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Eli Gold

14 mercoledì Dic 2016

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di tv, Un mondo di cialtroni

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Alan Cumming, America, cialtroni, comunicazione, Eli Gold, endorsement, immagine, io voto No, Jim Messina, Matteo Renzi, Messina, no, PD, politica, Prodi, referendum, referendum costituzionale, Renzi, ridicolo, Romano Prodi, Serie TV, social media, spin doctor, Stati Uniti, televisione, The good wife, tv, USA, Vietnam

Una delle più interessanti serie televisive degli ultimi anni è “The good wife”. Per chi non l’avesse mai vista, si tratta della storia di Alicia Florrick, moglie del procuratore generale dell’Illinois (Peter Florrick), che, da donna che aveva lasciato il lavoro per curare la casa ed i figli mentre il marito faceva carriera politica, intraprende di nuovo la carriera di avvocato a seguito dell’arresto del marito nell’ambito di uno scandalo di sesso e corruzione.

Le storie di marito e moglie, lei nel suo studio legale, lui che all’inizio lotta per provare la sua innocenza e poi ricomincia la sua attività politica, sono sviluppate in parallelo e sono trattate in modo tecnicamente molto accurato. Uno dei personaggi più interessanti dell’intero cast è quello del consulente politico e di immagine di Peter Florrick, uno squalo abile ed estremamente efficiente, di nome Eli Gold, interpretato da Alan Cumming.

Eli Gold di fatto ha tre compiti principali: gestire l’immagine pubblica di Peter Florrick, stabilendo come deve apparire, cosa deve esprimere, come e quando deve esprimerlo, e soprattutto cosa è meglio che non faccia; gestire la comunicazione on line, dirigendo le discussioni sui social media e tamponando i danni di possibili situazioni ostili; procacciare endorsement pubblici da parte di persone note della comunità locale, capaci di spostare voti potenzialmente decisivi. Il lavoro di Eli Gold nella serie è mostrato molto dettagliatamente, a volte in modo realistico, altre sfruttando il talento di Cumming per dare un taglio parodico al delirio della politica americana.

Eli Gold è dunque una rappresentazione televisiva del super-consulente assunto e strapagato dal PD per la campagna referendaria, Jim Messina. Il quale, da bravo americano, è arrivato in Italia e ha applicato le sue regole alla lettera, punto dopo punto, come se la società italiana fosse lo specchio esatto di quella americana. A volte, esattamente come Gold nel telefilm, è sembrato andare a braccio, in alcune circostanze non è stato in grado di tenere sotto controllo i suoi assistiti, altre volte (diversamente da Gold) ha preso delle topiche clamorose.

A me ha dato l’impressione di non avere un’idea chiarissima del tipo di taglio da dare alla comunicazione di Matteo Renzi, che si è dunque prestato ad esperimenti ai limiti dell’assurdo, come il presentarsi a non ricordo quale evento in maglione, nella mente di Messina come il dinamico, moderno ed affascinante Steve Jobs, agli occhi dell’italiano medio come uno stramicione con la panza che scimmiotta uno più figo di lui. Inoltre, nella sua ricerca disperata dell’endorsement, Messina a pochi giorni dal referendum ha tentato la carta Romano Prodi, che a sinistra non ha spostato una virgola e ha definitivamente convinto gli elettori di Forza Italia e partiti affini a votare No. Infine, una volta capito che in Italia la par condicio e la stampa non sono cose serie, ha sovraesposto Matteo Renzi, mandandolo in diretta ovunque e finendo per nauseare il pubblico invece di compattarlo, soprattutto perché si è reso conto in ritardo che Renzi in diretta faceva un autogol dopo l’altro insultando tutti quelli che avrebbe dovuto convincere.

E fin qui è tutto abbastanza normale, gli americani sono da sempre convinti che quello che vale per loro valga anche nel resto del mondo, poi finisce come in Vietnam ma non imparano niente. La cosa più interessante è che il referendum costituzionale è passato, Renzi è finito esattamente come i vietnamiti del sud, eppure dal punto di vista comunicativo non è cambiato nulla. Il PD continua a non dare nemmeno l’idea di conoscere il concetto di autocritica, Renzi si è ritirato sull’Aventino mentre la maggioranza ha fatto un esecutivo ridicolo che dà l’idea che o non ha capito cosa è successo o non gliene frega niente, i renziani continuano ad insultare la sinistra che non ha votato come avrebbero voluto, immagino sperando di far scattare un meccanismo tipo sindrome di Stoccolma. Nel frattempo l’Italia va avanti, senza un governo od un parlamento minimamente in grado di affrontarne i problemi, figuriamoci risolverli.

In effetti, ora che ci penso, c’è una differenza rispetto al Vietnam: in questo caso, Eli Gold è tornato a casa tranquillo, pieno di soldi e senza nessuna sindrome post-traumatica. Quindi forse gli americani ogni tanto qualcosa la imparano. Noi invece no. Però gli scemi sono sempre gli altri.

