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Come i leghisti con i profughi

13 sabato Gen 2018

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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abusi, abuso di potere, analfabetismo funzionale, carabinieri, Catherine Deneuve, cialtroni, Deneuve, fastidio, forze dell'Ordine, genere, idee chiare, molestie, molestie sessuali, molesto, polizia, potere, prostituzione intellettuale, sesso, stupro, supri, violenza, violenza di genere, violenza sessuale

Nutrivo da un po’ il dubbio che certa gente che straparla di femminismo, sessismo, molestie sessuali, stupri ed in generale di questioni di genere avesse le idee un po’ confuse, che quando dice “so distinguere perfettamente tra un’avance ed una molestia sessuale” si sopravvaluti sensibilmente. Grazie alla lettera di Catherine Deneuve firmata da 100 intellettuali francesi che ricorda come uno che ci prova, magari in maniera un po’ goffa, insistita o anche importuna, che introduce argomenti privati o un po’ espliciti fuori contesto, o che sfiora il ginocchio di una donna non è un molestatore e che portare avanti una mostruosità del genere finirà per intaccare le libertà sessuali, ne ho avuto la certezza. In quattro giorni su Internet si sono lette assurdità di ogni tipo e livello, ma alla fine due cose sono emerse in modo chiaro: primo, buona parte dei commentatori è formata da gente che interviene per sentito dire e da analfabeti funzionali che la lettera l’hanno letta ma non l’hanno capita; secondo, la differenza tra un comportamento inopportuno ed uno penalmente perseguibile, di fatto tra persona molesta e molestatore, non è chiara per niente.

La prima cosa abbastanza ovvia da sottolineare è che manipolare, banalizzare o fingere di fraintendere le parole altrui per criticarle indica assenza di argomenti: Sostenere che Catherine Deneuve avrebbe scritto che le donne devono farsi molestare, che quelle che non se lo fanno appoggiare in metropolitana sono delle puritane, è una pura e semplice invenzione: chi polemizza su questo polemizza sul nulla, ed in un certo senso le dà ragione. La seconda, altrettanto scontata, è che attaccare il ragionatore invece del ragionamento, come se il fatto che la Deneuve si sia in passato spogliata al cinema la inibisca a discutere di diritti delle donne e la renda una sostenitrice del patriarcato, è ridicolo ed inutile se non dannoso alla discussione.

Passiamo al merito della questione, con un breve esempio: qualche tempo fa fece più o meno il giro di Internet un video in cui una donna avrebbe subito 108 “molestie sessuali” nel corso di 10 ore trascorse per strada. Praticamente tutte suddette “molestie sessuali” consistevano in saluti o commenti, nient’altro. Comportamenti certo non graditi, magari anche molesti, ma se parliamo di “molestie sessuali” parliamo di un reato che prevederebbe una pena detentiva. Davvero vogliamo invocare il codice penale per uno che dice “ciao bella” per strada?

Dice, “ma sono fastidiosi”. Certo che sono fastidiosi, ma il punto è esattamente quello: c’è differenza tra un comportamento fastidioso ed uno penalmente perseguibile, e, esattamente come rileva Catherine Deneuve, non sembra che questa differenza sia chiara. Anche il camion della nettezza urbana che passa alle tre di notte sotto le finestre di chi cerca di dormire perché si deve svegliare alle sei è fastidioso, ma nessuno parla di denunciarlo.

Oltretutto, il “fastidio” è una reazione soggettiva, e io ho letto esempi allucinanti: da quella che “se ti dico no è no, se insisti è violenza e io ti cicco in un occhio” (non c’è nessuna violenza nel fare un secondo tentativo, nel ‘ciccare’ in un occhio sì) a quella che dopo aver ricevuto dei fiori senza biglietto nel negozio in cui lavorava si è fatta andare a prendere dal padre perché temeva per la sua incolumità. Sarebbe ora di rendersi conto che in questi casi il problema non sono gli uomini, nemmeno quelli molesti, ma certe donne che vivono in uno stato di terrore autoindotto degli uomini, come i leghisti coi profughi.

Il fine ideale di certe integraliste che hanno o cavalcano certe paure irrazionali ed ingiustificate, il loro scopo recondito, è molto semplice: poter arrivare ad agitare lo spettro della denuncia per molestie a chi gira loro attorno e non è gradito. Donne che, peraltro, messe alle strette, non possono altro che suggerire una maggiore presenza delle forze dell’ordine a cui rivolgersi ogni volta che si sentono minacciate – forze dell’ordine i cui membri sono o sono stati processati per la macelleria della scuola Diaz, l’omicidio Cucchi e, guarda un po’, un doppio stupro a Firenze: tipiche persone che vorrei incontrare mentre cammino da solo in un vicolo di notte.

Viviamo in una società in cui la stragrande maggioranza dei comportamenti violenti contro le donne avviene tra le mura di casa; degli altri, nella maggioranza dei casi si tratta di violenze perpetrate da congiunti; dei rimanenti, la stragrande maggioranza degli episodi è riconducibile a situazioni di abuso di potere (il capo che molesta le sottoposte, il produttore che molesta la provinante, il poliziotto che violenta la turista alticcia). Non mi pare si sentano spesso, in relazione ad uno stupro, commenti tipo “ce lo aspettavamo: le fischiava quando passava”, mentre “sembrava una brava persona” e “salutava sempre” vanno per la maggiore.

Le molestie sessuali non hanno nulla a che vedere col sesso: sono un’espressione di potere. Forse anche certe cosiddette femministe (spesso a loro volta un po’ troppo attratte dal potere) prima o poi ci arriveranno.

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L’internazionalismo di quartiere

29 domenica Ott 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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catalani, Catalogna, cialtroni, comuni, Crimea, democrazia, Donbass, Europa, fascismo, federalismo, indipendentismo, indipendenza, internazionalismo, localismo, Lombardia, Maroni, nazismo, politica, Puigdemont, Putin, Rajoy, referendum, Russia, secessione, signorie, Spagna, stato, Ucraina, UE, Unione Europea, violenza, voto

C’era una volta uno Stato. Si chiamava Cialtronia, era il paese dei nostri incubi ed era fortunatamente molto diverso dalla gran parte dei paesi europei. In questo stato, nella sua parte orientale per essere precisi, c’era una regione che, per ragioni linguistiche e culturali, non riteneva di farne parte, ma per complesse questioni politiche e di storia contemporanea, era politicamente sotto il controllo della capitale.

