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Come i leghisti con i profughi

13 sabato Gen 2018

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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abusi, abuso di potere, analfabetismo funzionale, carabinieri, Catherine Deneuve, cialtroni, Deneuve, fastidio, forze dell'Ordine, genere, idee chiare, molestie, molestie sessuali, molesto, polizia, potere, prostituzione intellettuale, sesso, stupro, supri, violenza, violenza di genere, violenza sessuale

Nutrivo da un po’ il dubbio che certa gente che straparla di femminismo, sessismo, molestie sessuali, stupri ed in generale di questioni di genere avesse le idee un po’ confuse, che quando dice “so distinguere perfettamente tra un’avance ed una molestia sessuale” si sopravvaluti sensibilmente. Grazie alla lettera di Catherine Deneuve firmata da 100 intellettuali francesi che ricorda come uno che ci prova, magari in maniera un po’ goffa, insistita o anche importuna, che introduce argomenti privati o un po’ espliciti fuori contesto, o che sfiora il ginocchio di una donna non è un molestatore e che portare avanti una mostruosità del genere finirà per intaccare le libertà sessuali, ne ho avuto la certezza. In quattro giorni su Internet si sono lette assurdità di ogni tipo e livello, ma alla fine due cose sono emerse in modo chiaro: primo, buona parte dei commentatori è formata da gente che interviene per sentito dire e da analfabeti funzionali che la lettera l’hanno letta ma non l’hanno capita; secondo, la differenza tra un comportamento inopportuno ed uno penalmente perseguibile, di fatto tra persona molesta e molestatore, non è chiara per niente.

La prima cosa abbastanza ovvia da sottolineare è che manipolare, banalizzare o fingere di fraintendere le parole altrui per criticarle indica assenza di argomenti: Sostenere che Catherine Deneuve avrebbe scritto che le donne devono farsi molestare, che quelle che non se lo fanno appoggiare in metropolitana sono delle puritane, è una pura e semplice invenzione: chi polemizza su questo polemizza sul nulla, ed in un certo senso le dà ragione. La seconda, altrettanto scontata, è che attaccare il ragionatore invece del ragionamento, come se il fatto che la Deneuve si sia in passato spogliata al cinema la inibisca a discutere di diritti delle donne e la renda una sostenitrice del patriarcato, è ridicolo ed inutile se non dannoso alla discussione.

Passiamo al merito della questione, con un breve esempio: qualche tempo fa fece più o meno il giro di Internet un video in cui una donna avrebbe subito 108 “molestie sessuali” nel corso di 10 ore trascorse per strada. Praticamente tutte suddette “molestie sessuali” consistevano in saluti o commenti, nient’altro. Comportamenti certo non graditi, magari anche molesti, ma se parliamo di “molestie sessuali” parliamo di un reato che prevederebbe una pena detentiva. Davvero vogliamo invocare il codice penale per uno che dice “ciao bella” per strada?

Dice, “ma sono fastidiosi”. Certo che sono fastidiosi, ma il punto è esattamente quello: c’è differenza tra un comportamento fastidioso ed uno penalmente perseguibile, e, esattamente come rileva Catherine Deneuve, non sembra che questa differenza sia chiara. Anche il camion della nettezza urbana che passa alle tre di notte sotto le finestre di chi cerca di dormire perché si deve svegliare alle sei è fastidioso, ma nessuno parla di denunciarlo.

Oltretutto, il “fastidio” è una reazione soggettiva, e io ho letto esempi allucinanti: da quella che “se ti dico no è no, se insisti è violenza e io ti cicco in un occhio” (non c’è nessuna violenza nel fare un secondo tentativo, nel ‘ciccare’ in un occhio sì) a quella che dopo aver ricevuto dei fiori senza biglietto nel negozio in cui lavorava si è fatta andare a prendere dal padre perché temeva per la sua incolumità. Sarebbe ora di rendersi conto che in questi casi il problema non sono gli uomini, nemmeno quelli molesti, ma certe donne che vivono in uno stato di terrore autoindotto degli uomini, come i leghisti coi profughi.

Il fine ideale di certe integraliste che hanno o cavalcano certe paure irrazionali ed ingiustificate, il loro scopo recondito, è molto semplice: poter arrivare ad agitare lo spettro della denuncia per molestie a chi gira loro attorno e non è gradito. Donne che, peraltro, messe alle strette, non possono altro che suggerire una maggiore presenza delle forze dell’ordine a cui rivolgersi ogni volta che si sentono minacciate – forze dell’ordine i cui membri sono o sono stati processati per la macelleria della scuola Diaz, l’omicidio Cucchi e, guarda un po’, un doppio stupro a Firenze: tipiche persone che vorrei incontrare mentre cammino da solo in un vicolo di notte.

Viviamo in una società in cui la stragrande maggioranza dei comportamenti violenti contro le donne avviene tra le mura di casa; degli altri, nella maggioranza dei casi si tratta di violenze perpetrate da congiunti; dei rimanenti, la stragrande maggioranza degli episodi è riconducibile a situazioni di abuso di potere (il capo che molesta le sottoposte, il produttore che molesta la provinante, il poliziotto che violenta la turista alticcia). Non mi pare si sentano spesso, in relazione ad uno stupro, commenti tipo “ce lo aspettavamo: le fischiava quando passava”, mentre “sembrava una brava persona” e “salutava sempre” vanno per la maggiore.

Le molestie sessuali non hanno nulla a che vedere col sesso: sono un’espressione di potere. Forse anche certe cosiddette femministe (spesso a loro volta un po’ troppo attratte dal potere) prima o poi ci arriveranno.

