secondo luogo il signor Ayreon non è uno che vive i concerti e le esibizioni dal vivo con particolare semplicità.

Le quattro repliche si sono tenute nel weekend scorso: una venerdì 18, due sabato 19 (io ero a quella pomeridiana), una domenica 20 settembre 2015. Arjen Lucassen ha già confermato che verrà pubblicato un DVD relativo a questa esperienza – non farlo sarebbe uno spreco gigantesco.

Qualche nota per sottolineare cosa non è andato alla perfezione. L’utilizzo della forma scenica ha costretto i cantanti ad utilizzare microfoni ad archetto – in pratica, le pallette davanti alla bocca – e questo ha creato problemi a quelli che dovevano usare volumi molto diversi nel corso dell’esibizione perché, con l’amplificazione costante, non potevano regolare il volume della voce in uscita variando la distanza dalla bocca. Hanno sofferto di grossi disagi in particolare Clayton e la Findlay (la quale nell’intervallo deve aver fatto passare un brutto quarto d’ora al fonico perché dopo la sua voce suonava molto, molto meglio). In secondo luogo, Anneke Van Giersbergen era un po’ fuori ruolo nell’interpretare la paura, a maggior ragione perché la trascrizione era stata fatta su note altissime, se avesse cantato un’ottava sotto sarebbe probabilmente stata più efficace – meno spavento, meno ansia e più pressione, oppressione. Non era fuori ruolo, invece, Mike Mills che interpretava la rabbia, ma mentre nel disco Devin Townsend aveva creato un sentimento consapevole ancorché feroce ed ossessivo, la voce altissima del vocalist australiano l’aveva trasformato in un’ira isterica, impotente.

Passiamo a quello che è andato alla perfezione: tutto il resto. Un concerto sontuoso, un’opera incredibile, meravigliosa, un qualcosa di mai visto e probabilmente irripetibile, un’esperienza unica, forte, profonda, impossibile. Sembrava quasi strano esserci davvero, a guardare ed ascoltare una storia sentita e letta così tante volte, un miracolo di rock progressivo, metal e folk rappresentato davvero, lì davanti, con tutta quella gente, quelli veri, quelli che l’avevano inciso nel 2004.

Da menzionare in particolare, per quello che mi riguarda: Ed Warby, unico membro stabile di Ayreon a parte il suo creatore, che da dietro un separé ha suonato la batteria come una macchina, vestito come sempre in maglietta e jeans neri, un uomo a malapena visibile, un mostro musicale impressionante, capace di fare tutto e di farlo sembrare facile, naturale, disinvolto; Marcela Bovio, una delle poche donne al mondo ad avere una voce assurda, potente, elegante, morbida, duttile, ed una profondità interpretativa abissale, capace di metterci dentro tutto e forse anche qualcosa in più; Heather Findlay, su quel palco specificatamente per me, con la sua voce eterea, soffice, calda e dolcissima, credo di essere morto mentre lei e la Bovio duettavano durante “Day thirteen: Sign”, e se non sono morto forse avrei dovuto; il finale, LaBrie che si risvegliava e celebrava il ritorno alla vita in un crescendo glorioso, la musica che si è interrotta di colpo, il sipario che si è chiuso mentre il pubblico applaudiva entusiasta, il sipario che si è riaperto, la voce elettronica del Dream Sequencer che ha dichiarato concluso il programma “The human equation” mentre qualcuno ci si trovava all’interno, una voce che ha borbottato pensosa: “The human equation… Yes, I remember…”, il Dream Sequencer che si è aperto e ne è uscito Arjen Lucassen in persona ed il pubblico che letteralmente è esploso, tutti in piedi ad applaudire, urlare, acclamare il genio, non avendo idea di come fare a trasmettergli tutto il proprio apprezzamento, la propria gratitudine, il proprio affetto se non facendo tutto il rumore possibile.

Un’esperienza incredibile.

