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Scienza e scienza dei dati

29 venerdì Gen 2016

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia

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analisi dei dati, analisi economica, austerità, big data, big data analysis, Bretton Woods, Cassandra, crisi, data science, data scientist, dati, economia, equilibrio, Europa, fisica, gravità, Keynes, keynesiani, metodo, monetaristi, probabilità, quantitative easing, scienza, scienza dei dati, Statistica, storia, storia economica, teoria economica

C’era una volta l’analisi economica, basata su tecniche statistiche e lettura dei risultati senza sovrastrutture teoriche. Poi gli economisti si convinsero di essere degli scienziati puri, al pari di fisici e biologi, e cominciarono a costruire modelli matematici per formalizzare teoricamente il comportamento del mercato. Questi modelli si basano su ipotesi, alcune delle quali realistiche, altre di comodo. Anche un modello fisico si basa su ipotesi, ad esempio la forza di gravità: senza gravità la fisica non ha senso. La differenza è che la forza di gravità è un costrutto oggettivo e misurabile, il comportamento umano no. Questo comporta delle difficoltà, se un modello economico deve spiegare e prevedere il comportamento di milioni di esseri umani, tra l’altro in un sistema complesso. Di conseguenza, nel tempo, i modelli sono diventati sempre più complicati ed astrusi, perdendo gran parte del rapporto con la realtà.

Oggi fare analisi economica significa sostanzialmente due cose: nella maggior parte dei casi, costruire modelli di equilibrio generale che migliorino, nella struttura matematica e nella formulazione delle ipotesi, quelli esistenti; oppure analizzare i dati economici e dar loro una lettura, sovente sulla base della teoria economica di riferimento. Un monetarista troverà sempre una formulazione teorica che gli consentirà di spiegare un fenomeno, e poco importa che non sia in grado di spiegare il medesimo fenomeno in circostanze diverse.

La conseguenza la vediamo tutti: l’Europa è in crisi dal 2008 e non si riesce a partorire altro che misure recessive (austerità, politiche deflattive), ideologiche (privatizzazioni) e topolini (quantitative easing, bonus fiscali) per contrastarla. L’economia non riparte, e tutti a dire che non si sta facendo abbastanza, invece di chiedersi se per caso non siano sbagliate le risposte.

Una cosa tristemente analoga sta succedendo in ambito statistico con la cosiddetta data science. L’analisi dei dati, in sé, non è una scienza: il metodo scientifico è dato dall’applicazione della statistica mediante l’utilizzo della teoria della probabilità, che permette di misurare matematicamente il supporto sperimentale delle conclusioni che si raggiungono. Solo che i dati ci sono, ce ne sono tanti, c’è tanta potenza di calcolo, e allora tutti si sono convinti di poterli analizzare e trarne qualcosa di scientifico, o quantomeno di utile e spendibile, prescindendo dal rigore metodologico.

Ad oggi la dicitura data science sottintende l’utilizzo combinato di tecniche, mutuate da discipline che utilizzate in modo compiuto sono scienze, con fini analitici e predittivi. Il risultato è, solitamente, un gigantesco intreccio poco attendibile, ancor meno generalizzabile e scientificamente risibile. Il fatto che tutto questo si chiami data science è surreale, tuttavia l’aspetto preoccupante è che tutto ciò stia diventando routine. Tutti fanno data science o big data analysis, anche se non hanno capito bene cosa significhi, cosa implichi o a cosa serva in concreto. La conseguenza è che si stanno imponendo tecniche di analisi prive di qualunque legame col metodo scientifico, in cui è più importante tirare fuori qualcosa di spendibile subito che fare qualcosa di attendibile e replicabile in condizioni diverse, e non sono per niente sicuro di dove tutto questo conduca.

Io non so come le teorie monetariste post-crollo di Bretton-Woods siano state affrontate dagli economisti: so che negli anni ’70 tutti chiedevano spiegazioni alla crisi (tutt’altro che endemica) del sistema keynesiano, e chi era in grado di darle – ancorché zoppicanti – veniva ascoltato ed accolto come il Messia. 40 anni dopo non siamo in grado di affrontare una recessione da insufficienza di domanda, però buttiamo tempo e soldi in misure ideologiche ed inefficaci. Oggi che la statistica tradizionale mostra (per ragioni tecniche, non teoriche) il fianco di fronte all’enorme disponibilità di dati, il processo è analogo: tutti chiedono cosa fare con i terabyte di informazioni e chiunque dia delle risposte per avere tutto e subito, anche se prive di senso o metodologicamente sbagliate, è considerato un guru della data science. Non vorrei che ci risvegliassimo tra 40 anni, costretti a sperimentare i farmaci sulla popolazione durante un’epidemia perché non più in grado di fare un test double blind o incapaci di accettare che la scienza richieda tempo e rigore e sia fallibile.