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Rivelazioni

25 mercoledì Ott 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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abusi, abuso, abuso di potere, alfa, Amazon, ambizione, Asia Argento, Bezos, Bill Gates, cialtroni, competitività, costume e società, Cristiano Ronaldo, donne, Eataly, economia, Farinetti, femminismo, Harvey Weinstein, Hollywood, Lady GaGa, maschi alfa, Merkel, Michael Crichton, molestie sessuali, personalità alfa, politica, potere, Renzi, ricchezza, rivelazioni, sesso, società, stupro, uomini, valori, violenza, violenza sessuale, Weinstein

Allora, in Italia, nel 2017, pare che grazie al caso Weinstein ed alle denunce di Asia Argento, con tutto quello che ne è seguito, abbiamo scoperto che le persone di potere commettono abusi. Per il 2018 mi aspetto l’incredibile rivelazione che l’acqua è bagnata.

Senza andare troppo indietro, correva l’anno 1994 e negli Stati Uniti un uomo finì sulla graticola: il suo nome era Michael Crichton, era l’autore del romanzo “Jurassic Park” che era appena stato trasposto al cinema per la regia di Steven Spielberg (cosa che ci aveva consentito di vedere dei dinosauri perfettamente credibili su uno schermo!), ed il motivo era la pubblicazione della sua ultima fatica letteraria, “Rivelazioni”. Il libro parlava della vita in un’azienda high-tech americana e il plot principale si snodava attorno ad una vicenda di molestie sessuali: la ragione del rumore fu il fatto che nel romanzo la vittima era un uomo ed il molestatore una donna, sua superiore.

Il libro fu subito accusato di essere antifemminista, ed in parte lo era, infatti Crichton aveva dichiarato più volte di non poterne più di un movimento che stava finendo per considerare la donna una specie protetta – un po’ come quella parte di femminismo nostrano che combatte il patriarcato per sostituirsi ad esso, ad esempio dicendo alle donne come vestirsi e comportarsi per evitare di screditare o creare problemi alla causa. I lettori che non soffrivano di analfabetismo funzionale, però, capirono abbastanza rapidamente che la tematica centrale non erano le molestie sessuali, ma l’abuso di potere. Nel libro, dopotutto, l’avvocato a cui il protagonista si rivolge per tutelarsi e minacciare causa alla sua superiore lo asserisce piuttosto chiaramente: le molestie sessuali non c’entrano niente col sesso, sono una manifestazione violenta di potere.

Qualsiasi persona ricerchi ossessivamente il potere, il successo, i soldi e qualunque altra forma di realizzazione personale che si basa sul sentirsi superiore agli altri, è uno che, in un modo o nell’altro, è propenso all’abuso. Politici arrivisti, arrampicatori sociali, squali della finanza, scalatori di gerarchie aziendali, imprenditori aggressivi e competitivi: tutte tipologie di individui da cui è lecito attendersi un comportamento abusivo nei confronti del prossimo. È quello che fanno le cosiddette personalità alfa.

Lo fa Renzi quando caccia dal partito chi non la pensa come lui e lo fa la Merkel quando impone ai greci di rinunciare alle cure mediche gratuite; lo fa Bezos quando obbliga i dipendenti a ritmi massacranti e condizioni lavorative schiavistiche e lo fa Farinetti quando ricatta i dipendenti e insulta chi lo contesta; lo fa il barone universitario quando chiede all’assegnista di portargli a spasso il cane o quando non gli fa firmare un articolo; lo fa il broker della City quando manda migliaia di persone sul lastrico spostando soldi per speculare o quando si assume il merito di un’operazione brillante condotta interamente dai suoi assistenti sfruttati e sottopagati; lo fa il tizio col Cayenne quando si ferma in doppia fila bloccando un parcheggio per disabili; lo fa il produttore di Hollywood quando fa capire alla giovane attrice (o anche al giovane attore, perché no?) che o si mette a 90 gradi o non lavorerà mai più.

Ovviamente, solo alcuni di questi comportamenti sono penalmente rilevanti, e l’abuso in ambito sessuale è particolarmente odioso, il punto è che però sono tutte facce della stessa questione – la necessità di esercitare ed ostentare il potere, il bisogno di essere riconosciuti come superiori. Il vero problema, però, è che la società attuale è di fatto subalterna alle personalità alfa: chi lotta, compete e fa di tutto per arricchirsi, emergere e conquistare potere, e ci riesce, è considerato un modello, uno da invidiare ed imitare – non parlo solo dei Bill Gates, eh, parlo anche dei Cristiano Ronaldo e delle Lady GaGa. Chi vive la sua vita con un sistema di valori diverso, non basato su ambizione e desiderio di successo, è normalmente visto come un debole.

L’ipocrisia della società, alla fine, è tutta qui: portare sul palmo di mano come esempi persone che sono intrinsecamente propense all’abuso, e poi sorprendersi e scandalizzarsi quando commettono abusi – ma solo (e nemmeno sempre) se gli abusi sono penalmente rilevanti: negli altri casi si tratta di personalità, carattere e abilità di leadership, mentre il povero sottoposto schiavizzato è solo un fallito che a questo mondo non sa farsi valere.

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La classe dirigente

22 giovedì Giu 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Fingersi esperti di cinema

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Alessandro Di Battista, Almirante, anti-politica, Appendino, Beppe Grillo, Berlinguer, capolavoro, cinema, DC, delirio, Di Battista, Di Maio, eccentricità, film, follia, genio, governo, Grillini, La Classe Dirigente, Luigi Di Maio, M5S, Matteo Renzi, Movimento 5 stelle, Onestà, paraculo, parlamento, Peter O'Toole, politica, potere, Raggi, Renzi, Roma, Salvini, Torino, Virginia Raggi

Un film dimenticato dai più perché incredibilmente sottovalutato è “La classe dirigente” (“The ruling class” in originale). Peter O’Toole vi interpreta Jack Gurney l’erede di una famiglia di pari inglesi che, a seguito della morte del padre, eredita il patrimonio di famiglia, titolo e seggio alla Camera dei Lord compresi. Solo che Jack è degente di un ospedale psichiatrico perché si crede la reincarnazione della Trinità. La famiglia allora cerca di tenere sotto controllo le sue manie, che includono una discreta collera divina, e di renderlo presentabile – presentabile, non sano – di modo che possa passare per eccentrico invece di essere considerato pazzo. Alla fine è Jack stesso a capire che una cosa del genere gli conviene: si rivolta contro la famiglia, si ripulisce e reclama il titolo per utilizzarlo in prima persona, non come emanazione dei parenti. Dopodiché ricomincia a delirare, ma da uno scranno di potere, non da dentro un manicomio.