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Arjen Anthony Lucassen e gli Stream Of Passion 2: “Live in the real world”

02 martedì Apr 2013

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di musica

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Ambeon, Arjen Lucassen, atmosfera, Ayreon, bellezza, Bovio, buio, cantante, chitarra, chitarristi, Computer eyes, concerti, concerto, Damian Wilson, Deceiver, Diana Bovio, DVD, Elfonía, Embrace the storm, gothic rock, hard rock, Led Zeppelin, live, Live in the real world, Lori Lindstruth, Marcela Bovio, metal, musica, oscurità, passione, pathos, rock, sorelle Bovio, Star One, Stream Of Passion, The human equation, video, vocalist, voce, Waracle, youtube

Stream Of Passion - Live in the Real WorldCi eravamo lasciati con “Embrace the storm” degli Stream Of Passion. Il successivo DVD, “Live in the real world”, contiene la registrazione di uno degli ultimi concerti della susseguente tournée, tenuto in Olanda, con Lucassen a fare gli onori di casa. Sul palco c’è il line-up degli Stream Of Passion completato da Diana Bovio, sorella di Marcela, splendida seconda voce e intrigante pantalone di pelle ed ombelico a vista. Ospite per un paio di pezzi, il cantante Damian Wilson, già collaboratore di Ayreon in passato.

È curioso che sia stato registrato per la pubblicazione video uno show tenuto in un locale così piccolo. Le immagini di conseguenza sono quello che sono – per lo più scure, un aspetto che ben si sposa con l’atmosfera sonora – mentre la qualità audio è davvero impressionante. L’aneddotica del tour riporta che in occasione del concerto di Brescia la band abbia dovuto far arrivare di corsa una parte dell’attrezzatura dall’estero: gli organizzatori non pensavano che un gruppo con un seguito ridotto utilizzasse tecnologie così avanzate. La solita figura da cialtroni.

La band esegue diversi pezzi (7 su 12) da “Embrace the storm”, alternandoli a brani di Ayreon ed a frammenti da due ulteriori progetti paralleli di Lucassen, Ambeon e Star One. Per quello che riguarda le canzoni degli Stream Of Passion, i musicisti sul palco sono nella formazione ideale per suonarli al meglio, e l’aggiunta di una seconda voce più alta, sensuale e quasi lolitesca, funziona benissimo, aggiungendo un che di erotico a tutta la faccenda – ascoltarsi per conferma il travolgente ritornello di “Deceiver”, nell’ultima ripetizione con Marcela che estende il finale di strofa e Diana che richiama l’attenzione su di sé con delle note acute prese quasi in modo stridulo: da saltarle addosso subito. Tavolta la struttura del brano originario mal si adatta ad un concerto rock di una certa potenza: ad esempio, il sussurrato di “Haunted” non può essere riprodotto fedelmente, perché l’amplificazione che necessita la voce di Marcela sarebbe stata insufficiente a renderlo udibile sopra la musica; i frammenti vengono dunque accelerati e interpretati con un parlato drammatico, dando un’idea di fretta e necessità di fuga opprimente e claustrofobica. Magnifica.

Quando si tratta di altri pezzi di Lucassen, c’è innanzitutto da dire come questi si riprenda la chitarra solista, lasciando a Lori la ritmica ed eventualmente la seconda voce nei fraseggi. Inoltre, i brani sono stati passati per un adattamento che permettesse un’interpretazione intensa, scura e drammatica, soprattutto alla superlativa Marcela.