Ad un certo punto, a seguito di una fase di forte instabilità politica interna, terminata con la presa di potere da parte di un gruppo reazionario, corrotto e con simpatie verso l’estrema destra, i contrasti con la regione orientale a maggioranza non Cialtrona si acuirono. Lo Stato centrale rispose alle pretese della regione autonoma prima con stizza ed arroganza istituzionale, poi proprio con violenza. I media europei fecero inizialmente finta di non vedere, poi presero sistematicamente ad ignorare quello che succedeva nella zona est di Cialtronia, dove la popolazione chiedeva il ripristino dell’ordine democratico, interrotto con la presa del potere del governo in carica, o, in alternativa, la concessione dell’indipendenza.

Le cose degenerarono, e si finì in una vera e propria guerra civile. Le città principali della regione indipendentista di Cialtronia vennero attaccate, mentre su Internet si iniziavano a diffondere video ed immagini che sembravano testimoniare l’uso di bombe a grappolo da parte del governo centrale e le aperte simpatie naziste delle truppe che combattevano per conto dello stato Cialtrone. In tutto questo, i media europei continuavano a non raccontare quello che succedeva veramente, preferendo concentrarsi su supposti crimini perpetrati dagli indipendentisti.

In realtà una cosa del genere in Europa è effettivamente successa: non in Catalogna, ma in Ucraina, a seguito del colpo di stato che ha portato Poroschenko al potere e il Donbass a chiedere la secessione. Non ricordo orde di internazionalisti filorussi contro il potere centrale corrotto e fascista, probabilmente perché con le regioni separatiste si era all’epoca schierato Putin (e, si sa, le brave persone sostengono attivamente l’esatto contrario di quello che dice Putin), ma forse ero distratto.

Adesso invece siamo pieni di indipendentisti alle vongole: questi soggetti, che qualche anno fa erano sulle barricate contro la validità del referendum che ha restituito la Crimea alla Russia, si spellano le mani di fronte ad una votazione, quella catalana dell’1 ottobre scorso, ai limiti del grottesco, con un tasso di partecipazione del 42% e voti multipli documentati, perché “il popolo si è svegliato”. Per una curiosa coincidenza, anche in Lombardia, nell’altrettanto ridicolo referendum a sostegno dello “statuto speciale” indotto dalla Lega e tenutosi la settimana scorsa, ha votato circa il 40% degli aventi diritto, peraltro non mi risulta che Roberto Maroni abbia chiesto alla popolazione di stampare le schede a casa e portarle in qualsiasi seggio aperto. Però i lombardi che hanno votato sono dei pagliacci, i catalani un popolo che si sveglia, il referendum lombardo è stato un fiasco, quello catalano una grande prova di democrazia.

Dice: “ma le violenze della polizia!” A parte che girano articoli che mostrano come alcune foto siano false e risalgano addirittura a scontri tra manifestanti e polizia catalana, qui stiamo parlando di spaccare uno stato con il “mandato popolare” fattivamente espresso del 38% della popolazione.

Trovo poi particolarmente ridicoli quelli che esultano per il contributo dato dai catalani alla disgregazione dello Stato nazionale a vantaggio dell’internazionalismo. Secondo questi soggetti, dunque, il superamento degli Stati nazionali passa per la loro moltiplicazione. I prossimi indipendentismi saranno dei Paesi Baschi e della Galizia, poi si separeranno le regioni vallone da quelle fiamminghe in Belgio, quindi finalmente toccherà alla Scozia e al Galles, successivamente a Veneto e Sicilia, e alla fine chissà, magari riusciremo a spaccare a metà anche il Lussemburgo. Purché Putin non sia favorevole, altrimenti tutti compatti ad opporsi.

Avanti così, verso l’internazionalismo di quartiere, per un ritorno a comuni e signorie (notori esempi di pace e tranquillità per secoli, peraltro), però globali. Ma fatemi il piacere.

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Rivelazioni

25 mercoledì Ott 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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abusi, abuso, abuso di potere, alfa, Amazon, ambizione, Asia Argento, Bezos, Bill Gates, cialtroni, competitività, costume e società, Cristiano Ronaldo, donne, Eataly, economia, Farinetti, femminismo, Harvey Weinstein, Hollywood, Lady GaGa, maschi alfa, Merkel, Michael Crichton, molestie sessuali, personalità alfa, politica, potere, Renzi, ricchezza, rivelazioni, sesso, società, stupro, uomini, valori, violenza, violenza sessuale, Weinstein

Allora, in Italia, nel 2017, pare che grazie al caso Weinstein ed alle denunce di Asia Argento, con tutto quello che ne è seguito, abbiamo scoperto che le persone di potere commettono abusi. Per il 2018 mi aspetto l’incredibile rivelazione che l’acqua è bagnata.

Senza andare troppo indietro, correva l’anno 1994 e negli Stati Uniti un uomo finì sulla graticola: il suo nome era Michael Crichton, era l’autore del romanzo “Jurassic Park” che era appena stato trasposto al cinema per la regia di Steven Spielberg (cosa che ci aveva consentito di vedere dei dinosauri perfettamente credibili su uno schermo!), ed il motivo era la pubblicazione della sua ultima fatica letteraria, “Rivelazioni”. Il libro parlava della vita in un’azienda high-tech americana e il plot principale si snodava attorno ad una vicenda di molestie sessuali: la ragione del rumore fu il fatto che nel romanzo la vittima era un uomo ed il molestatore una donna, sua superiore.

Il libro fu subito accusato di essere antifemminista, ed in parte lo era, infatti Crichton aveva dichiarato più volte di non poterne più di un movimento che stava finendo per considerare la donna una specie protetta – un po’ come quella parte di femminismo nostrano che combatte il patriarcato per sostituirsi ad esso, ad esempio dicendo alle donne come vestirsi e comportarsi per evitare di screditare o creare problemi alla causa. I lettori che non soffrivano di analfabetismo funzionale, però, capirono abbastanza rapidamente che la tematica centrale non erano le molestie sessuali, ma l’abuso di potere. Nel libro, dopotutto, l’avvocato a cui il protagonista si rivolge per tutelarsi e minacciare causa alla sua superiore lo asserisce piuttosto chiaramente: le molestie sessuali non c’entrano niente col sesso, sono una manifestazione violenta di potere.