Spero tanto di sbagliarmi.

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Di debito pubblico, tasse, interessi e cialtroni

18 lunedì Feb 2013

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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BCE, Berlusconi, bilancio, bilancio dello stato, cialtroni, Craxi, debito pubblico, deficit, deficit di bilancio, demagogia, disoccupazione, Draghi, economia, economia politica, elezioni, Euro, Europa, Fed, finanza, IRPEF, Italia, lavoratori, lavoro, Mario Draghi, Mario Monti, monetarismo, monetaristi, Monti, PIL, politica, politica economica, Reagan, reddito, redditometro, Silvio Berlusconi, Tangentopoli, tasse, UE, Unione Europea

Il mantra della politica economica italica, a vari livelli di competenza e cialtroneria, è che il debito pubblico è troppo alto. Ora, nel momento in cui questo è superiore al PIL, il discorso è di per sé sensato, tuttavia quello che il tipico cialtrone ululante evita accuratamente di approfondire sono le cause scatenanti del dissesto. Lo scaricamento del barile con fini demagogici vede protagonisti un po’ tutti: chiunque attribuisce responsabilità con disinvoltura, mentre la colpa se la prendono principalmente gli sprechi presenti e passati della pubblica amministrazione, e talvolta pure quelli futuri – vedi Monti quando farfuglia, tronfio e conscio che nessuno ha l’interesse né la capacità di contraddirlo, che il sistema della sanità pubblica va ripensato.

Sostenere che buttare miliardi in sistemi clientelari e malavitosi che fanno restare pure a secco gli autobus di Napoli non sia una grossa determinante del debito pubblico non fa più ridere nemmeno i polli. Tuttavia, indipendentemente dalla pressione fiscale più elevata tra i paesi occidentali e da un governo che ha grottescamente tentato di rilanciare l’economia massacrando un paese in crisi con aumento delle imposte e taglio della spesa, il debito pubblico in Italia non scende, anzi continua a salire, soprattutto se rapportato col PIL. “E ti credo, continuano a mangiarsi di tutto”. Vero, verissimo, ma la causa primaria è sostanzialmente un’altra, e siccome è difficile da spiegare all’italiano medio che cambia schieramento politico perché Berlusconi ha ingaggiato Balotelli, e oltretutto, essendo radicata ad oltre 30 anni fa, espone alla domanda “e tu fino ad ora che cazzo hai fatto?”, nessuno la menziona nemmeno.

Alla fine degli anni Settanta, il debito pubblico dell’Italia era dell’ordine del 60% del PIL. Poco più di un decennio dopo, sfiorava il 110%. “Certo negli anni Ottanta abbiamo avuto Craxi e Tangentopoli”. Ok, ma all’epoca successe anche un’altra cosa, meno pubblicizzata e molto più devastante: la Banca d’Italia si sganciò dal Tesoro e smise di rastrellare sul mercato i titoli del debito italiano per mantenerne gli interessi bassi. Negli anni Ottanta, per andare appresso ai deliri monetaristi di Friedmann – il presidente della Fed sotto Reagan che ha quasi mandato gli Stati Uniti al default –, i tassi di sconto sono sempre stati piuttosto elevati. Di conseguenza, per oltre un decennio, l’indebitamento dello stato è stato fatto a tassi che oggi sarebbero considerati usura.

In questi anni stiamo vivendo una situazione complessivamente analoga: la BCE ha come unico scopo statutario il contenimento dell’inflazione, indipendentemente dalla protezione del sistema economico e del destino dei paesi membri; questo discende dal fatto che la surreale teoria economica di riferimento ritiene più grave il 5% di inflazione rispetto al 30% di disoccupazione. Solo recentemente Mario Draghi ha imposto un cambio di direzione che tuttavia risulta spuntatissimo: per tenere a bada le manie di grandezza della Germania, è stato costretto a bilanciare la promessa di rastrellamento con una contropartita pratica inaccettabile – di fatto una forte limitazione della sovranità nazionale e l’attuazione di politiche di rientro insostenibili. L’ovvia conseguenza pratica è che nessuno si fa comprare i titoli di stato dalla BCE perché preferisce affrontare più o meno da solo l’aumento degli interessi da pagarci. In termini di percezione, tuttavia, qualcosa è cambiato – lo spread è crollato per questo motivo, non perché Monti è bravo.