La pellicola è geniale, ferocemente satirica, splendidamente grottesca con un utilizzo sapiente dell’iperbole, ed il suo unico limite è che si ride moderatamente perché è nel concetto fin troppo amara. È anche piuttosto lunga, dura circa due ore e mezza.

Ecco, le vicende del Conte Jack Gurney mi ricordano abbastanza da vicino quelle del Movimento 5 Stelle. Una manica di persone instabili, che vedono sé stesse un po’ come una sorta di giustizieri della notte, convinti di trovarsi in un universo parallelo in cui le loro sparate hanno un senso, che accanto a tanti squilibrati non sembrano nemmeno troppo più matti degli altri, riesce a raggiungere in qualche modo le posizioni di potere, che siano esse una poltrona da sindaco o semplicemente un numero rilevante di parlamentari, per poi continuare a dire cose senza senso, sapendo che nessuno di loro sarà considerato diversi dall’infinità di irresponsabili che popolano la classe dirigente italiana.

Quando si trovano a governare, questi signori si dimostrano di un’inettitudine con pochi precedenti. Non voglio sostenere che Renzi in 3 anni a Palazzo Chigi abbia dimostrato una qualsivoglia abilità amministrativa, né che Salvini sarebbe capace di fare alcunché, ma gli eletti del M5S brillano da un lato per spocchia e presunzione, dall’altro per la loro incrollabile fiducia che basterà la loro ostentata idea di essere dei castigamatti della corruzione per far evaporare i sistemi clientelari che reggono la vita pubblica dell’Italia, salvo poi scontrarsi con una realtà in cui non basta dire “io sono onesto” per far sì che burocrazia e malaffare consegnino le armi e si ritirino in buon ordine – la cosa fantastica è come ci rimangono quando se ne accorgono.

È di questi giorni un’incredibile esternazione di Luigi Di Maio, probabilmente il personaggio più grottescamente antipatico dell’intera galassia grillina, un insopportabile alter ego di Renzi altrettanto populista, ignorante e paraculo, secondo la quale il M5S si ispirerebbe a Berlinguer, ad Almirante ed alla DC. Cioè ad un segretario storico del Partito Comunista, ad un fascista conclamato, repubblichino mai pentito più volte attenzionato dalle Procure per le sue posizioni anticostituzionali, e ad un partito a-ideologico che ha governato il paese per 40 anni con sistemi clientelari e raccomandazioni, in cui convivevano decine di correnti e che si reggeva solo ed esclusivamente sull’amore per il potere ed il suo esercizio. Il tutto mentre a Roma Virginia Raggi delira di funivie mentre non riesce a garantire un servizio di autobus nemmeno passabile, vagheggia di rifiuti zero mentre nel centro i camion della nettezza urbana passano ad intervalli irregolari ed imprevedibili, e straparla di decoro urbano mentre si accanisce contro i centri accoglienza, perché l’obiettivo non è aiutare i poveri ma farli sparire dalla vista.

Quello che vorrei fosse chiaro è che Di Maio, Di Battista, Fico, Raggi, Appendino e compagnia predicante non sono né degli eccentrici né delle persone con delle posizioni un po’ estreme ma di buona volontà: esattamente come Peter O’Toole in “La Classe Dirigente”, sono semplicemente degli squilibrati incapaci di pensiero critico e di qualsivoglia abilità pratica, e per di più fortemente attratti dall’autoritarismo.

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La triste parabola

13 venerdì Gen 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Un mondo di cialtroni

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carta stampata, cialtroni, diritti, editoria, fallimento, giornalismo, giornalisti, governo, Gramsci, informazione, L'Unità, mainstream, Nicodemo, PD, politica, potere, Renzi, Rondolino, Sergio Staino, servilismo, social media, Staino, stampa, televisione

La notizia in questi giorni è che L’Unità è di nuovo in gravissime difficoltà economiche e non sta uscendo nelle edicole. Visti l’atteggiamento ed i contenuti, trovarlo sorprendente è come minimo fuori luogo. Un buon esempio della situazione si è avuto durante la campagna referendaria, quando i sostenitori del Sì erano in televisione ad insultare gli avversari praticamente di continuo e spadroneggiavano sui social media, per cui un giornale che faceva esattamente la stessa cosa, con gli stessi argomenti, un’arroganza se possibile ancora maggiore ed un atteggiamento servile nei confronti di chi occupava materialmente la comunicazione mainstream insopportabile, era ad essere gentili superfluo.

Infatti L’Unità non vende. Ora, ci si potrebbe soffermare sulla triste parabola del giornale fondato da Antonio Gramsci, per decenni quotidiano del principale partito di opposizione, fieramente comunista, trasformato in un organo di stampa del principale partito di governo, atto a magnificare provvedimenti che tolgono diritti ai lavoratori tipo il Jobs Act. Oppure si potrebbe impostare un discorso sull’altrettanto mesta, e sostanzialmente parallela, parabola di Sergio Staino, che ora, dopo aver condotto il quotidiano sotto terra con una direzione squallida ed adulatoria, va dal capo a chiedere l’elemosina.

Ma parliamo d’altro. Io personalmente non verserò una lacrima per l’eventuale chiusura di L’Unità e sono fortemente contrario a qualunque operazione di salvataggio, in particolare a quelle con ipotetici soldi pubblici. Il motivo pratico è che L’Unità è un giornale di partito, un partito tutt’altro che povero, se gli iscritti vogliono avere un megafono se lo paghino e, se non se lo possono permettere, si arrangino. E poi c’è un motivo teorico.