Qualsiasi persona ricerchi ossessivamente il potere, il successo, i soldi e qualunque altra forma di realizzazione personale che si basa sul sentirsi superiore agli altri, è uno che, in un modo o nell’altro, è propenso all’abuso. Politici arrivisti, arrampicatori sociali, squali della finanza, scalatori di gerarchie aziendali, imprenditori aggressivi e competitivi: tutte tipologie di individui da cui è lecito attendersi un comportamento abusivo nei confronti del prossimo. È quello che fanno le cosiddette personalità alfa.

Lo fa Renzi quando caccia dal partito chi non la pensa come lui e lo fa la Merkel quando impone ai greci di rinunciare alle cure mediche gratuite; lo fa Bezos quando obbliga i dipendenti a ritmi massacranti e condizioni lavorative schiavistiche e lo fa Farinetti quando ricatta i dipendenti e insulta chi lo contesta; lo fa il barone universitario quando chiede all’assegnista di portargli a spasso il cane o quando non gli fa firmare un articolo; lo fa il broker della City quando manda migliaia di persone sul lastrico spostando soldi per speculare o quando si assume il merito di un’operazione brillante condotta interamente dai suoi assistenti sfruttati e sottopagati; lo fa il tizio col Cayenne quando si ferma in doppia fila bloccando un parcheggio per disabili; lo fa il produttore di Hollywood quando fa capire alla giovane attrice (o anche al giovane attore, perché no?) che o si mette a 90 gradi o non lavorerà mai più.

Ovviamente, solo alcuni di questi comportamenti sono penalmente rilevanti, e l’abuso in ambito sessuale è particolarmente odioso, il punto è che però sono tutte facce della stessa questione – la necessità di esercitare ed ostentare il potere, il bisogno di essere riconosciuti come superiori. Il vero problema, però, è che la società attuale è di fatto subalterna alle personalità alfa: chi lotta, compete e fa di tutto per arricchirsi, emergere e conquistare potere, e ci riesce, è considerato un modello, uno da invidiare ed imitare – non parlo solo dei Bill Gates, eh, parlo anche dei Cristiano Ronaldo e delle Lady GaGa. Chi vive la sua vita con un sistema di valori diverso, non basato su ambizione e desiderio di successo, è normalmente visto come un debole.

L’ipocrisia della società, alla fine, è tutta qui: portare sul palmo di mano come esempi persone che sono intrinsecamente propense all’abuso, e poi sorprendersi e scandalizzarsi quando commettono abusi – ma solo (e nemmeno sempre) se gli abusi sono penalmente rilevanti: negli altri casi si tratta di personalità, carattere e abilità di leadership, mentre il povero sottoposto schiavizzato è solo un fallito che a questo mondo non sa farsi valere.

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Divorzio

18 mercoledì Ott 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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1 ottobre, Andalusia, Barcellona, BCE, Carles Puigdemont, catalani, Catalogna, cialtroni, economia, Europa, fascismo, governo, indipendentismo, indipendenza, Madrid, Mariano Rajoy, Merkel, pestaggi, politica, Puigdemont, Rajoy, referendum, secessione, secessionismo, Spagna, spagnoli, Stefano Olivari, UE, Unione Europea, violenza

Notizie da Cialtronia. Nel paese dei nostri incubi, al cui mondo calcistico faceva spesso riferimento Stefano Olivari, una volta c’era una coppia sposata che stava attraversando una crisi: più precisamente, la moglie della coppia, Rambla, voleva lasciare il marito Lavapiés, che non era per niente d’accordo. All’epoca degli avvenimenti che stiamo narrando, Cialtronia non era un paese moderno, ed il divorzio in generale non esisteva: esistevano i tribunali che decidevano caso per caso, a seconda delle motivazioni.

Uno dei problemi principali della questione era che Rambla, grazie al suo percorso di studi ed alla sua gavetta, guadagnava un sacco di soldi, ma la comunione di beni la costringeva a dividerli con Lavapiés, il quale aveva l’obbligo morale di usarne una parte per mantenere la sua famiglia d’origine, che comprendeva anche membri molto poveri come, mentre Rambla per i suoi introiti aveva ben altri progetti, tra i quali, almeno idealmente, aiutare a sua discrezione i bisognosi, che a Cialtronia peraltro non mancano mai. Inoltre, Lavapiés doveva rifondere i debiti contratti con una potente e vendicativa donna straniera, Bicié. E insomma, Rambla voleva diventare padrona del proprio destino, fino a tentare di trattare personalmente con Bicié la sua parte di debito, anche se Bicié non sembrava molto propensa a considerare Rambla un interlocutore valido una volta sciolto il matrimonio.

Il fatto però era che il tribunale di Cialtronia non considerava le motivazioni economiche una giusta causa di divorzio. Un giorno Rambla decise, nonostante le condizioni avverse, di prendere e lasciare Lavapiés in modo unilaterale, senza il consenso dello stesso, né del tribunale del divorzio. Lavapiés, dopo aver passato anni ad ignorare le richieste di soldi ed attenzioni di Rambla, perse completamente la testa e massacrò Rambla di botte. L’aspetto grottesco dell’aggressione è la persona che voleva scappare veniva pestata dalla persona che voleva tenerla al suo fianco – al di là dell’ovvia ed assoluta gravità del pestaggio, davvero una strategia raffinata. Purtroppo a questo punto la storia si interrompe, perché non è ancora stato scoperto che cosa successe in seguito a Rambla: quello che si sa è che, dopo il pestaggio, non solo parecchi amici, ma finanche alcuni famigliari di Lavapiés avevano iniziato a capire le ragioni di Rambla ed iniziarono a farsi qualche domanda sul loro capofamiglia.

Quello che abbiamo capito, al di là di ogni possibile dubbio, è che se Rambla è una donna capricciosa ai limiti dell’avventato, Lavapiés è un idiota, inadeguato, privo di autocontrollo, squadrista e violento, incapace di ascoltare, uno che di fronte ad un problema si chiude e chiama gli sgherri. Uno che, per prima cosa, la sua famiglia deve rimuovere e sostituire immediatamente, non tanto e non solo, oramai, perché è un inetto completo che non è nemmeno capace di evitare le ire di Bicié e le sue conseguenti rappresaglie, ma soprattutto perché la famiglia deve recuperare una credibilità che con i pestaggi ha miseramente e squallidamente perso.

