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Hiromi feat. Edmar Castaneda @ Arena Santa Giuliana, Perugia, 12/7/2017

14 venerdì Lug 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di musica

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È la quarta volta che vedo Hiromi dal vivo: la prima, in un concerto solista ad inizio 2012, è stata quella che me l’ha fatta conoscere; la seconda e la terza nel 2014, due sere di seguito, prima all’Umbria Jazz in duo con Michel Camilo, poi a Pescara in trio con Anthony Jackson e Simon Phillips. L’altro ieri sera, 12 luglio 2017, di nuovo all’Arena Santa Giuliana di Perugia, dove si è presentata in duo con l’arpista colombiano Edmar Castaneda.

Prima di parlare dell’esibizione, una piccola lamentela: questa faccenda del doppio concerto con l’accoppiamento a casaccio è quanto di più controproducente io abbia mai visto. C’è in cartellone una star del calibro della pianista giapponese, in un concerto inedito a duo con un arpista, e la si costringe a suonare per un’ora e venti per far spazio a qualcun altro: e non a qualcun altro del medesimo ambiente culturale, che so, un altro pianista fenomenale, ma ad una che fa salsa. Davvero non capisco.

Hiromi e Castaneda sono saliti sul palco verso le nove e venti. I primi due brani sono risultati essere del repertorio del musicista colombiano, interessanti e con ottimi spunti di improvvisazione e fraseggi godibilissimi; il secondo, in alcuni momenti fantastico, è decollato dopo un intro molto lungo, in cui i due all’inizio sembrava stessero accordando gli strumenti. Poi il genio è salito in cattedra: ha cominciato con la sontuosa “Place to be”, dall’album omonimo per solo piano. Poi ha presentato una cover: ha detto che era un pezzo che voleva suonare da una vita, ma non sapeva come orchestrarlo, e finalmente ha trovato la giusta alchimia con Castaneda; ha detto che si trattava di un pezzo di una colonna sonora, di un film di cui sono usciti ad oggi 7 episodi, e l’ottavo uscirà a dicembre.

Mentre tutti ci aspettavamo una bizzarra versione pianistica della “Marcia imperiale” (no, non è vero, lo speravamo solo), Hiromi e Castaneda hanno attaccato il pezzo della Cantina Band, quello suonato nel locale in cui Luke Skywalker e Obi-Wan Kenobi assumono Han Solo e Chewie per farsi portare su Alderaan. Assolutamente geniale.

Il concerto si è poi concluso con una suite intitolata “Elements”, da circa 35 minuti di durata e divisa in 4 brani (“Air”, “Water”, “Earth”, “Fire”), composta da Hiromi per l’occasione – che non è il singolo concerto ma una tournée che va avanti da mesi. Ed è stato in questi 35 minuti che si sono raggiunte vette di un’altra categoria, espressiva, ma anche tecnica e di puro divertimento (sebbene l’esecuzione di “Place to be” sia stata sensazionale), con un’alternanza di brani eleganti, travolgenti, coccoli e ai limiti del comico superlativa ed una struttura ingegneristica. Una suite pazzesca, suonata, interpretata ed improvvisata in modo sublime, che mi auguro verrà prima o poi resa pubblica perché l’ascolto di una roba del genere non può rimanere un episodio isolato ad esclusivo vantaggio di chi Hiromi e Castaneda ha avuto ed avrà l’onore di vederli.

Per quello che i riguarda, una suite del genere, migliore anche di “Viva! Vegas” su “Place to be”, e probabilmente all’altezza dei tre brani indicati come “Music for three-piece orchestra” su “Spiral”, è un sostegno piuttosto conclusivo all’idea che Hiromi dovrebbe staccarsi, magari non in modo definitivo, dal Trio Project e tornare a comporre in maniera libera seguendo quello che le dice la testa – una testa molto creativa ed incredibilmente brillante.

A causa della fretta dettata dalla necessità di modificare il palco per il concerto successivo, niente bis. Peccato. Ripeto, io trovo che la scelta di non lasciare l’intera serata a Hiromi ed Edmar Castaneda sia stata incomprensibile. E non solo perché per me avrebbero potuto andare avanti a suonare fino alle quattro del mattino emozionandomi continuamente senza mai stancarmi, ma perché Hiromi è oramai da tempo una numero uno vera, che sposta gente e con la quale i musicisti fanno la fila per collaborare. E non si può mettere fretta al genio.

Meravigliosa. Io continuo ad aspettarla a Roma.

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Hiromi! HIROMI! H-I-R-O-M-I!!!