Così, ecco “Waracle”, lenta, solenne e cupa, con un ritornello di enorme e bellissima quanto quasi insopportabile intensità tragica, in cui le due sorelle tratteggiano momenti in cui è difficile scindere il piacere dell’ascolto dal senso di oppressione dato dalla musica rumorosa e invadente, dove le vittime di guerra e la maledizione all’uomo che le scatena vibrano e rimangono tuttavia strozzate in gola a causa della totale assenza di momenti liberatori. Ecco “Computer eyes”, che si sviluppa su ritmi veloci e coinvolgenti, mentre Marcela e Diana duettano creando un pathos drammatico, sensuale e rutilante letteralmente dal nulla su una melodia semplice, chiarendo molto esplicitamente perché uno come Lucassen si sia innamorato di loro, anche se solo a livello artistico – io dopo quell’interpretazione mi sarei innamorato di loro in toto. Ecco “Day three: pain”, da “The human equation”, in cui le Bovio interpretano quasi tutte le parti, inclusi i growls della rabbia, con un esito sorprendente, diverso da quello della versione su disco, ma perfettamente integrato nell’atmosfera dello show, che regala alcuni momenti di pura passione.

Dopo “Out in the real world”, in cui Marcela presenta i membri della band ed emerge il clima di grande divertimento e collaborazione che regna sul palco, le stentoree “The castle hall” e “Into the black hole” (entrambe con Damian Wilson), chiusa da un accenno di “Cold metal” rumoroso e soffocante, ed un’intelligente reinterpretazione di “When the leeve breaks” dei Led Zeppelin, chiude il concerto “Day eleven: love”, di nuovo da “The human equation”, anche questa cantata per lunghi tratti dalle sorelle Bovio, che, con un atteggiamento ammiccante e vagamente provocante, fanno desiderare a chi le guarda di trovarsi in mezzo a loro in quel momento per godere dell’energia sensuale che sprigionano con la voce – e possibilmente rimanere con loro anche dopo lo show.

Un concerto eccezionale. Punto.

Un appunto sull’esecuzione: Lucassen lo conosciamo tutti. Davy Mickers è un batterista mostruoso. Lori Lindstruth è superlativa, tecnica, veloce, duttile ed emozionante. Ma sono le sorelle Bovio a lasciare a bocca aperta: Diana è puntuale nel controcanto, strepitosa e sensuale come solista, mentre Marcela è semplicemente incredibile. Precisa e impeccabile come su disco e completamente travolgente – amore, sesso, passione, malinconia, oscurità, intensità tragica. Quasi da averne paura.

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Arjen Anthony Lucassen e gli Stream Of Passion 1: “Embrace the storm”

26 martedì Giu 2012

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di musica

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Arjen Lucassen, Ayreon, CD, Elfonía, Embrace the storm, gothic rock, hard rock, Lori Lindstruth, Marcela Bovio, metal, musica, Out in the real world, progressive, rock, Stream Of Passion, The human equation

Stram of Passion - Embrace the StormGli Elfonía erano una band messicana di art/progressive rock, formata da membri molto dotati tecnicamente. Tra di essi figurava una vocalist, Marcela Bovio, dotata di grandissimo talento ed impressionanti mezzi tecnici ed espressivi.

Una decina di anni fa gli Elfonía giunsero alle orecchie di Arjen Anthony Lucassen, musicista olandese, inventore e solo gestore del progetto Ayreon: un’entità musicale concepita nella prima metà degli anni novanta, le cui pubblicazioni sono concept album ed opere rock di stampo progressive metal, realizzate con grande profusione di ospiti in special modo vocali, di notevoli complessità musicali ed esecutive e piuttosto originali anche dal punto di vista lirico.

Detto in altre parole, Lucassen è una di quelle persone a cui va stretta la definizione di genio.

Dopo aver ascoltato Marcela Bovio, Lucassen decise di affidarle una parte nell’opera rock che stava realizzando come Ayreon, “The human equation”. La struttura narrativa prevedeva la presenza di due “scene”, e Lucassen fece quello che avrebbe fatto un fan: diede a Marcela un ruolo che gli avrebbe permesso di duettare con lei. Successivamente, soddisfatto dei risultati, le propose di reinterpretare “Waracle”, un brano originariamente contenuto nel primo album di Ayreon, per un’edizione speciale del medesimo.