La libertà di pensiero è un diritto inalienabile. La libertà di espressione, all’interno del vincolo della responsabilità personale di fronte alla legge ed alla Costituzione antifascista, altrettanto. Avere un pulpito invece è un privilegio e, sinceramente, non sono per niente favorevole a concederlo a servi, valletti e lacché del potere, né a squadristi fascistoidi stile Rondolino e Nicodemo, che invocano il pestaggio dei manifestanti contro il governo, mentre i loro padroncini li spogliano di diritti fondamentali e a loro volta li insultano e li sbeffeggiano. E certamente non voglio contribuire a concederlo loro con i miei soldi.

Un giornale del genere certamente non è di pubblico interesse. Non ha nemmeno mercato, come chiunque sarebbe in grado di capire a maggior ragione nel momento in cui l’oratoria del capo è palesemente ed apertamente rivolta al fantomatico “uomo della strada”, che in Italia i quotidiani non li ha mai letti, ed è ripetuta urbi et orbi dalla gran parte dell’informazione televisiva. Se chi lo dirige non è in grado di, o più realisticamente non ha il coraggio per e non è autorizzato a, prendere una direzione diversa per rimanere in piedi e preferisce continuare a sdraiarsi di fronte all’editore sperando poi che questi lo finanzi indefinitamente, può tranquillamente finire a zampe all’aria senza che se ne senta la mancanza.

Questa storia per cui qualsiasi foglio di carta stampata è di per sé un arricchimento deve finire. Anzi, ce ne sono alcuni di cui è meglio liberarsi il prima possibile.

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Sovrabbondanza

12 lunedì Dic 2016

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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Boschi, Buona Scuola, cialtroni, costituzione, Gentiloni, governo, governo Renzi, Ho Votato No, io voto No, Italia, Italicum, Jobs Act, lavoro, Legge Boschi, Maria Elena Boschi, Matteo Renzi, narrazione, no, potere, poteri, referendum, referendum costituzionale, Renzi, Riforma Boschi, riforma costituzionale, RIforma Madia, storytelling

C’era una volta lo storytelling. Cioè, siamo chiari: adesso che al governo ci va Gentiloni, dopo che Renzi ha fatto finta di ritirarsi per continuare a fare i comodi suoi senza ricoprire un ruolo istituzionale che manifestamente non è in grado nemmeno di guardare da vicino, lo storytelling continuerà – dopotutto stiamo parlando di avere come capo del Governo quello che da Ministro degli Esteri favoriva la vendita di armi agli arabi mentre Presidente del Consiglio e Ministro della Difesa si premuravano di assicurarci che era tutto legale, come se il problema fosse di legalità e non di opportunità. Ma qui parliamo di uno storytelling preciso: quello che è morto la sera di domenica 4 dicembre 2016.

Era lo storytelling del Renzi propositivo, proattivo e smart che cambiava l’Italia punto dopo punto, abbattendo privilegio dopo privilegio. Ora, c’è da dire che era già agonizzante, poverino, schiacciato sotto il peso dell’evidenza, e che gli elettori si sono limitati a constatarne il decesso.

Vediamo meglio: Matteo Renzi, da Presidente del Consiglio, aveva puntato tutto su alcune riforme ed alcune parole chiave molto precise. Aveva introdotto una nuova, brillante ed innovativa legge elettorale, l’Italicum, talmente buona che, diceva, mezza Europa ce l’avrebbe copiata; aveva riformato il mercato del lavoro col Jobs Act, l’istruzione pubblica con La Buona Scuola, la pubblica amministrazione con la riforma Madia; era intervenuto sul pasticcio degli istituti di credito cooperativo con una riforma del sistema bancario; aveva proposto una riforma di ben 47 articoli della Costituzione, la riforma Boschi, volta a riaccentrare alcune competenze delegate alle regioni in modo approssimativo da una precedente modifica, ed a velocizzare e snellire le procedure burocratiche nella gestione dello Stato. Inoltre, aveva imposto un sistema di comunicazione e di rapporto con le istituzioni dinamico ed informale, lontano dalle ingessature dei politici di professione.

Ora, in meno di tre anni tutto questo storytelling si è dimostrato quello che era: favole. L’Italicum, imposto a colpi di fiducia, secondo lo stesso Renzi va cambiato, e non perché è antidemocratico, ma perché favorirebbe la vittoria dell’Uomo Nero; Il Jobs Act ha fallito miseramente nel creare nuovi posti stabili, anzi è riuscito nell’impresa, peraltro ampiamente paventata dai suoi detrattori, di far diventare precari anche gli assunti a tempo indeterminato; la Buona Scuola si è dimostrata un pasticcio; la riforma della P.A. è stata bocciata dalla Corte Costituzionale perché scritta coi piedi; quella delle banche è stata stoppata dal Consiglio di Stato perché è a rischio di incostituzionalità. Nel frattempo, la comunicazione informale e dinamica si è trasformata in insulti e disprezzo dell’avversario, delle norme e delle regole di convivenza.

Rimaneva da decidere sulla riforma Boschi, che, in virtù dell’arroganza di un governo che l’aveva imposta a strappi, doveva passare per il vaglio del referendum confermativo. Bene, l’andazzo degli ultimi mesi, la palese incapacità del governo che l’aveva presentata a fare alcunché per il bene degli italiani, i continui fallimenti delle riforme presentate come panacea per i problemi dell’Italia, sono sembrate ragioni non solo sufficienti, ma finanche sovrabbondanti per un No forte e chiaro.