19 sabato Lug 2014

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di musica

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concerti, genio, Hiromi, improvvisazione, jazz, live, Michel Camilo, musica, pathos, Pescara jazz, piano, pianoforte, Simon Phillips, suonare, trio, Umbria jazz

Negli ultimi giorni mi sono temporaneamente trasformato in una specie di groupie: ho seguito in giro per il centro Italia la pianista giapponese Hiromi, della quale parlai in passato, perché ricordavo molto nitidamente cosa significasse vederla suonare dal vivo – una così chi se la scorda? Dunque giovedì sono andato con amici a sentirla suonare all’Umbria Jazz in duetto col pianista dominicano Michel Camilo. La sera dopo l’ho vista a Pescara col suo Trio Project, assieme al bassista Anthony Jackson ed al batterista Simon Phillips.

Avrei tante cose da dire su queste due serate, il problema è che non so da dove partire: Hiromi è semplicemente troppa.

Cominciamo col sottolineare che entrambi i festival prevedono serate con doppio concerto, quindi tutte e due le esibizioni sono state troppo brevi. Ora, io avrei potuto starla a sentire adorante fino alle quattro del mattino, quindi forse non faccio testo, ma un’ora e venti è oggettivamente pochino, soprattutto per una che dilata i pezzi con improvvisazioni magnifiche, fantasiose, divertenti e sempre coinvolgenti, peraltro con compagni di esibizione altrettanto validi nel fare lo stesso e nel non trasformare mai i momenti in cui hanno completa libertà esecutiva in masturbazioni per ostentare la propria perizia, e che ha un repertorio decennale di materiale di ogni tipo. Bilanciamo ammettendo che sia nell’arena Santa Giuliana a Perugia che, soprattutto, nello splendido teatro D’Annunzio Pescara la cornice paesaggistica ha contribuito a creare un’atmosfera suggestiva ed evocativa.

Due concerti completamente diversi in ventiquattr’ore. Opinione personale, bellissimo, sorprendente ed insolito il primo, ma vederla nel trio, con i due compagni che la seguono nelle sue creazioni recenti, è un’altra cosa, magari più scontata, o quantomeno più usuale (soprattutto per una che può fare, e fa, praticamente qualsiasi cosa), ma assolutamente travolgente.

In entrambi i concerti Hiromi ha suonato un brano da sola. A Perugia, ovviamente, sia lei che Camilo lo hanno fatto. Camilo ha suonato un tipico pezzo jazz al pianoforte, splendido, impetuoso e coinvolgente, con citazioni e richiami, davvero bello. Hiromi invece si è divertita: ha scherzato, giocato e cazzeggiato – il tutto con le note, non a parole. Invece che cercarsi l’applauso scrosciante ha preferito ridere. A Pescara, dopo pezzi trascinanti, energici, straripanti con Phillips e Jackson, si è dedicata ad un pezzo soffice, struggente e malinconico, che mi ha lasciato senza parole oltre che senza fiato. Lei è così.

Mentre suona si agita, si muove freneticamente, si alza, scalcia, dimena corpo, gambe, testa e spalle, fa espressioni buffe e assurde e soprattutto geme: non vedo come si possa dare torto a chi sostiene che suonare la ecciti e soddisfi sessualmente. Vederla assieme ad un altro pianista è curioso. Camilo suona lo strumento, lo sfrutta e ne tira fuori quello che vuole. Hiromi no: lei lo prende e lo brutalizza, lo trascina nel suo paradiso/inferno personale, lo fa a pezzi e lo rimonta, e lo usa per fare tutto questo anche a sé stessa. Pazzesco.

Venerdì pomeriggio, arrivando al teatro D’Annunzio, non avendo idea di come fosse organizzato, nell’attesa che mi raggiungesse un’amica per un aperitivo pre-concerto, ho provato a dare un’occhiata: era aperto e sono entrato. Hiromi stava facendo il soundcheck. Ho avuto occasione di guardarla provare e mettere a punto strumento ed amplificazione per una mezz’ora, dare indicazioni ai tecnici, suonare perfettamente i pezzi quasi con aria distratta, chiacchierare con i tecnici ed il tour manager, dare vita a brani che la maggior parte dei musicisti che si sentono in giro darebbe l’anima per saper concepire e poi suonare così.

Il problema è che il punto non è saperli scrivere e saperli suonare, ma saperli interpretare e rivoltare, calarsi nei brani, nel concerto, darsi allo strumento ed alla musica come Hiromi ha fatto due ore dopo. Hiromi non scopa col pianoforte ogni volta che ci si siede perché non sono i brani che fanno il pathos: è lei che dà vita ai pezzi suonandoli come, quando e soprattutto e quanto vuole, che quando si esibisce e ne termina uno ha il fiatone e la voce che trema, esausta e sfinita. È lei che fa cose come farsi prendere dal crescendo e arrivare alla fine della tastiera continuando a suonare l’aria con la mano destra e i tasti con la sinistra, per poi allontanarsi dal piano e tornare a sedersi imbronciata qualche secondo dopo.

Seriamente, che altro chiederle? Altro che due volte mi piacerebbe vederla dal vivo.

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