L’Italia, pur con tutti gli sprechi e l’amministrazione delinquenziale, ha un attivo primario in bilancio da una quindicina d’anni. Questo significa che lo stato italiano spende meno di quanto incamera attraverso le imposte. Il passivo di bilancio è determinato dagli interessi sul debito, che quindi si autoalimenta in un loop privo di fondo. In questo scenario, è inutile proporre misure restrittive, austerità e altri interventi che non fanno altro che deprimere l’economia: per quanto possa sembrare assurdo, dal punto di vista fiscale l’Italia è già un paese “virtuoso”, spende (anche se molto molto male) già meno di quello che incassa. Con queste premesse, un discorso è cercare di intervenire sugli sprechi, in modo da poter rendere più efficiente la spesa pubblica – con l’IRPEF che pagano i lavoratori dipendenti in Italia dovremmo avere dei servizi al cittadino al livello di quelli norvegesi. Altro, molto diverso, è ridurre lo stock di debito e il suo rapporto col PIL: un’impresa che, visto che in buona sostanza l’aumento indefinito dipende dagli interessi, necessita di due cose: stimolare la crescita economica (se cresce il PIL e il debito rimane costante, il rapporto debito/PIL cala: magia!) e di trattare con l’autorità monetaria – la BCE. Altrimenti non c’è uscita.

Si potrebbe poi parlare di evasione fiscale, ma siamo in campagna elettorale, e nessuno vuole perdere i voti degli evasori. Meglio proporre il redditometro – un’assurda operazione di facciata che finirà per complicare la vita a chi ha già dei problemi esattamente come gli studi di settore – che affrontare seriamente il problema.

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Il paziente Italia

30 mercoledì Gen 2013

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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5 Stelle, Beppe Grillo, Berlusconi, Bersani, campagna elettorale, Centro-destra, Centro-sinistra, cialtroni, Destre, Di Pietro, Dr House, economia, economia politica, elezioni, Europa, Grillo, House dottor House, Ingroia, Keynes, keynesiani, M5S, Mario Monti, metafore, monetarismo, monetaristi, Monti, Movimento 5 stelle, parlamento, partiti, Partito Democratico, PD, PdL, politica, politica economica, programma, programma elettorale, SEL, Silvio Berlusconi, Sinistra, teoria economica, UE, Unione Europea, Vendola, votare, voti

In Italia c’è la campagna elettorale: questa non è una novità, in Italia c’è campagna elettorale 12 mesi l’anno, solo che in questo periodo è peggio perché si avvicinano le elezioni. Ora, l’Italia, economicamente parlando, è un paziente in terapia intensiva con una quantità enorme di sintomi contraddittori ed una varietà spaventosa di infezioni e malattie; verrebbe semplice asserire che anche il dottor House si darebbe malato per non tentare di analizzarne il quadro clinico, ma non è questo il punto. Il punto qui è quello che fa il corpo per combattere le infezioni.

In questa metafora, i vari schieramenti politici sono dei candidati ad assumere il controllo del cervello per decidere come combattere dall’interno la situazione. Sempre sperando che il dottor House si muova – solo che il dottor House è la UE, e allora stiamo freschi.

Assumiamo, mi rendo conto che non è facile, che Berlusconi non intenda tornare al governo per fini personali come, a mero titolo esemplificativo, evitare una ridicola condanna nel processo Ruby. Assumiamo anche che quello che dice sullo spread e sulla congiuntura economica sia qualcosa di più che mera propaganda e costituisca le basi di una sorta di ricetta che lui intenderebbe mettere in pratica una volta eletto. Come si chiama questo costrutto? Ah, sì, programma elettorale.

La ricetta di Berlusconi è semplice: da solo non posso fare niente, perché il corpo non è in grado di produrre gli anticorpi necessari, quindi quello che voglio fare è parlare col medico per convincerlo a cambiare la terapia. Ora, tutti conosciamo la cocciutaggine del dottor House – ecco, quella dell’Unione Europea è peggio. Quindi quello che propone Berlusconi sono interventi interni di tipo puramente palliativo – ad esempio pompare adrenalina per sentire meno dolore e sperare in una reazione su base interamente emotiva – e, in caso, probabilissimo, di fallimento, morire serenamente perché tanto non è colpa nostra. Aggiungiamo che quando Berlusconi assume il controllo del cervello il dottor House e il suo team si sganasciano dalle risate, e otteniamo il quadro desolante che si prospetta in caso di vittoria del PDL. Sono 20 anni che B. coccola il più primordiale degli istinti italici – quello di scaricare la responsabilità sugli altri. Adesso ha solo cambiato bersaglio.