Poi, che non tutta la riforma fosse da buttare, possiamo anche essere d’accordo. Per me, da salvare c’era davvero molto molto poco, ma comunque non zero. Tuttavia, se un Governo che ha fallito ovunque abbia tentato di fare qualcosa, peraltro in modo spesso goffo ed ai limiti del comico, mi propone in blocco la modifica di circa un terzo degli articoli della Costituzione, in cui si interviene in modo deciso sulla rappresentatività, sull’equilibrio tra i poteri dello Stato e di fatto sulla forma di governo del Paese, senza nemmeno provare davvero spiegarla nel merito e limitandosi a slogan ed insulti, dando l’idea di essere lui stesso incapace di venderla ad un elettorato diverso da ultras e lobotomizzati, l’unica risposta possibile è un No stentoreo.

E infatti così è andata a finire, con buona pace del povero storytelling. Riposi in pace.

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Je suis Salvini

06 venerdì Mag 2016

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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Adinolfi, Bologna, catalanata, collettivo Hobo, contestazione, democrazia, educazione, Fabio Volo, fascismo, Federico Moccia, Hitler, Hobo, integralismo, istruzione, Lega, letteratura, libertà, libertà d'opinione, libertà di stampa, librerie, libri, Massimo Catalano, Matteo Salvini, Mein Kampf, nazismo, omofobia, parola scritta, politica, politicamente corretto, potere, razzismo, religione, Salvini, schifo, società, stalinismo, stampa, vergogna

La notizia più o meno è nota: ieri il collettivo bolognese Hobo ha fatto irruzione in una libreria ed ha distrutto le copie del libro di Matteo Salvini (o di chiunque lo abbia scritto a suo nome). Ne è seguito il solito coro di indignazione unanime, che ha più o meno fatto leva sui soliti due concetti: i libri sono sacri e chiunque ha diritto di esprimere la propria opinione.

Ora, l’atto in sé è stato evidentemente un gesto eclatante, su cui si può essere d’accordo o meno – io francamente non lo so da che parte sto, so solo abbastanza bene da quale parte non sto – e che da un punto prettamente economico è stato sostanzialmente, ed in diversi modi, un vantaggio per autore ed editore. Le reazioni invece sono state quantomeno affrettate e singolari. Premetto che non ho letto il libro (né ho minimamente intenzione di farlo), quindi le mie riflessioni non si basano sui contenuti.

Cominciamo con la solita catalanata: una stronzata eversiva, un concetto razzista, un incitamento all’odio restano tali anche se vengono stampati su carta e poi rilegati. Questa faccenda che i libri, tutti i libri, siano oggetti sacri, è una fesseria. Un libro non è un paio di scarpe – un oggetto che ha il suo valore in quanto tale. Un libro non è un oggetto di arredamento, è ciò che contiene. Non è che il “Mein Kampf” è sacro perché è un libro. E soprattutto non è che le opinioni espresse nel “Mein Kampf” sono più accettabili delle deliranti dichiarazioni di Hitler perché sono riportate in un libro. Come ha scritto uno su Twitter stamattina, allora cosa dovremmo dire di tutti i libri mandati al macero ogni giorno perché invenduti?

Mi piacerebbe sapere quale sarebbe la reazione di tromboni tipo Michele Serra se ieri il collettivo Hobo avesse distrutto copie dei libri di Federico Moccia o Fabio Volo – tanto per citare due persone che non ho letto, e non voglio leggere, ma che godono di un certo livello di dileggio negli ambienti che se la tirano da intellettuali (tra l’altro non so Moccia, ma Fabio Volo mi risulta essere schierato a sinistra, e tempo fa è stato protagonista di una memorabile rissa verbale con Adinolfi, uscendone peraltro come quello più ragionevole e preparato dei due). Probabilmente buona parte di chi oggi parla di sacralità della parola scritta starebbe ridendo sotto i baffi. L’ipocrisia dei benpensanti politicamente corretti è nota.

Passiamo alla catalanata numero due: ovviamente nessuno può pensare di impedire a Salvini di avere ed esternare le sue deliranti opinioni. Il problema qui non è che Salvini pubblichi un libro, il problema è che quel libro abbia un mercato (al di fuori dell’umorismo trash, intendo).

Una società libera e democratica deve possedere gli anticorpi contro chi la vuole fare a pezzi. Gli anticorpi non sono le leggi, come il reato di apologia di fascismo o di vilipendio contro le istituzioni: sono l’educazione, l’informazione e la cultura. Una società evoluta emargina e combatte autonomamente ideologie razziste od omofobe, integralismi religiosi, istigazioni all’odio e pulsioni dittatoriali, perché le riconosce come un pericolo. Nessuno può proibire a Salvini ed Adinolfi di pensare che gli immigrati siano tutti delinquenti o che i gay siano malati, è anche difficile pensare di impedire loro di esprimere questi concetti. Un mondo appena passabile riconosce queste posizioni come false, antidemocratiche e pericolose e le isola, come isolerebbe un musulmano che predica la necessità del martirio, uno stalinista radicale, un cattolico che propone una cura per gli omosessuali o un movimento politico che ostenta saluti romani e croci celtiche.

In un mondo decente uno come Salvini sarebbe al bar con la bava alla bocca a farfugliare con la voce impastata contro negri, comunisti e froci e verrebbe trattato con divertita ed imbarazzata condiscendenza dagli avventori. Se volesse pubblicare un libro non troverebbe un editore, non tanto perché il libro è inaccettabile, ma perché è pieno di falsità ed è senza mercato.

Solo che questo mondo decente è educato, consapevole ed informato. Pare che sia più conveniente disinvestire nell’educazione pubblica e vietare per legge l’apologia di fascismo.

Nel frattempo ricordo a chi paragona il gesto del collettivo Hobo ai roghi nazisti che i nazisti quando bruciavano i libri erano al potere. Suggerisco di verificare chi, tra Hobo e la Lega, siede in Parlamento, è alleato di movimenti che ritengono l’omofobia un valore e ha il leader ospite in televisione con cadenza quasi quotidiana.