Rambla non ha mai davvero avuto un motivo per andarsene. Pretesti, ne ha cercati tanti: il voler utilizzare i soldi come voleva lei, purché non se ne avvantaggiassero i parenti di Lavapiés, come se Giralda, Mezquita o Alhambra fossero persone indegne; la corruzione del marito, come se lei credesse veramente di esserne immune nei secoli a venire; la subalternità di Lavapiés verso Bicié, come se, volendo restare nello stesso giro, lei pensasse davvero di essere in grado di parlarci da pari a pari; e via dicendo. Ma non era mai stata oppressa, discriminata o maltrattata, almeno prima del mese scorso.

Adesso, grazie al fatto che nel cervello di Lavapiés comanda un cretino, il motivo ce l’ha, perché le botte non possono essere accettabili, e la combinazione tra irrisione e botte è anche peggio, a maggior ragione se poi i parenti più stretti di di Lavapiés fanno finta che non sia successo niente. Questo lo sa Rambla e probabilmente lo sa anche il tribunale del divorzio.

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Tassisti fascisti

22 mercoledì Feb 2017

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Un mondo di cialtroni

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abusivi, abusivismo, Bersani, concorrenza, corteo, evasione fiscale, fascisti, liberalizzazioni, licenza, licenze, manifestazioni, mercato, PD, protesta, saluto fascista, saluto romano, sciopero, servizi pubblici, servizio pubblico, sindacati, sit-in, tassì, tassisti, taxi, taxisti, tifo, Uber, violenti, violenza

Premessa: i tassisti sono una categoria generalmente antipatica. Non a me, proprio all’universo mondo, in particolare in Italia, figuriamoci poi a Roma. I tassisti sono coinvolti in una lotta di categoria contro Uber, un concorrente che si pone come il nuovo che avanza e come un po’ di sana concorrenza, ma che in realtà è a tutti gli effetti un abuso: non è soggetto a licenza né a nessun tipo di regolamentazione e si basa sul concetto che basta avere un mezzo privato per offrire il servizio di trasporto pubblico.

Ci sarebbero da affrontare decine di argomenti in modo serio ed approfondito per analizzare davvero il problema, a cominciare dalla madre di tutti i pasticci, ossia la vendita delle licenze da parte dei tassisti che vanno in pensione, acquistate da tassisti che entrano in questo modo nel giro pagando l’equivalente di un piccolo appartamento – soldi che poi possono essere recuperati solo rivendendo la licenza in futuro. Un’amministrazione pubblica che voglia liberalizzare il mercato deve prima di tutto affrontare questo aspetto, altrimenti qualunque tentativo di immettere nuove licenze o permettere a persone in più di entrare nel mercato è comunque difficile. Ci provò Bersani una decina d’anni fa, in un modo talmente maldestro da rasentare l’auto-sabotaggio, al che venne il dubbio che o non era competente o voleva che il ddl fallisse.

Si potrebbe poi spiegare ai tassisti che pretendere la protezione pubblica (quindi la tutela della categoria tramite emissione e controllo di licenze e lotta agli abusi) implica anche degli obblighi: uno che lavora privatamente vive in mezzo agli squali e può scioperare ad oltranza, uno che offre un servizio pubblico (o di pubblica utilità) tutelato dallo Stato lavora in un mercato calmierato, ma deve sottostare ad una serie di restrizioni e può essere precettato.

Fare certi discorsi però è difficile, perché prevederebbe non solo e non tanto di informarsi, ma soprattutto di prescindere dalle dinamiche di tifo secondo cui c’è il cattivo che ha sempre torto a prescindere, e chiunque gli si opponga ha ragione. Non credo ci siano le basi.

Il punto però è che ieri, martedì 21 febbraio, durante un sit-in di protesta, un gruppo di manifestanti si è recato sotto la sede del PD e ha fatto sfoggio di saluti romani, ha tirato qualche bomba carta ed ha avuto alterchi con la polizia, ragione per la quale l’intera protesta è stata etichettata come fascista, aggiungendo poi l’accusa di evasione fiscale nei confronti della categoria.

A pensarci bene, in effetti, è giusto così: nelle normali manifestazioni di protesta, ad esempio quelle sindacali, quelle studentesche e quelle dei movimenti No-Tav e per la casa, non capita mai che un gruppo di facinorosi faccia vandalismo e litighi con le forze dell’ordine; non succede mai che ci siano degli infiltrati che non c’entrano niente con il corteo e sono lì solo per creare disordini e cercare scontri; non accade mai che partecipino anche furbetti, fannulloni e paraculi che si nascondono dietro le rivendicazioni sindacali per continuare a fare il comodo loro. E soprattutto, mai e poi mai intere manifestazioni vengono etichettate come violente o pretestuose per colpa di queste situazioni. Proprio mai, mai, mai.

Peraltro, manifestazioni di protesta indette da sindacati o da movimenti specifici di solito hanno una connotazione politica precisa – è difficile che ci siano fascisti ad un corteo della FIOM. Una protesta di categoria è diversa. Abbiamo più volte avuto esempi lampanti che persone con tendenze fasciste siano presenti e diffuse un po’ ovunque in Italia: immaginare che i tassisti ne siano immuni è quantomeno singolare.

Ma non preoccupiamoci, adesso arriva Uber, i cui dipendenti ed autisti notoriamente tutte le mattine prima di prendere servizio cantano l’Internazionale. E la cui politica societaria prevede, esattamente come imposto per legge ad i tassisti, di non fare crumiraggio o sciacallaggio: ad esempio Uber non può aumentare le tariffe mentre i tassisti scioperano, esattamente come i taxi non possono aumentare il prezzo di una corsa fino all’aeroporto di Fiumicino quando scioperano le ferrovie.

O forse le cose non stanno proprio così.

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Joyce Carol Oates: “La ragazza tatuata”

13 mercoledì Gen 2016

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di letteratura

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cliché, comunicazione, damigella in pericolo, damsel in distress, Joyce Carol Oates, La ragazza tatuata, letteratura, libri, libro, maltrattamenti, Oates, odio, pregiudizi, rabbia, rancore, romanzi, sesso, violenza, violenza sulle donne

Joyce Carol Oates - La ragazza tatuataCiao. Mi chiamo In Bocca Al Lupo Express ed ho un problema con il cliché della damigella in pericolo, o “damsel in distress”, come lo chiamano in terra d’Albione. Ogni volta che mi viene presentata una giovane donna in condizioni di disagio, disturbata o sottomessa, mi sciolgo e cado miseramente. È in questa sorta di perverso feticismo che rientrano alcune delle mie passioni artisticamente più intense, prime tra tutte quella per le cantautrici malinconiche che usano la musica come terapia e per le voci femminili tristi ed eteree che accompagnano una musica scura e dimessa.