Monti, al di là del populismo elettorale e delle minacce, propone – attenzione, ché non è male – di produrre meno anticorpi (sì, rappresentano la spesa pubblica). Siccome il corpo ne produce troppi e soprattutto li utilizza male, la sua proposta è ridurre drasticamente le difese immunitarie nella convinzione che questo porterà il corpo a reagire, per poi redistribuirle con una maggiore efficienza. Nella sua testa da indottrinato questo nel medio periodo garantisce un miglioramento strutturale. Il tutto mentre lui, con una credibilità davvero incomprensibile, comunica con fare rassicurante al dottor House che va tutto bene, che così si uscirà dalla crisi. Al di là di scontate considerazioni sull’inutilità di pensare al medio periodo se il corpo nel breve muore, indebolire il sistema immunitario in un corpo malato è uno sproposito sesquipedale da qualunque lato lo si guardi, perché il peggioramento che induce può concretamente essere strutturale e non contingente – quindi, di fatto, può peggiorare le cose in modo permanente – e soprattutto non si vede come poi il corpo dovrebbe reagire da solo. Per fortuna sua e sfortuna dell’Italia, tuttavia, nessuno all’interno dello schieramento che lo sostiene sa niente di economia politica né ha interesse ad affossarlo, quindi Monti passa anche per uno competente.

Il programma del PD non si capisce: stando alle tentennanti dichiarazioni di Bersani, l’agenda dei democratici sarebbe quella di Monti più qualcosa. Se quel “qualcosa” fosse ispirato ad un principio di sinistra, sarebbe un intervento contro-ciclico di stampo keynesiano (ad esempio un aumento della spesa pubblica), secondo un approccio che non è complementare alle misure monetariste di Monti, ma diametralmente opposto. Attendiamo fiduciosi che qualcuno si assuma la responsabilità di dichiarare qualcosa e scatenare la solita, stucchevole faida interna. Come si vede, non solo il paziente ha problemi di personalità multiple: una delle sue personalità è a sua volta multipla.

Vendola, al netto di grossi limiti sui metodi e al di là di criticità in altri campi, tira come può perché il qualcosa in più rispetto all’agenda Monti sia appunto una politica espansiva (da vedere fatta come e a vantaggio di chi, poi), e spera che Bersani non dia seguito alla minaccia di allearsi con il “professore”, perché altrimenti il “più qualcosa” diventa molto facilmente il solito dolorosissimo esame rettale. Difficile nel complesso ignorare la sensazione che il centro-sinistra non sappia bene di cosa parli.

Ingroia e Di Pietro – al di là di questioni di correttezza istituzionale, legittime, ma che caso strano vengono sollevate solo quando si parla del magistrato siciliano – hanno una teoria singolare, che ha tuttavia il merito di essere una teoria: la condizione primaria del morituro è una malattia auto-immune (che, son tutti d’accordo, fa effettivamentre parte del problema, tutti promettono di affrontarla, poi nessuno lo fa mai), in cui il corpo attacca sé stesso con criminalità organizzata, sprechi ed evasione fiscale. Va da sé che sconfiggere la malattia auto-immune comporterebbe un miglioramento significativo, ma i punti critici sono due: primo, combattendo una malattia auto-immune dall’interno il corpo si ribella ed impedisce che la battaglia abbia successo; secondo, la malattia auto-immune può anche essere il problema principale, ma combattere una battaglia difficilissima senza dedicare troppa attenzione agli altri problemi rischia di paralizzare la situazione.

Quello che vuole fare Grillo si capisce ancora meno del PD: in linea di massima è d’accordo con Ingroia e Di Pietro sulla causa auto-immune, solo che lui vuole azzerare tutto, compreso l’intero sistema immunitario, cosa che magari non è sbagliata ideologicamente, ma in pratica ha un costo potenzialmente insostenibile – basta un raffreddore e si finisce al Creatore. Grillo sostiene che il corpo, così com’è, è troppo danneggiato dalla malattia per poter essere guarito senza compiere interventi molto radicali, solo che schifa qualunque coordinamento, dall’interno e dall’esterno, per migliorare la situazione: una sindrome da padreterno che abbiamo già visto, così come abbiamo già visto la teoria che è sempre colpa degli altri: che ce l’hanno pure, non fraintendiamo, ma questo non elimina i problemi. Inoltre, il M5S propugna una serie di ricette economiche per lo più confuse – alcune di stampo monetarista, altre apertamente in polemica col monetarismo – ed una serie di interventi in altri ambiti – mobilità, energia, tecnologie – che non danno nessuna garanzia di successo.

E quindi? E quindi, boh?!?

