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Holly MirandaIeri sera uno dei principali canali di segnalazione musicale che seguo, la radio indipendente di Seattle KEXP, consigliava via twitter come “song of the day” (usando, visto il personaggio, la dicitura “song of the gay”), “Mark my words” di tale Holly Miranda, a me fino ad allora del tutto ignota, cantante solista e leader dell’altrettanto sconosciuto gruppo indie-rock The Jealous Girlfriends. Frugando su internet alla ricerca di informazioni mentre ascoltavo qualche brano che sembrava interessante, ho scoperto che Holly Miranda è una lesbica dichiarata, che ritiene di non avere nessun problema con la sua identità sessuale, ma che non vuole pubblicizzarla, perché non desidera che la gente decida di ascoltarla o meno solo per questo.

La trovo un’opinione estremamente intelligente, per ragioni molto più profonde dell’apparente stanca dicotomia tra omofili ed omofobi, tra l’appartenenza ad una comunità minoritaria ed una parte rilevante del resto del mondo che la rifiuta.

Il punto è che esibirsi su un palco, a maggior ragione in ambito pop-rock, ha molto, moltissimo a che fare con l’erotismo. Mi piacerebbe molto sapere quante femminucce negli ultimi 50 anni hanno perso la testa per figuri come John Lennon, Mick Jagger, Roger Daltrey, David Bowie, Sting, Jon Bon Jovi, Michael Stipe, Damon Albarn, Matthew Bellamy e quanti maschietti per ninfe come Grace Slick, Janis Joplin, Stevie Nicks, Siouxsie Sioux, PJ Harvey, Ani Difranco, Shirley Manson, Amanda Palmer, KatieJane Garside. Non parlo di cantanti come Ricky Martin o Britney Spears, che sfruttano l’avvenenza per vendere, ma di artisti che vanno su un palco a mettersi a nudo, a coinvolgere e travolgere il pubblico con le loro emozioni, non con una comunicazione asettica e didascalica da lezione accademica: per loro essere desiderati sessualmente dal pubblico è naturale, ovvio, inevitabile, stimolante. L’hanno capito anche pianiste classiche come Yuja Wang, Alice Sara Ott e Katia Buniatishvili, che si presentano in scena munite di freschezza ed abiti talvolta irrituali e riescono a rendere erotici persino Chopin e Stravinskij.

Se un artista, ed in particolar modo un musicista, non è in grado di accettare la sessualizzazione della propria persona, allora ha sbagliato mestiere.

Da questo punto di vista fanno quasi tristezza le lamentele di alcune giovani cantanti come Lauren Mayberry dei Chvrches e Grimes. Non quelle legate a sessismo, discriminazioni e stalking, comportamenti orribili e peraltro perseguibili: quelle che suggeriscono il trovare inammissibile l’idea di scatenare certe reazioni, certi istinti nel loro pubblico, il sentirsi molestate se qualcuno esterna, magari in modo un po’ squallido, che salterebbe loro addosso. Sono anche molto carine, ma il punto non è questo. Sono musiciste che si mettono su un palco con le luci addosso per esibirsi ed esprimersi: ci sarà sempre qualcuno che immaginerà di scoparle mentre le ascolta e le guarda, e ci sarà sempre qualcuno che esternerà questa fantasia, con un gergo più o meno esplicito. Non è possibile fare concerti e considerare degradante solleticare l’immaginario sessuale degli spettatori. Ma veramente uno come David Bowie ed una come KatieJane Garside troverebbero umiliante… ma per favore!

Per questo trovo molto intelligenti le esternazioni di Holly Miranda: che lei intendesse sottintenderlo o meno, suggerisce la preghiera di non trasformare in una questione socio-politica qualcosa che non lo è – si tratta di espressione. È un modo, magari non del tutto volontario, di dire “sentitevi liberi di sognarmi, o di non farlo, ma non perché sono lesbica”. Lei è quello che è, e come tale scrive, suona, canta e comunica, ma ciò che arriva al singolo ascoltatore dipende dall’ascoltatore, non solo da lei, ed è questo che conta. Se ne riceve uno stimolo erotico non deve assecondarlo o rifiutarlo sulla base dei gusti sessuaii dell’artista. Lauren Mayberry non sembra averlo capito molto bene, Holly Miranda sì.

Adesso mettiamoci anche ad ascoltarla, però.