Recentemente, mentre cercavo offerte interessanti tra gli Oscar Mondadori scontati del 25%, mi è caduto l’occhio su una copertina in cui campeggia un primo piano di una ragazza coi capelli biondo cenere e l’aria spaurita e sbattuta. Ho preso il libro, “La ragazza tatuata” di Joyce Carol Oates, e ho letto la quarta di copertina: a causa della mia dipendenza da storie di donne problematiche, non ho potuto resistere e ho comprato il libro.

Ora, la mia opinione sull’opera potrebbe essere lievemente influenzata dalla mia malsana passione per certi tipi di storia: quando il personaggio di Alma, appunto la ragazza tatuata, è descritto ed introdotto dall’autrice, il mio libero arbitrio si è preso un periodo di vacanza – alla seconda riga il colpo di fulmine era già partito, alle quinta volevo sposarla. Comunque, per quello che mi riguarda il libro è superbo.

Alma è una donna sconfortante: pressoché priva di istruzione, vive su convinzioni ed opinioni raccogliticce e pregiudizi radicati probabilmente fin dall’infanzia; è arrabbiata col mondo perché ritiene, realisticamente a ragione, di avere un credito inestinguibile con la sorte, e tuttavia si accusa delle sue scelte; non concepisce un tipo di interazione con gli altri che abbia una base diversa dal sesso; si innamora di qualunque uomo le conceda cinque minuti di attenzione (di solito come viatico per portarla a letto), e rimane innamorata di lui qualunque cosa le faccia; accetta maltrattamenti e violenze dalle persone che ha attorno mentre si chiede cosa voglia da lei chi cerca di essere gentile, covando odio e risentimento nei suoi confronti. Una tizia che se le va a cercare con cura, insomma, per la quale tuttavia non si può fare a meno di provare empatia – o almeno, io nel romanzo stavo dalla sua parte anche quando dava di matto.

C’è poi qualche altro bel personaggio, in primo luogo Josh Seigl, uno scrittore che si avvia ai 40 anni e la assume come assistente senza nessuna base logica – a questo proposito, quanto riportato nella presentazione del libro non è del tutto esatto, perché nel corso del romanzo non nasce nessuna complicità tra lui ed Alma, anzi per lo più i due vivono in mondi separati e comunicano a monosillabi perché ognuno dei due non capisce come potrebbe interfacciarsi con l’altro, né sembra troppo interessato. Seguono l’amante di Alma, che la maltratta, la deruba e la cede agli amici tenendola per la maggior parte del tempo sballata, la sorella disturbata e paranoica di Josh, più una breve serie di individui di rilevanza molto limitata, che hanno come unico scopo quello di far sentire Alma sempre fuori luogo, e di farla chiudere sempre più in sé stessa, nel suo odio e nel suo rancore verso il mondo, foraggiati dal suo cosiddetto amante che la usa senza nemmeno provare a nascondersi – lei stessa ne è consapevole ma rinuncia a combattere, preferendo concentrarsi sull’odio verso chi prova a trattarla con rispetto. Il tutto fino ad un finale nemmeno troppo scontato, che suggella e completa un’opera a suo modo maestosa nel descrivere il dramma quotidiano sconvolgente e terribile di una persona invisibile, nel dare corpo e sentimenti tutt’altro che ovvi, evitando il tono paternalistico e la retorica della vittima, a chi non è in grado di esprimerli.

E insomma, la Oates ha scritto un gran bel libro, che di temi ne tocca tanti, dalle difficoltà di comunicazione tra persone differenti all’accettazione della propria mortalità, passando per un intelligente ritratto di una persona sola, emarginata e sostanzialmente sconfitta, e tutti come sfondo ad una storia complessa ed interessante, penso e spero anche per chi è un po’ meno monotematico di me.

Consigliatissimo.

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L’ultras che mi vuole morto

18 mercoledì Nov 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Un mondo di cialtroni

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chiusura, diritti, educazione, Europa, fondamentalismo, fondamentalisti, francesi, Francia, guerra, Hollande, integrazione, ISIS, libertà, libertà civili, Medio Oriente, odio, Parigi, Parigi sotto attacco, parigini, paura, PorteOuverte, regresso, scuola, Siria, Stato Islamico, terrorismo, terroristi, ultras, USA, violenza

E quindi la Francia va in guerra. Con un’originalità ed un’imprevedibilità degne dei grandi geni mondiali, 14 anni dopo l’11 settembre il presidente francese François Hollande pensa di affrontare il problema del fondamentalismo che gli è arrivato fino alla porta di casa utilizzando una ricetta inedita: bombardamenti, restrizioni alle frontiere, limitazione delle libertà individuali. Per mezzo del suo uomo istituzionalmente più importante, la nazione i cui abitanti, nel pieno di una serie di attentati nel cuore della sua capitale, hanno offerto rifugio agli sconosciuti che non potevano raggiungere un luogo sicuro mediante l’hashtag “#PorteOuverte”, risponde a chi vuole spaventarla e la odia perché è troppo aperta con chiusura, spavento ed odio.

Hanno vinto i fondamentalisti. Quelli che si proclamano islamici, perché la Francia di domani sarà un paese meno libero, meno aperto e meno divertente, e quelli che si proclamano nemici del fondamentalismo islamico, per gli stessi motivi. Sono anni che lo dico, i terroristi stanno all’Islam come i violenti al calcio: come questi ultimi vanno in curva perché, facendosi chiamare ultras, possono esporre vessilli fascisti, gridare il loro odio, fare a botte e devastare senza pagare vere conseguenze, cosìnel Medio Oriente gli invasati possono, facendosi scudo di Allah, armarsi fino ai denti, sparare, insultare, umiliare, spadroneggiare e plagiare le menti senza essere linciati dalla folla. Purtroppo questa usanza sta prendendo piede anche da noi – gente che usa divinità di varia natura, da Dio ai soldi, per schiacciare il prossimo ed imporre le proprie regole di vita.