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Luciana Littizzetto e i mercati internazionali

11 martedì Dic 2012

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Porsi le grandi domande, Un mondo di cialtroni

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Berlusconi, borsa, cialtroni, economia, finanza, governo, Littizzetto, Luciana Littizzetto, Mario Monti, mercati, monetaristi, Monti, PdL, politica, premier, Silvio Berlusconi, speculazione, spread

Adesso, Silvio Berlusconi ha deciso che lo spread è una cosa di cui non vale la pena di preoccuparsi. Credo che, parafrasando un coro nato tra i tifosi laziali per sottolineare la scarsa invidia nei confronti dell’Inter per il fatto di avere in squadra Ronaldo dopo aver ingaggiato Marcelo Salas detto “El Matador”, il concetto sia più o meno “che ce frega dello spread noi c’avemo El Shaarawy”. O magari la Gelmini col suo tunnel.

Il bello è che, tecnicamente, l’ex premier pluriprescritto e condannato in primo grado non dice una cosa del tutto sbagliata: infatti è vero che il differenziale del rendimento tra i titoli italiani e quelli tedeschi dipende per lo più da movimenti speculativi che non da aspettative razionali e da vere previsioni sull’andamento dell’economia reale – che comunque in Italia va uno schifo; è anche vero che Monti non ha fatto niente per la crescita economica, si è limitato ad intervenire con misure di austerità nella grottesca convinzione, incrollabile nei modelli monetaristi (quelli che se un singolo operatore si comporta in maniera anche leggermente diversa da come viene ipotizzato se ne vanno tutti bellamente a donne di facili costumi) che la riduzione della spesa pubblica stimola consumi (quali, se ne riduci una voce?) ed investimenti (perché?): e non è nemmeno falso  che le dimissioni anticipate di Monti di fatto anticipano le elezioni di un mesetto, tra l’altro con in mezzo le vacanze di Natale, durante il quale il PdL s è comunque impegnato a votare la manovra finanziaria, quindi, da sole, non stravolgono davvero il futuro italiano a medio termine.

E allora perché la borsa crolla e lo spread sale? Berlusconi afferma che è tutto finto, che si tratta solo di manovre speculative, e che comunque non è un problema di cui vale la pena preoccuparsi troppo. Deve sostenerlo, perché l’alternativa, il motivo vero, non può ammetterlo.

Propongo una lettura del tutto originale della faccenda: non sarà, infatti, che alla fine della fiera ha semplicemente ragione Luciana Littizzetto? Non sarà che anche i mercati internazionali, assieme a lei, a me e a buona parte della popolazione italiana, si sono semplicemente rotti il cazzo?

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L’enorme problema greco

01 domenica Lug 2012

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia

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analisi economica, BCE, crisi, economia, Euro, finanza, Germania, Grecia, inflazione, john maynard keynes, Keynes, keynesiani, monetaristi, politica, Unione Europea

Uno gira su internet, visitando in particolare l’interessantissimo keynes blog, e trova roba come questa:

L’enorme problema greco…

Un problema ideologico che sta alla base della costituzione della BCE e della Moneta Unica, che di fatto si può sintetizzare come segue: la Germania ed il mondo della finanza preferiscono regnare sulle ceneri di un continente che rinunciare anche ad un solo centesimo dei loro privilegi o cedere anche solo di un millimetro sulle loro incrollabili convinzioni – sconfitte dalla storia oramai innumerevoli volte.

Da qui uno statuto della banca centrale europea che di fatto priva i singoli paesi della sovranità monetaria,senza affidarla a nessuno: la BCE ha come sola missione il controllo dell’inflazione; non è contemplato nessun tipo di politica monetaria. Da qui degli accordi atti a limitare la sovranità fiscale degli stati membri, senza affidarla a nessuno: c’è un’unione economica senza un’entità centrale atta a governarla.

Governare vuol dire anche assumersi la responsabilità di sollevare le sorti di un’area depressa o in difficoltà, previa assicurazione che l’area depressa elimini i fattori che l’hanno condotta ai problemi. L’Unione Europea chiede invece di eliminare le supposte fonti delle crisi – in alcuni casi indiscutibili, come corruzione e soldi pubblici buttati, in altri molto meno, come salari minimi troppo alti e deficit di bilancio elevato per combattere la contingenza negativa – senza che in cambio vengano attuate politiche di sviluppo. Un po’ come se una bolla speculativa aggredisse il Montana e il governo di Washington si limitasse a dire: “problemi vostri, arrangiatevi e non azzardatevi a chiederci soldi”.

Quindi, meglio far fallire il Montana che affrontare il rischio di un piccolo aumento dell’inflazione nel breve periodo. Con effetti nel medio periodo, tra l’altro, tutti da verificare. Perché l’inflazione erode quello che è il reddito reale delle persone – ossia quello che possono effettivamente comprare coi soldi che guadagnano, non l’ammontare nominale dei loro stipendi – ma la creazione fisica di milioni di indigenti in una zona periferica del proprio sistema economico, con effetti a catena difficili da prevedere nel dettaglio, non è evidentemente vissuto come un problema. Già che ci siamo: i salari minimi non ci sono in Italia, mentre ci sono in Francia, Gran Bretagna e Svezia. Quindi?