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Il fuoco amico

26 giovedì Nov 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Un mondo di cialtroni

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Adinolfi, Califfato, Daish, diritti, diritti civili, divertimento, Europa, fondamentalismo, Fondmentalisti, Francia, Gasparri, guerra, integralismo, ISIS, libertà, libertà civili, libertà d'espressione, Medici Senza Frontiere, Medio Oriente, MSF, Occidente, Parigi, Parigi sotto attacco, potere, rock, Salvini, Siria, terrorismo, terroristi, Valeria Solesin, vita

A proposito del cosiddetto Califfato, o ISIS, o Daesh come, ho recentemente scoperto, viene chiamato da chi non vuole dargli il credito che richiede, scrissi che era il risultato di tanti fattori, non ultimo l’aver affrontato situazioni problematiche in tutto il Medio Oriente armando per quasi 40 anni il meno peggio del momento, intendendo per “meno peggio” quello che rappresentava la soluzione contingente più vantaggiosa – quindi di fatto quello che era più abile a trattare e vendeva meglio il petrolio – senza mai avere un’idea di lungo periodo che non fosse vendere armi.

Il Daesh, o ISIS, sa benissimo che nel mondo ci sono due situazioni che vuole affrontare: una è un’emergenza, l’altra, forse, un problema di lungo termine. L’emergenza è il fatto che al mondo esiste gente che vorrebbe vivere la vita secondo le proprie regole: persone che vogliono divertirsi, bere, mangiare, ascoltare musica, innamorarsi e litigare, persone favorevoli alla laicità, all’uguaglianza, alle libertà civili, ai diritti umani, al dialogo ed alla convivenza pacifica, e questo, per chi vuole imporre le proprie convinzioni con la forza, è inaccettabile. Dal punto di vista di un stronzo armato fino ai denti e travestito da fondamentalista religioso, poi, il fatto che ci siano persone che, pur combattendo la stessa emergenza, sono spinte da motivazioni differenti, è un problema: le loro ragioni sono sbagliate.

Il Daesh, assieme a tutti i cosiddetti fondamentalisti islamici, si applica dunque per combattere prima di tutto l’emergenza. A livello globale, i terroristi che sostengono di agire in nome di Allah scatenano la violenza nei luoghi di ritrovo delle persone normali, dal mercato al ristorante passando per la sala da concerti nel centro di Parigi. Ce l’hanno con la libera informazione e con la satira, ce l’hanno con le organizzazioni umanitarie, ce l’hanno con chi vive la sua vita secondo ideali di libertà. Contro gli stessi principi, in Occidente agiscono altri tipi di fondamentalisti, uno potrebbe dire cattolici ma c’è anche molto altro: fanno la guerra ai diritti civili (come la privacy ed i matrimoni omosessuali), combattono la libertà di espressione (parlando di vilipendio e blasfemia), attaccano le organizzazioni umanitarie (come Emergency e Medici Senza Frontiere), osteggiano le libertà sessuali (considerando i sex workers esseri umani inferiori e vietando l’insegnamento dell’educazione sessuale a scuola), squalificano le fonti di passione e divertimento (come rock, fumetti, letteratura fantasy) ed in generale trattano con estremo sospetto chi ha una sua scala di valori e vive la sua vita di conseguenza – è di questi giorni, tra l’altro, l’insistente e vergognosa questione intorno al fatto che la povera Valeria Solesin fosse o meno battezzata.

Eccolo, dunque, il vero nemico dell’integralismo: Valeria Solesin, uccisa da fondamentalisti che sostengono di parlare in nome di Allah mentre viveva la sua vita ed insultata da fondamentalisti che sostengono di parlare in nome di Dio mentre i suoi cari la piangono. È lei l’avversario, il vero pericolo, e come lei tutti quelli che pensano e vivono secondo dei valori autodeterminati – quelli della passione e della libertà, non quelli del denaro, pel potere e del controllo sulle vite degli altri. Siamo pieni di tromboni che invitano a pregare per Parigi, ma i fondamentalisti islamici non hanno nessuna paura di un uomo che prega, anche se, proprio come i fondamentalisti cattolici, disprezzano chi prega un dio diverso. Bisognerebbe invitare le persone ad uscire, divertirsi, condividere, magiare, bere, discutere, ascoltare musica, ballare, stringere legami, scopare per Parigi (o per Beirut, Bamako, Tunisi), perché questo è ciò dà davvero fastidio a chi sa interfacciarsi col prossimo solo con odio e senso di superiorità.

Per questo, cari integralisti de noantri, voi non siete sotto attacco: nella guerra tra la libertà e l’oppressione, tra i lumi e l’ignoranza di massa, voi state dalla stessa parte del Daesh, come il Daesh sta dalla stessa parte del governo americano che combatte la trasparenza e bombarda MSF. E se ogni tanto qualcuno di voi ci va di mezzo, è semplicemente un danno collaterale, il medesimo tipo di danno collaterale che ritenete essere un male necessario quando avallate i bombardamenti sui civili in Siria, Libia, Iraq e Afghanistan. È fuoco amico: fatevene una ragione.

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Legalizzare l’omicidio

29 mercoledì Ott 2014

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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BCE, Berlusconi, cialtroni, cittadini, economia, Esecutivo, Europa, giustizia, governo, Italia, italiani, lavoratori, lavoro, legge, liberismo, Marchionne, Matteo Renzi, Merkel, Monti, parlamento, PD, politica, politica economica, potere, Renzi, sindacati, Tatcher, Unicef

Spesso ho la sensazione che quando si parla di economia politica e politica economica, quelli che se ne occupano a livello professionale non abbiano le basi. Poi guardo meglio e mi rendo conto che non è una sensazione: è proprio così.

A volte non è ignoranza, è semplicemente un costante far finta di niente per interessi di parte, come nel caso dei cosiddetti tecnici del fu governo Monti, che conoscevano i principi della macroeconomia, ma sceglievano consapevolmente di fregarsene perché i loro mandanti – la BCE, la Merkel, la City di Londra, qualche lobby e via dicendo – dettavano loro l’agenda, un’agenda che prevede di fare macelleria sociale per riportare i lavoratori dove erano nel Medio Evo: in un posto dove il loro potere decisionale è zero. Altre volte invece direi che l’incompetenza regna sovrana.