Detto questo, a me sembra che ci sia un aspetto di questa faccenda le cui implicazioni si sta deliberatamente scegliendo di ignorare: il fatto che gli attentatori fossero tutti cittadini europei. Non per la misura ridicola dei controlli alle frontiere (infatti stamattina, 18 novembre, c’è stata una sparatoria a Saint-Denis, non nel traforo del Monte Bianco), ma perché essere cittadini europei significa aver come minimo passato moltissimi anni in Europa, non esser venuti chissà da dove col solo scopo di farsi esplodere al primo pretesto utile. Probabilmente significa esserci nati, e questo, in Francia, implica aver frequentato le scuole francesi, in mezzo a coetanei francesi, da figli, nipoti o discendenti di persone che avevano fatto il possibile per lasciare il Medio Oriente chissà quanti anni fa.

Questa impellente necessità di tornare indietro, e non tanto per ritrovare le proprie origini quanto per divenire una quinta colonna di quello che i luoghi di origine sono oggi, con i loro fondamentalismi che si inseguono e la loro violenza, evidenzia un rifiuto della propria realtà quotidiana, quella europea, per quello che mi riguarda inquietante ed inconcepibile. Volere la morte delle persone con cui si è cresciuti e si vive, adoperarsi per ucciderle in nome di luoghi di cui si ha al più un lontano ricordo, se poi lo si ha, è qualcosa che va molto oltre la mia comprensione, ma di sicuro certifica il fallimento delle politiche di integrazione e del sistema educativo della Francia e dell’Europa nel suo complesso. Non mi pare una banalità su cui sorvolare.

Io sono molto più spaventato all’idea che un individuo cresciuto in Europa, che è stato educato in Europa ed interagisce quotidianamente con europei si adoperi per uccidermi in quanto membro della comunità di cui lui stesso fa parte, che dall’idea che uno a cui piovono bombe in testa tutti i giorni anche se non ha fatto niente pensi di vendicarsi sulla gente che avalla tutto ciò. Qualcuno, Hollande prima di tutto, intende porselo questo problema, o preferiamo tutti voltare la testa dall’altra parte? Limitare le mie libertà e sparare contro l’ignoto, quando il mostro non solo lo abbiamo dentro casa ma contribuiamo quotidianamente a formarlo, evidentemente proprio con le nostre vite, è una reazione facile, che fa un grande effetto e che da appena 14 anni peggiora le cose. Continuiamo così?

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Il buono, il brutto, il cattivo, l’ipocrita e il cialtrone

12 lunedì Gen 2015

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Ciarlare a vanvera, Un mondo di cialtroni

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Anders Behring Breivik, Assange, Cameron, Charlie Hebdo, democrazia, Edward Snowden, fondamentalismo, fondamentalismo islamico, Francia, Gasparri, Hollande, ipocrisia, islamofobia, Je suis Charlie, JeSuisCharlie, jihad, Julian Assange, libertà, libertà di stampa, Obama, Parigi, razzismo, Salvini, Santanchè, satira, Snowden, stampa, terrorismo, Ucraina, violenza

Alcune considerazioni sparse sugli eventi degli ultimi giorni, che, per chi ha vissuto con la testa sotto la sabbia, tanta sabbia, hanno incluso una sparatoria nella redazione di un giornale francese, alcuni commenti degni del Miniver orwelliano, qualche bomba carta contro alcune moschee, due battaglie con ostaggi e negoziazioni tipo film americano ed una imponente manifestazione nel centro di Parigi con oligarchi, dittatori, golpisti e compagnia cantante a celebrare la bellezza della libertà d’opinione finché resta fuori dal proprio orticello.

1. In relazione agli eventi di Charlie Hebdo, si continua a parlare di atti terroristici. Io non la vedo così: i fondamentalisti hanno identificato un nemico, sono entrati, hanno fatto fuoco e sono venuti via. È stato un blitz, quindi possiamo parlare di atto di guerra o di attentato di stampo mafioso, ma il terrorismo fondamentalista finora è sempre stato una cosa diversa. Forse le BR, on’organizzazione terrorista ma soprattutto eversiva, avevano un approccio simile.

2. Il giorno dopo, qualche brava persona ha pensato di prendersela con le moschee in Francia: ecco, questo invece somiglia al terrorismo fondamentalista.

3. Due giorni dopo, i reduci dell’attentato sono andati a cercare la morte prendendosela con persone scelte a casaccio. Anche questo ricorda molto più da vicino il terrorismo jihadista.

4. In Italia, gente che non fa altro che polemizzare con la stampa, che chiede ed auspica la chiusura di trasmissioni televisive, ora si erge a paladina della libertà di opinione. Daniele Luttazzi e Sabina Guzzanti ricordano ancora qualcosa a qualcuno?

5. Sciacallaggio di prim’ordine per gente come Salvini e Gasparri, che sfruttano la tragedia per fare campagna elettorale contro immigrati e musulmani in genere: poi escono le notizie e si scopre che il poliziotto ucciso era musulmano e che nel minimarket parigino un islamico ha salvato un certo numero di ostaggi chiudendoli nella cella frigorifera. Immagino che la vergogna per certa gente sia impossibile, ma almeno per quelli che li seguono?

6. La Santanchè dice di voler pubblicare in Italia le vignette di Charlie Hebdo. Le pubblicasse tutte, però, incluse quelle sulla Trinità cristiana, sul razzismo della Le Pen e sulle stragi nel Mediterraneo, non solo quelle su Maometto.

7. Ma se sono tutti così favorevoli alla libertà di stampa, cosa ci fa Julian Assange chiuso dentro l’ambasciata londinese dell’Ecuador da due anni e mezzo?

8. “Non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti i terroristi sono islamici”. Come Anders Behring Breivik, per esempio. O come l’IRA, l’ETA, le BR e i NAR.

9. È però vero che, per una serie di ragioni lunga quanto la Transiberiana, che l’islam ha, specialmente nei luoghi di forte scontro tra tribù ed in quelli in guerra, un forte problema di fondamentalismo. Ragione per la quale la stragrande maggioranza delle vittime del fondamentalismo islamico è composta da musulmani, i famosi musulmani moderati che tutti invocano. Di questo è meno importante parlare, però.

10. Giovedì a Roma fiaccolata davanti all’ambasciata francese. Ecco, questa è una cosa che non ho capito: l’attentato è avvenuto a Parigi, ma è stato fatto contro dei privati colpevoli di aver offeso il Corano, non di essere francesi. Confondere dei privati cittadini francesi con le istituzioni francesi è lo stesso errore che fanno i fondamentalisti quando bruciano bandiere danesi perché un giornale danese ha pubblicato vignette su Maometto.