Ché poi la domanda è: se Washington reagisse davvero così, il Montana si sentirebbe ancora parte degli Stati Uniti? Dal punto di vista politico, cosa dovrebbe trattenerlo dal dichiarare la secessione? Un soggetto che ha solo obblighi e nessun diritto: non è la definizione di schiavo?

Ah, no, è vero: è la definizione di lavoratore secondo i monetaristi. Devo essermi confuso.

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La Spagna, la crisi e il rientro dal debito pubblico

21 lunedì Mag 2012

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia

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austerità, bilancio, costituzione, crisi, debito pubblico, economia, grande depressione, Italia, Keynes, keynesiani, Mario Monti, monetaristi, parametri di Maastricht, politica, Spagna, Tobin Tax, Unione Europea

Prima dello scoppio della bolla speculativa, avvenuto verso la metà del 2008, che, dopo alcuni tentennamenti, ha portato alla crisi economica che stiamo vivendo da oramai tre anni e mezzo, la Spagna aveva un debito pubblico un po’ alto e nessun problema di bilancio. Nel corso della crescita che aveva caratterizzato il Paese nel primo decennio del nuovo millennio i soldi pubblici erano stati spesi in modo magari non perfettamente efficiente, ma sicuramente non erano stati sprecati platealmente come in altri paesi (qualcuno ha detto TAV? Ponte sullo Stretto?).

La Germania e l’Unione Europea hanno preteso dalla Spagna politiche di rigore per tenere sotto controllo il debito pubblico. Oggi la Spagna ha un tasso di disoccupazione del 23,6% e la disoccupazione giovanile è dell’ordine del 50%. Secondo il perfetto monetarista questo è dovuto al fatto che la Spagna ha speso troppo e male quando le cose andavano bene e ora ne paga le conseguenze. No, il perfetto monetarista non è devoto al karma. Però qualcuno si crede un po’ Dio.

Al di là del fatto che la sopravvalutazione dei titoli è avvenuta su scala mondiale, il che significa che nessun paese economicamente molto aperto avrebbe potuto sottrarvisi del tutto, la Spagna avrebbe potuto sfruttare un passivo di bilancio contenuto per tentare di compensare il rallentamento dell’economia mondiale sostenendo la domanda aggregata (chi ha detto economia mista? Come sarebbe a dire Norvegia?). In assenza di una politica monetaria di appoggio e di misure atte a controllare i movimenti di valuta (eh? Tobin tax?) questo sarebbe probabilmente stato insufficiente, ed avrebbe portato il paese ad indebitarsi, ma la crisi sarebbe stata fronteggiata fieramente e probabilmente almeno in parte con successo. Oggi alla Spagna non basterebbe un lieve indebitamento per riprendersi: dal punto di vista dell’analisi economica, il suggerimento politico più sensato per chi governa un paese in quelle condizioni senza poter spendere è votarsi alla Madonna.

Secondo i parametri di Maastricht, il rapporto tra debito pubblico e PIL di un paese non deve superare il 60%. È un rapporto, ci sono in ballo due quantità: il debito pubblico al numeratore e il prodotto interno lordo al denominatore. Il ragionamento algebrico è molto semplice: la Spagna può ridurre all’infinito il numeratore, ma se parallelamente cala anche il denominatore il problema non si risolve; anzi peggiora perché ad un certo punto si arriverà a non poter ulteriormente tagliare. E francamente non si vede come un paese che non può investire e ha tassi di disoccupazione analoghi a quelli sperimentati dagli Stati Uniti negli anni trenta del ventesimo secolo possa evitare che il PIL cali. Ricordo che la Grande Depressione fu sconfitta con politiche keynesiane – il New Deal e il Piano Marshall – di sostegno della domanda aggregata. Ma il perfetto monetarista vuole i conti in ordine. Oggi, non a crisi passata.

Secondo il perfetto monetarista, infatti, il deficit di bilancio e il debito pubblico causano la crisi: io vengo licenziato perché ho i conti in rosso, non ho i conti in rosso perché ho perso il lavoro.