Prendiamo la querelle degli ultimi giorni tra Renzi ed i sindacati. C’è stato un incontro tra questi ultimi ed alcuni rappresentanti del Governo, i quali, secondo i segretari di CGIL, CISL e UIL, non avevano mandato a negoziare, dunque si è trattato di un’esposizione ridicola e priva di qualunque utilità pratica. Renzi ha risposto, con apparentemente corretto senso istituzionale, che in Italia le leggi le fa il Parlamento, aggiungendo che i rappresentanti dei lavoratori, le cosiddette parti sociali, devono appunto rappresentare i lavoratori, non la popolazione italiana, e che per rappresentare la popolazione italiana dovrebbero farsi eleggere.

Tutto molto bello, tutto concretamente sbagliato.

Al di là dell’ipocrisia del segretario di un partito che si è impossessato del Governo senza passare per un vaglio elettorale del suo programma in modo da ottenere la fiducia da Camere che fossero state elette sulla base di quello che lui ed i suoi avversari promettevano di fare e non sulla base delle ricette di Bersani e del PdL, un tizio che di conseguenza governa con una sorta di mandato personale, sulla base di una generica fiducia accordatagli dagli italiani che, dice lui, gli permette di fare quello che vuole senza sottostare a nessun tipo di controllo o anche solo di contraddittorio, vediamo meglio come stanno le cose.

È verissimo che in Italia il Parlamento detiene il potere legislativo, solo che il governo Renzi fa un uso spropositato di decreti legge, di disegni di legge di iniziativa ministeriale e di ricorso alla fiducia, quindi le Camere legiferano solo sulla carta, in realtà decide tutto l’Esecutivo, mentre in Parlamento non è nemmeno permesso discutere. È altrettanto vero che i sindacati dovrebbero rappresentare i lavoratori nelle diatribe contrattuali e dunque dovrebbero trattare per lo più con gli imprenditori, ma se il Governo intende cambiare la legislazione sul lavoro, peraltro senza aver mai chiesto agli elettori se sarebbero d’accordo, con chi altro dovrebbe discuterne? Invece Renzi preferisce parlare con Marchionne, che, da buon residente svizzero che ha portato un’azienda italiana oltre confine per non pagare le tasse in Italia, ha notoriamente una vastissima legittimazione a chiacchierare.

Tutto questo proprio nei giorni in cui esce un rapporto dell’Unicef che mostra come le politiche aggressive ed atte a legittimare lo spostamento dei rapporti di forza verso le lobby hanno portato ad un fortissimo incremento della povertà, e pochi mesi dopo che un altro rapporto mostrava come a 30 anni dalle politiche di distruzione dei sindacati e del potere contrattuale dei lavoratori da parte della Tatcher, mai contrastate dai governi successivi, nemmeno da quelli dei laburisti, la Gran Bretagna è il paese europeo con il più alto livello di polarizzazione dei redditi.

Renzi ripete come un mantra che tutto questo è inevitabile perché il posto fisso non c’è più e bisogna adeguarsi, il che probabilmente è vero, ma ricordo che lui sta al Governo, non è un opinionista che spiega la situazione. Il Governo, in quanto uno dei tre poteri dello Stato italiano, dovrebbe tutelare i cittadini in situazioni di difficoltà facendo valere i loro diritti, mettendo paletti e contrastando i comportamenti dannosi per la collettività, non certificare che c’è un problema ed avallarne le conseguenze.

Altrimenti, se la gente domani iniziasse a sparare per strada, tra due anni cosa potrebbe dire Renzi? Che la vita umana non è più un valore e le persone devono rassegnarsi a farsi ammazzare?

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13 giovedì Mar 2014

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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femminismo, genere, Giuditta Pini, giurisprudenza, governo, Italia, legge, legge elettorale, magistratura, maschilismo, parità, parità di genere, parlamento, politica, potere, quote rosa, sessismo, stato

In Italia chi esce con una laurea dalla facoltà di Legge ha davanti diversi tipi di carriera: svolgere una professione ordinata (avvocato, notaio), tentare il concorso per entrare in Magistratura, svolgere altri tipi di professione, più o meno attinenti col proprio percorso di studi – consulente legale, insegnante di diritto e via dicendo.

Chiunque abbia visto anche da lontano una facoltà di Giurisprudenza sa perfettamente che gli studenti sono a maggioranza femminile. Da Legge escono più donne che uomini. Ricordo che la Magistratura è l’organo che esercita uno dei tre poteri dello Stato italiano, quello giudiziario, come il Parlamento esercita quello legislativo. Ora, se in Parlamento, come sbandierano a sproposito personaggi trasversali, si dovrebbero introdurre per legge le quote rosa, perché non dovrebbe essere garantita parità di rappresentanza di genere anche all’interno della Magistratura?

E allora che facciamo? Introduciamo le quote azzurre? Al concorso in Magistratura, se gli iscritti sono per il 67% donne, ne vanno bocciate il doppio degli uomini, perché altrimenti non c’è parità? E l’Ordine Nazionale degli Avvocati cosa dovrebbe fare? Perché non è nemmeno giusto che nei tribunali, luoghi ove il potere giudiziario viene praticamente esercitato, ci sia la maggioranza di un genere sull’altro.

Ma poi, poniamo anche che da Giurisprudenza escano lo stesso numero di uomini e donne: se a tentare il concorso in Magistratura fossero più uomini che donne e, al contrario, a buttarsi sulle professioni ci fosse una maggioranza femminile, cosa bisognerebbe fare? E se, estremizzando, tutti gli uomini tentassero il concorso e tutte le donne scegliessero l’avvocatura? Si terrebbe tutto fermo fino a quando non sussistano le condizioni per la parità di genere? Oppure si interverrebbe con misure coercitive per risolvere lo stallo? In tutto ciò, dove sono la libertà individuale ed il merito?