11. Dopo gli attentati è scattata la corsa a chi chiedeva prima ai “musulmani moderati” di condannare gli eventi ed il terrorismo in genere. Che è un po’ come chiedere agli uomini di condannare gli stupratori, o magari ai tifosi di calcio di condannare gli episodi di violenza. Non ricordo intervistatori in tribuna per chiedere ai “tifosi moderati” di Palermo e Catania se condannavano l’omicidio Raciti. Il razzismo si fomenta anche così.

12. In virtù di elevatissimi principi di prudenza e di buon gusto, dopo poche ora iniziano i distinguo basati sul fatto che Charlie Hebdo pubblicava cose un po’ estreme, quindi che sì, gli attentati erano da condannare, ma il giornale aveva esagerato. Niente, non c’è verso: certe persone profondamente democratiche non capiscono proprio che difendere il diritto di esprimersi non significa necessariamente essere d’accordo con quello che viene espresso. Non capiscono nemmeno che questo genere di distinzione è alla base del fondamentalismo e che dicendo certe cose di fatto si dimostrano chiuse ed intolleranti quanto i folli che dicono di combattere.

13. Ieri imponente manifestazione per le strade di Parigi con una quarantina di capi di Stato, tra cui figuri con un curriculum di giornalisti ed oppositori perseguiti ed imprigionati, di paletti alla libertà di espressione e di frottole istituzionali per fini elettorali o in qualche altro modo privati davvero impressionante. Finché non ci si rende conto che certa gente fa parte dello stesso problema del fondamentalismo e non della soluzione, non se ne verrà mai fuori.

14. Brillavano per assenza individui come Obama, Biden e Kerry, quelli che danno la caccia a Assange e Snowden mentre appoggiano i governi di paesi come Israele e Ucraina. Ma non c’è da preoccuparsi. Questi signori non sono meno favorevoli alla libertà di stampa di gente del calibro di Cameron, Poroschenko, Netanyahu o Abu Mazen: sono solo meno ipocriti.

15. Puntuale come le tasse arriva la richiesta dei leader cosiddetti democratici di un maggiore controllo e di una maggiore sorveglianza di massa su Internet. Congratulazioni: avete capito tutto.

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Perché sarebbe giusto dare il Nobel a Lansdale

06 lunedì Ott 2014

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Fingersi esperti di letteratura

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America, americani, Cormac McCarthy, genio, Hap e Leonard, Joe R. Lansdale, La notte del drive-in, Lansdale, letteratura, libri, narrativa, narrativa di genere, Nobel, Nobel per la letteratura, noir, Philip Roth, premio Nobel, pulp, realismo, romanzi, scrittura, Stati Uniti, violenza

Gli scrittori americani che vengono più o meno periodicamente accostati al premio Nobel per la letteratura sono due: Philip Roth e, meno frequentemente, Cormac McCarthy. Su queste pagine ho già provveduto a demolire entrambi ma, al di là della mia opinione sulle opere, mi rimane il dubbio su come mai queste candidature siano così forti e quasi spontanee, al punto che ogni anno Roth finisce per essere quello che non ha vinto.

Io ho una teoria. Roth e McCharthy si contraddistinguono per una prosa tronfia e didascalica, in cui si propongono con una tale arroganza come depositari di qualche profonda e terribile verità, da infondere nella gente la certezza di avere a che fare con chissà quale genio; contemporaneamente gli americani tendono a dare poco credito a chi tiene un profilo basso, preferiscono stare a sentire chi si ritiene un venerato maestro e come tale si comporta. E già qui si intravede un curioso circolo vizioso (o virtuoso, dipende dalla prospettiva). In più McCarthy e Roth si dedicano con costanza e cattiveria a demolire l’America in tutti i suoi aspetti, dall’attualità alla storia, ma ad assolvere gli americani, almeno quelli perbene, e gli ambienti pseudo-intellettuali statunitensi tendono a considerare molto profondo chi li conforta nella loro opinione di vivere impotenti in una società di merda.

Di conseguenza, uno che si pone verso il mondo con modi da cazzone, che non è animato da livore e rancore ciechi ed universali, che non propina predicozzi con tono da cattedratico, che non giudica dall’alto i suoi personaggi già mentre li sta descrivendo, che delinea lo sfascio della società americana a partire dalle persone comuni, dalla loro natura bieca ed egoista, con un atteggiamento tuttavia bonario e comprensivo perché è consapevole che gli esseri umani sono quello che sono, che non divide il mondo in buoni e cattivi semplicemente perché sa che tutti prima o poi faranno qualcosa di stupido o dannoso e non per pura cattiveria ma per paura o per un malinteso o patologico senso del bene, non ha speranze. Detto in altre parole, uno come Joe R. Lansdale non ha speranze. Non di vincere il Nobel, solo di essere preso sul serio dagli americani.

Un adagio che trovo particolarmente efficace recita: “tu non sei bloccato nel traffico, tu sei il traffico”. È esattamente quello che si prova, e che si capisce, quando si legge Lansdale descrivere lo sfascio della società del sud degli Stati Uniti, composta da quelli che non ce l’hanno fatta, quelli che non hanno retto e quelli che non hanno mai avuto una possibilità. Una società fatta di violenza, squallore, desolazione, ignoranza, sporcizia, tossicodipendenza, rassegnazione, disperazione e criminalità. E se quello che vedi non ti piace, è ora che inizi a guardare nello specchio, perché non vivi in un mondo orribile, sei tu il mondo orribile.

A volte mi sento uno schifo io mentre leggo certe cose, immagino come debba stare un americano dotato di spirito critico.

Il tutto accompagnato da un umorismo pazzesco ed irresistibile, che si sfoga soprattutto in una incredibile capacità di riprodurre le dinamiche dei dialoghi quotidiani, e da un approccio splatter con vena pulp, che propone un realismo estremo, in cui una sparatoria non è come su un film in cui il buono preme il grilletto e uccide il cattivo al primo sparo a 50 metri, ma in cui partono selve di colpi e la gente si manca a 5 metri di distanza, mirando a casaccio, con la mano che trema, per la tensione e magari per l’eccesso di cocaina in corpo. Situazioni portate all’eccesso, in cui la violenza, il sangue, la putrefazione sono aspetti che vengono spiattellati in modo completamente gratuito, eccessivo, e che contemporaneamente danno un senso alle scene, le rendono vive e presenti nella loro assurdità. Qualcosa su cui Lansdale non può essere paragonato a nessuno, perché dopo “La notte del drive-in” sono tutti gli altri che vengono paragonati – sfavorevolmente peraltro – a lui.