La Spagna ha grosse difficoltà nel piazzare i propri titoli di stato perché un paese con la disoccupazione oltre il 20%, con l’economia in fase di crollo e pressato da entità sovra-nazionali che le chiedono austerità, non può fornire garanzie certe di far fronte ai propri debiti in futuro. Questo sul mercato si traduce in rendimenti onerosi, il che comporta maggiori sforzi per riuscire a pagarli; maggiori sforzi che verranno fatti pesare sulla pelle del paese, riducendo ulteriormente la spesa pubblica o aumentando le tasse in una situazione di economia depressa: la vedo solo io la spirale autodistruttiva?

In tutto questo l’Italia che fa? Vota, con 235 sì in Senato, l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. Mi piacerebbe sottolineare che evidentemente c’è chi preferisce essere ricordato per aver pilotato il Titanic contro un iceberg che non essere ricordato affatto. Il problema è che secondo me buona parte di quei 235 tizi non ha idea di quello che ha votato: lo ha fatto perché qualcuno gli ha detto che era giusto così.

Nel frattempo Mario Monti ci tiene a farci sapere che lui non ha mai parlato di austerità, ma sempre di sviluppo. A prescindere dal fatto che non è vero, visto che i deliri (prontamente smentiti dai fatti) sull’austerità espansiva dell’Irlanda non se li è inventati la stampa comunista, per uno convinto che l’austerità porti sviluppo parlare dell’uno è parlare dell’altra. Non è mica un keynesiano, consapevole che in una fase recessiva sono concetti antitetici.

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Il ristorante Italia

19 giovedì Apr 2012

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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bilancio, crisi, debito pubblico, deficit, economia, governo, Keynes, keynesiani, Mario Monti, monetaristi, neoclassici, politica, ripresa

È da quando si è iniziato ad avere a che fare con la crisi economica che gli operatori, in particolare quelli finanziari come le banche e la BCE, hanno cominciato a predicare l’austerità per mettere a posto i conti. In un paese con un debito pubblico più alto del PIL questa è una raccomandazione valida in generale, quindi non ci si è mai soffermati davvero su cosa vuol dire un suggerimento del genere. Quello che sottintende il perfetto analista economico monetarista, molto semplicemente, è che i capitali esteri saranno nuovamente attratti da un paese con i conti in ordine. Il che, finché non lo si analizza un po’ più in dettaglio, sembra un discorso sensato.

Prendiamo l’esempio di un ristorante con una sua identità, una buona cucina e abbastanza frequentato. Dal momento che genera utili, anche se magari non è gestito benissimo, ottiene credito per lavori e per pagare i fornitori: c’è fiducia, e le banche non si preoccupano troppo di chiedere tutte le garanzie del caso, il sistema cresce e il ristorante, pur non essendo efficientissimo, sarà in grado di restituire tutto. Poniamo che improvvisamente, per qualche ragione, magari esogena (l’apertura di un locale concorrente, la chiusura del vicino multisala), il locale inizi a perdere clienti e smetta di generare utili. Quello che suggerisce il perfetto monetarista è di mettere a posto i conti per rientrare del passivo con le banche: questo rimetterà in moto gli affari.

La mossa che verrebbe in mente a chiunque sarebbe diminuire i prezzi o attuare politiche promozionali per attrarre nuovamente gli avventori. Ma ciò prevede un investimento liquido nel presente per aumentare gli introiti in futuro. Il perfetto monetarista replica che i conti vanno messi a posto subito, non dopo. E come si fa? Il perfetto monetarista suggerisce di tagliare le spese ed incrementare le entrate: licenziare lo chef che guadagna tanto, ridurre gli stipendi dei camerieri ed aumentare i prezzi.

In questo modo nel brevissimo periodo i conti migliorano: è stata eliminata una voce passiva in bilancio, sono state ridotte le spese e, per i pochi giorni prima che i clienti rimasti si accorgano che il locale è troppo caro e la qualità è diminuita, gli introiti aumentano. Secondo il perfetto monetarista, questo dovrebbe fungere da motore dello sviluppo. Perché? Non si capisce: il ristorante è senza chef, ha camerieri scontenti che lavorano male e prezzi troppo alti. Per quale motivo i clienti dovrebbero tornarci? Perché non ha debiti?

Il perfetto monetarista obietta che un ristorante col pareggio in bilancio è in grado di assumere un nuovo chef, anche se magari pagandolo meno. Non è vero, perché questo lo rispedirebbe subito in rosso, secondo i monetaristi potrebbe assumere un nuovo chef solo dopo essere ripartito; ma facciamo finta che sia così. Mi immagino la scena: “Vieni a lavorare con noi, siamo un locale coi conti a posto” – “Ma siete in declino, siete sempre mezzi vuoti!” – “Non è vero: il bilancio della scorsa settimana è in attivo” – “E chissenefrega, non avete clienti!”