Terminata la lavorazione, quello che è uno dei più importanti musicisti hard rock e metal internazionale fondò una band per realizzare un album di hard/gothic rock e farlo cantare interamente alla Bovio: un caso lampante di cotta artistica. Ne nacquero gli Stream Of Passion, che debuttarono nel 2006 con il disco “Embrace the storm”. Nel progetto venne inserita anche Lori Lindstruth, chitarrista tecnicamente preparatissima, a cui il compositore, virtuoso dello strumento, lasciò il ruolo di solista. E le cotte artistiche sono due.

L’album è incentrato su una base strumentale hard rock con basso, batteria, chitarra, pianoforte – suonato da un altro membro degli Elfonía, Alejandro Millán – ed occasionalmente archi, scura e musicalmente varia e brillante, al servizio delle due soliste. La registrazione è stata fatta con grande cura ed attenzione, in particolare la sezione ritmica ha una sonorità piena, che risulta sia piacevole all’ascolto che funzionale a disegnare atmosfere e scenografie, ove necessario claustrofobiche e quasi oppressive

Il disco, di qualità elevatissima, è un vero gioiello di gothic rock, in cui vengono toccate moltissime corde del genere.

Si parte in realtà con due pezzi quasi spiazzanti: “Spellbound”, dopo un inizio soffocato e cupo, si rivela melodicamente complessa e inaspettata, percorsa da intense ed improvvise esplosioni sonore, mentre in “Passion” strofe morbide e leggiadre si alternano a momenti pomposi ed in un ritornello arioso e liberatorio, che diventa, nel finale, frenetico e quasi qualcosa di opprimente da cui si cerca di fuggire. L’album è poi formato da alcuni pezzi con un elevato numero di battute, talvolta travolgenti – come “Deceiver” ed il finale “Calliopeia”, in cui l’atmosfera dark è demandata a dei bassi potenti e ad un cantato drammatico – talvolta enfatici e scuri – come la title track e “Out in the real world”, dove invece i tratti malinconici vengono enfatizzati dalla scelta delle tonalità e dagli archi – spezzano una predominanza di brani più lenti.

Si spazia da ballate tristi e dimesse come “I’ll keep on dreaming” e “Nostalgia”, a canzoni con un ritmo strozzato e trattenuto per dare un senso di claustrofobia e di voglia di fuggire, come nella dilaniante “Open your eyes” e in “Wherever you are”. Tra le canzoni lente merita una menzione specifica “Haunted”, in cui le strofe sussurrate in una strumentazione gelida, incalzante ed angosciante suggeriscono una necessità di nascondersi, mentre i ritornelli iniziano con un piglio deciso, quasi a volersi invece affermare, per finire con agghiaccianti, strazianti grida d’aiuto, durante le quali è veramente difficile rimanere in silenzio e non accompagnare Marcela nel suo urlo di disperazione – “make it stop!”, con una nota finale lunga e dilaniante. In realtà questa è una sensazione che, man mano che i contenuti emotivi dei disco vengono interiorizzati, ci si accorge essere distribuita lungo diverse canzoni: si percepisce il senso di oppressione quasi in gola, e davvero si avverte la necessità di accompagnare le improvvise e catartiche grida liberatorie.

Marcela e Lori dividono la scena con sfoggio – ma non ostentazione – di tecnica fuori dal comune e con un pathos potente e drammatico, ma mai banale o forzato; dimostrano inoltre una duttilità impressionante. È anche difficile percepirla in modo chiaro, tanta è la naturalezza con cui si muovono attraverso selve di note, passando da un registro all’altro, lasciando a chi ascolta la necessità di fermarsi un attimo per capire davvero quello che è arrivato – al di là di discorsi sull’estetica, la brillantezza esecutiva e la bellezza di voci, suoni e singoli brani.

Per chi ama il genere, un must.

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