Per non essere traumatizzati subito, io consiglio di iniziare con il ciclo di Hap e Leonard – in alcuni libri si ride fino ad avere mal di pancia. E poi di andare oltre, perché Lansdale tenderà anche spesso alla narrativa di genere, ma è un genio vero.

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Da un pulpito placcato in oro

17 domenica Ago 2014

Posted by In Bocca Al Lupo Express in Farneticare di politica ed economia, Un mondo di cialtroni

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Alessandro Di Battista, Berlusconi, cialtroni, Cosa Nostra, Di Battista, Donetsk, emergenza sociale, Gaza, Hamas, Iraq, ISIS, Israele, Libia, M5S, mafia, Movimento 5 stelle, Palestina, politica, riflessioni, società, terrorismo, terroristi, Ucraina, violenza

Ogni tanto, fortunatamente di rado, qualcuno nel mondo dà di matto, esce di casa armato e comincia a sparare. Siccome capita raramente, è ovvio che non si tratti di un’emergenza, per cui succede che talvolta qualche giornale ci faccia il pezzo sensazionalistico, ma per il resto la faccenda è giustamente trattata come residuale e studiata dagli addetti ai lavori.

Poniamo però che la frequenza di questi eccessi si moltiplichi fino a diventare un problema: la rilevanza sociale del fenomeno, la maggiore disponibilità di dati ed il fatto che riguarderebbero un universo complesso e vasto imporrebbero di trattare il tutto diversamente, come un qualcosa da prevenire a livello massiccio invece che reprimendo in casi isolati, se non altro per motivi di pubblica sicurezza. Supponiamo a questo punto che la statistica permetta di collegare il fenomeno con la perdita del lavoro: ovviamente non tutti i disoccupati sono dei potenziali assassini, ma la furia omicida colpisce solo i disoccupati.

Una società ha sostanzialmente tre modi di reagire: uno intelligente, uno virtuoso ed uno stupido. Quello intelligente consiste nel parlare con chi ha dato i numeri, fare ricerche psicologiche e statistiche per determinare le concause più frequenti e cercare di prevenire ulteriori esplosioni, ad esempio fornendo a chi viene licenziato in determinate situazioni un aiuto personale; quello virtuoso consiste nell’agire sulle cause primarie, cercando di rilanciare l’economia e combattendo la disoccupazione, che tra l’altro è un problema anche a prescindere dai folli che sparano; quello stupido consiste nel considerare chiunque perda il lavoro un potenziale assassino, quindi prendere i disoccupati, affibbiare loro l’etichetta di eversori o terroristi e porli sotto sorveglianza costante, o addirittura rinchiuderli.

A giudicare dalle reazioni all’incauto, scentrato e un po’ superficiale intervento di Alessandro Di Battista del M5S sul terrorismo, ed in generale a quello che succede in Ucraina, Israele, Libia e Iraq, l’Italia ha una forte predilezione per la soluzione stupida.

Una volta lessi un aneddoto: in Sicilia, una signora rimasta vedova si rivolse dappertutto per ottenere un lavoro che permettesse la sussistenza a lei ed alla sua famiglia; di fronte all’infinito numero di rifiuti subiti per via istituzionale, fu costretta a chiedere aiuto a Cosa Nostra, che si dimostrò in grado di risolvere il problema. Il mafioso pentito che raccontava questa storia commentava dicendo che, finché la mafia sarà in grado di farsi carico della povera gente meglio dello Stato italiano, non ci sarà speranza di sconfiggerla.

Trasferiamo tutto questo a Donetsk, a Gaza (ma anche a Tel Aviv) e nelle campagne libiche ed irachene, dove l’autorità costituita quando va bene non è in grado di impedire che qualcuno spari sulla folla, quando va male è lei stessa a farlo. Il quei luoghi il problema non è dare una vita dignitosa ai propri figli, è proprio impedire che muoiano sotto le bombe, sganciate a volte dal governo in carica o dai suoi alleati, il problema è che rivolgersi ai modi spicci di Hamas, delle milizie filorusse, dell’ISIS e dei fondamentalisti islamici per avere una protezione che chi di dovere non è interessato a garantire diventa una scelta naturale e comprensibile. Possiamo chiamare queste persone terroristi e rifiutarci di parlare con loro, e possiamo farlo da dentro uno Stato le cui istituzioni nel 1993, come appare oramai storicamente accertato, trattarono la fine degli attentati mafiosi non con la povera gente che si rivolgeva alla mafia per mancanza di alternative, ma direttamente con Bernardo Provenzano; possiamo accusare queste persone di essere manipolate o in malafede e sottolineare come sia noto che Hamas usa civili come scudo e nasconde i missili dove vive la gente, da dentro uno Stato, peraltro non in guerra, in cui milioni di persone credono che Berlusconi sia un sant’uomo perseguitato dalla magistratura comunista; ma francamente non sono sicuro di dove tutto questo vada a parare.

L’errore di Di Battista, assurdo a maggior ragione per uno che conosce bene la malafede nel riportare le dichiarazioni altrui, e che dovrebbe dunque evitare di esporsi a fraintendimenti (o anche ad interpretazioni corrette ma cialtrone, se le cose sono scritte in modo approssimativo) atti a radicalizzare le posizioni, è quello di aver utilizzato la terminologia generica di terrorismo, senza fare distinzioni, mettendo nello stesso pentolone chi si fa saltare in aria dopo che la sorella è stata uccisa in un bombardamento, chi si affida a dei miliziani dopo aver visto morire il proprio figlio di 7 anni mentre era a scuola ed organizzazioni ricche, potenti e criminali come Hamas o l’ISIS (in particolare quest’ultimo, gonfio di soldi, dotato di armi americane di ultima generazione e composto da gente di etnia sunnita), che, come la mafia in Italia, si sa benissimo cosa vogliono – per lo più soldi, potere e controllo del territorio – e che cosa sono disposti a fare per ottenerlo – a livello macro, non il bene della gente.

Io non so se si sia trattato di ignoranza, approssimazione o ingenuità, ma è stato un errore grave, soprattutto se la gravità di un errore si misura in termini delle sue conseguenze. Di Battista ha scritto che stava cercando di capire. La prossima volta si renda conto che quello di parlamentare non è un seggio dal quale si può pensare ad alta voce, faccia qualche sforzo in più e porti avanti un discorso giusto ed assolutamente condivisibile in modo strutturato e responsabile.

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