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L’uomo col binocolo

21 giovedì Ago 2014

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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11 settembre, Afghanistan, America, Assad, attentati, Cecilia Strada, cialtroni, Curdi, governo, guerra, ingerenza, Iraq, ISIS, jihad, Little Big Horn, Medio Oriente, NSA, Obama, Putin, Saddam Hussein, Sciiti, Siria, Stati Uniti, Sunniti, terrorismo, terroristi, Turchia, USA, Vietnam

Fatemi capire meglio questa storia: la Turchia fa parte della NATO, dunque è uno stretto alleato degli Stati Uniti, e ha trucidato per anni i Curdi nel Caucaso; in Iraq gli americani oggi stanno coi Curdi, che vengono trucidati dai Sunniti dell’ISIS, e vogliono armarli; In Siria stanno dalla parte dei sunniti dell’ISIS che combattono il governo di Assad, o almeno 4 anni fa rifiutarono una proposta di Damasco di combattere insieme i ribelli, poi pare che li abbiano anche armati – infatti i Curdi in Iraq denunciano che loro sono equipaggiati con armi rubate dagli arsenali di Saddam mentre le milizie dell’ISIS hanno armi americane di ultima generazione. Faccio presente che l’Iraq confina sia con la Siria che con la Turchia, ed è davvero impensabile che in centinaia di chilometri di frontiera su territorio desertico o montagnoso i combattenti delle milizie passino con armi al seguito da un Paese all’altro con scarse possibilità di controllo.

Poi ci chiediamo come mai nella zona non fanno altro che spararsi. Tanto per cominciare, come fa giustamente notare Cecilia Strada, la politica di schierarsi col meno peggio sembra a dir poco scarsamente lungimirante, visto che è stato a forza di armare il meno peggio che l’Occidente ha favorito l’ascesa dei Talebani. In Iraq nel 2003 si è fatta una guerra per eliminare Saddam Hussein, che era stato sostenuto da America ed Europa contro gli ayatollah sciiti iraniani negli anni Ottanta, era laico (in Iraq c’era libertà di culto) ed era filo-sunnita, per poi mettere su una forma di governo salomonica che non sta bene a nessuno, infatti a Baghdad oggi c’è l’esercito per strada; adesso si armano i Curdi contro le milizie jihadiste sunnite, che vengono contemporaneamente non osteggiate in uno stato confinante; tra 5 anni bisognerà armare gli Sciiti perché in tutto questo viavai di armamenti tecnologici rimarranno senza e verranno presto massacrati; tra 10 bisognerà poi armare i Sunniti anche in Iraq (e nel frattempo chissà quale sarà la situazione a Damasco) perché gli Sciiti li staranno distruggendo.

Ora, al di là del fatto che gli Stati Uniti e diversi altri paesi occidentali tra cui l’Italia hanno bisogno di sfoghi per la loro ingente produzione di armi, la teoria più plausibile è quella che la terza guerra mondiale sia già in atto, però a puntate, e non si capisce chi stia con chi o contro chi, tranne Putin, che è dipinto come il cattivo di una pessima, scontata e monotona sceneggiatura di genere, e l’Europa, che obbedisce all’amministrazione statunitense qualunque cosa dica o faccia, anche se si tratta di causare danni enormi alla propria economia, come ad esempio nella faccenda delle sanzioni alla Russia dopo che Obama ha sognato il presidente russo con la mise di Darth Vader a seguito di una cena a base di peperonata.

Non è chiarissimo come gli Stati Uniti pensino di vincerla, questa terza guerra mondiale, visto che quando va bene (a loro) lasciano il Paese in cui hanno ficcato il naso in una situazione peggiore di quella in cui lo avevano trovato, quando va male fanno figuracce al cui confronto la prestazione del Brasile contro la Germania nella semifinale dei mondiali è stata un capolavoro tattico e caratteriale. Ma ho un sospetto, anzi due: il primo è che a loro stia bene che la guerra non finisca, perché finché i vari gruppi si scannano sul proprio territorio ritengono (a ragione o torto, è tutto da vedere) di essere al sicuro – in senso relativo, visto che sono morti più cittadini americani in Iraq ed Afghanistan che l’11 settembre 2001 – e che se la guerra non finisce mai avranno la possibilità di continuare a vendere armi sempre più potenti; il secondo è che loro ritengano di avere un grossissimo vantaggio competitivo grazie ai big data raccolti dalla NSA ed alle loro capacità di analizzarli, fin quando non finiranno come al solito – l’altro ieri coi cannoni, i telegrafi ed i fucili e presi a calci in culo a Little Big Horn da gente con archi e frecce (cit.), ieri con la tecnologia per schermare i radar e rispediti al mittente da guerriglieri che disseminavano la giungla vietnamita di osservatori dotati di binocolo e radio, domani col cloud ed i dati di Google e Facebook ed incapaci di trovare chi si sposta per le montagne e comunica mediante piccioni viaggiatori e pizzini.

Spero tanto di sbagliarmi.

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