Assumiamo tuttavia che lo chef accetti: dal punto di vista di chi ci dovrebbe mangiare, il ristorante si trova nella medesima condizione pre-crisi, solo coi prezzi più alti. Ma, argomenta il perfetto monetarista, ora il ristorante non è in rosso, può abbassare i prezzi: non è vero neanche questo, per lo stesso motivo, ma, anche fosse, saremmo nuovamente alla situazione in cui si è innescata la crisi, non si è risolto niente. Per di più il ristorante genera meno ricchezza, perché paga di meno i dipendenti. Dov’è la ripresa?

E i creditori? Beh, la banca è soddisfatta, perché è riuscita ad evitare che il proprietario saltasse le rate dei pagamenti. Dopodiché, se è stata furba, ha anche truffato qualche poveraccio vendendogli le quote del prestito al ristorante, abbindolandolo con lo specchietto dell’attivo di bilancio. Se il giochetto non le è riuscito, siamo da capo e comincerà di nuovo ad esigere politiche di rigore. E se il ristorante fallisce? Dal punto di vista dei creditori, deve rimanere in vita il tempo sufficiente a consentire la truffa o ad estinguere il debito. Poi può anche andare a zampe all’aria.

Che bello il mondo dei monetaristi!

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Inaspettatamente

28 mercoledì Mar 2012

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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Tag

economia, Euro, governo, Hermione Granger, Irlanda, john maynard keynes, keynesiani, Mario Monti, monetaristi, neoclassici, politica, politica fiscale, recessione, UE, Unione Europea

“L’economia irlandese sotto la guida del premier Kenny è buona dimostrazione di quello che anche in Italia diciamo spesso a cittadini e cioè che misure di consolidamento di bilancio, di rigore e riforme strutturali possono essere difficili da affrontare e sopportare nel brevissimo periodo, ma poi generano effettivamente la ripresa della crescita economica.” – Mario Monti, 23 febbraio 2012.

“Ireland’s economy unexpectedly contracted in the fourth quarter, pushing the nation back into recession, led by a drop in exports and government spending. […] Irish Finance Minister Michael Noonan said last week that he expects to cut the government’s growth forecast for this year as exports slow and consumer spending continues to contract.” – Business Week, 22 marzo 2012.

Quando si dice la competenza.

In un sistema economico, lo stato può compiere due tipi di intervento: uno di politica fiscale ed uno di politica monetaria. Ovviamente questi due tipi di intervento non sono esclusivi: in un momento critico di solito è necessario utilizzarli entrambi, per poter dare lo shock necessario ed evitare ripercussioni esterne; e non è nemmeno detto che bastino. Ora, in Europa, i singoli stati non hanno sovranità monetaria: ce l’ha la BCE, la quale ha come unica missione statutaria il controllo dell’inflazione; in nessun modo nei suoi compiti sono citati crescita economica, controllo del tasso di cambio, difesa dell’economia dell’UE o dei singoli paesi.

L’unica arma dunque a disposizione degli stati è la politica fiscale. In economia si parla di politica fiscale espansiva quando si ricorre al deficit di bilancio, e di politica restrittiva quando si opera in senso inverso. Un politica espansiva mira ad immettere liquidità nel sistema, ed è uno strumento fondamentale per contrastare i movimenti recessivi.

Come si genera la ripresa economica? John Maynard Keynes fu molto chiaro: stimolando i consumi aumentando la spesa pubblica o riducendo le tasse per aumentare il reddito disponibile delle persone; lui stesso, inoltre, ammise l’insufficienza di questo tipo di stimolazione, perché è necessario poi impedire che la maggiore disponibilità di denaro si traduca in un semplice aumento dei prezzi, e soprattutto compiere interventi per modificare strutturalmente le aspettative degli operatori sull’andamento futuro del sistema, in modo che i consumatori riprendano stabilmente a spendere ed il sistema produttivo riparta.

L’Unione Europea, in un momento (momento?) di recessione esige politiche di rigore: quindi non interventi espansivi, ma restrittivi. In altre parole, in una crisi generata da polarizzazione nella distribuzione del reddito, che si è tradotta in consumi insufficienti e nella mancata reimmissione nel sistema economico di una parte consistente delle risorse, lo stato deve inserirsi togliendo reddito ai consumatori.

“Inaspettatamente”: già, chi nella vita si sarebbe mai aspettato che l’Irlanda non ripartisse?

Secondo i neoclassici (identificati talvolta col termine monetaristi, come Friedman: quel tizio che ha quasi portato gli Stati Uniti alla bancarotta sotto Reagan) per quale motivo, esattamente, il rigore dovrebbe generare la ripresa? Come riparte il sistema? Da solo e senza soldi? Ci pensa Hermione Granger a tirarlo su?

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