Ma soprattutto, perché si parla solo di genere? E perché solo di genere femminile? Perché non introdurre nella legge elettorale l’obbligo di presentare alle elezioni almeno il 10% di omosessuali, il 5% di candidati appartenenti a gruppi etnici minoritari, così è la volta che facciamo fuori la Lega, una quota di mancini e soprattutto almeno il 95% di persone senza carichi pendenti o condanne definitive?

Ma poi, come si presume che vada composto il Parlamento? Gli eletti dovrebbero essere un campione conforme e rappresentativo della popolazione italiana? Faccio notare che, in questo caso, lo strumento di gran lunga più adeguato non sono le elezioni, ma le procedure di campionamento a più stadi dell’Istat.

Ma certi tromboni, tipo quel fenomeno di Giuditta Pini col suo elegantissimo tweet su Lorena Bobbitt (io aspetto sempre donne che si accontentino di considerare uno scherzo sortite di questo tipo a sessi invertiti), si rendono conto di quello che dicono?

Tra l’altro, parlando di elezioni invece che di concorsi pubblici, c’è un grosso vantaggio, almeno sulla carta: per essere eletti bisogna essere votati, non è necessario passare per una procedura di valutazione, quindi non ci sono criteri di oggettività nella selezione tipo, che so, la competenza. Non solo (più o meno) chiunque può presentarsi, ma (più o meno) chiunque può essere eletto: chi prende più voti va dritto in Parlamento. Certo, sarebbe carino che i voti fosse costretto a prenderli, invece che nominato dalla segreteria del suo partito, con criteri oscuri e spesso cialtroni.

Ma poi, tralasciando le quote multicolori ed altri tipi di accorgimenti tra il ridicolo ed il kafkiano, perché nessuno pensa di presentare una legge elettorale che assegni le quote dei seggi in Parlamento sulla semplice base di come vota la popolazione italiana? Perché una legge elettorale dovrebbe imporre il rispetto delle quote rosa e non delle percentuali di voti espressi dall’elettorato?

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Potere, gnocche e segaioli

12 giovedì Set 2013

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Farneticare di politica ed economia

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appuntamenti, belle donne, Berlusconi, elezioni, governo, politica, politici, potere, riflessioni, servi della gleba, sesso

Qualche giorno fa parlavo con la commessa (molto carina ed altrettanto sveglia, sarà sicuramente fidanzatissima) di un negozio di telefonia, in attesa che fosse in grado di poter risolvere un problema che affliggeva la mia utenza, del fatto che lei si sentiva impotente ed incapace di immaginare una forma di rivolta, o anche solo di protesta, efficace contro uno stato e delle istituzioni che non si curano di quello che succede al paese. Disse che si sentiva nella semplice e deprimente condizione di attendere di sapere quello che altri decidono per lei.

Io replicai che non aveva centrato il punto: infatti, la condizione degli italiani non è di servitù della gleba di fronte ai desideri del padrone, quanto di attesa che venga presa una decisione, una qualunque, da parte di gente che non intende farlo. L’Italia è un paese paralizzato nell’immobilità, sospeso, in cui non succede mai niente di determinante, e quando succede poi salta fuori che non era determinante davvero. Le istituzioni sono l’esempio forse più calzante di questa situazione.

Ripensiamo un momento al mio incontro con la gnocca. Mettiamo, per fini puramente speculativi, che io torni e le chieda di uscire. Potrei essere interessato ad un appuntamento con lei per molteplici motivi, dal più egoista – scoparla e addio – a quello che qui identificheremo come il più nobile – conoscerla per mettere le basi per un discorso di intimità futura – passando per tutte le gradazioni intermedie. La richiesta di uscirci prevede che io prima o poi ci provi e, in caso di desideri corrisposti, ci vada a letto. Quale che sia la mia idea di cosa fare dopo – tentare di costruire qualcosa assieme o cacciarla fuori di casa ancora ansimante mollandole la spazzatura da buttare – si deve passare attraverso il sesso, che è contemporaneamente un fine ed uno strumento.

Trasferiamo questo discorso nelle istituzioni italiche. Siamo pieni fino alle orecchie di persone che si fanno eleggere, fanno di tutto per conquistare posizioni di potere, compreso un accordo con ciò che per anni hanno indicato agli elettori come il nemico da abbattere, per poi non farci nulla. Se uno vuole andare al governo, in teoria, può avere molteplici scopi di medio periodo, dal mangiarsi edonisticamente tutto quello che capita a tiro al varare provvedimenti per migliorare la vita sociale ed economica dell’Italia, con tante gradazioni di indegnità nel mezzo: per raggiungere il fine, tuttavia, deve usare il potere che ha chiesto agli elettori. In termini generali, il PD ed il PdL, con l’eccezione di quello che cerca di evitare la galera da 20 anni, non lo fanno, non ci provano nemmeno: lo scopo di raggiungere il potere per certi personaggi che dominano la vita pubblica nel nostro paese si esaurisce infatti nel raggiungerlo, non nell’usarlo. Il fine non è governare, neanche per rubarsi pure le sedie, ma essere al governo – uno status. Un po’ come se io chiedessi di uscire alla tizia del negozio semplicemente per portarla fuori ed ostentarla, per far vedere quanto è bella la ragazza che mi accompagna e basta.

Sì, in questa metafora il potere è il sesso e chi ce l’ha ma non lo usa è un onanista.

Dal che si possono desumere due considerazioni conclusive fondamentali: 1. Parecchi politici di altissimo profilo istituzionale (mettete un po’ il nome che volete: _____________________________) in Italia sono assimilabili a dei segaioli; 2. Avrei dovuto chiedere alla bella tizia del negozio di uscire.

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