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Ieri sera, 7 maggio, Rai 5 ha trasmesso in diretta dall’Auditorium Parco della Musica di Roma l’ultima replica del concerto della stagione sinfonica di Santa Cecilia, tenutosi nella sala omonima a cavallo dello scorso week-end. Programma: due pezzi di un musicista cecoslovacco del ‘900, Bohuslav Martinu, il Gloria di Francis Poulenc e la sinfonia numero 35, nota come “Haffner”, di Wolfgang Amadeus Mozart. Una scaletta che, a priori, non mi entusiasmava.

Non conoscevo Martinu, quindi ignoravo completamente sia il suo “Memorial per Lidice” – scritto negli Stati Uniti nel 1943 per commemorare la devastazione ad opera dei nazisti di una cittadina nei dintorni di Praga – sia il suo concerto per due pianoforti e orchestra, mentre avevo sentito nominare le due interpreti, le sorelle Labèque; il Gloria di Poulenc, a maggior ragione vista la presenza del soprano solista, la voce femminile che meno mi stuzzica, non è una discriminante per decidere di andare a vedere uno spettacolo; infine non sono un ammiratore fervente di Mozart: non ho ancora trovato un suo pezzo che non mi piaccia, ma, eccettuati forse alcuni brani del Requiem, non ho nemmeno ancora ascoltato qualcosa che mi faccia impazzire.

È stato un concerto sensazionale.

Il “Memorial per Lidice” si è rivelato bellissimo: un adagio orchestrale cupo e drammatico, di elevatissima intensità emotiva, la cui sonorità, resa magnificamente dall’ottimo sir Antonio Pappano, evoca davvero il senso di oppressione e di dilaniante impotenza dato dall’assistere ad una tragedia senza poter far nulla per impedirla o riscattarla; un dolore che sfocia tuttavia in un finale in cui si intravede qualche barlume di speranza.

Il concerto per due pianoforti è stato in assoluto la sorpresa più grande. Apro una parentesi: non sono in generale un estimatore dei concerti per piano. Trovo che uno strumento con una personalità così debordante in termini di varietà sonora ed espressività e con la sua tendenza a dominare la scena sia difficilmente conciliabile con quello che, a mio avviso, dovrebbe essere il ruolo di un’orchestra sinfonica. Sono inoltre tendenzialmente infastidito dall’usuale inserimento di sezioni dedicate all’ostentazione virtuosistica del solista, che spesso constano di tempeste di note prive di una vera utilità funzionale e si risolvono in tratti non brevi di tracollo di pathos.

Ecco, il concerto eseguito ieri non presenta nessuno di questi due problemi. Le interazioni tra i solisti e l’orchestra, o tra i solisti ed i singoli elementi orchestrali, sono calibrate con una misura che davvero impedisce qualunque sensazione di mutua prevaricazione. Inoltre i pur molti passaggi dedicati alla perizia esecutiva sono perfettamente integrati nella struttura dell’opera, e non comportano nemmeno un istante di stacco nella splendida, giocosa e frizzante catena espressiva. La durata limitata del concerto – poco più di 20 minuti in totale – lo rende un lavoro di grande concentrazione emotiva, serrato e brillante.

Le interpreti soliste, le sorelle Labèque, sono due signore di età indefinita – uno potrebbe dire 300 anni l’una – che si presentano con capelli neri e lunghi, abiti neri e carnagione chiara; una ha gli occhi celesti, l’altra lo sguardo spiritato. Sembrano una via di mezzo tra una strega da immaginario fiabesco e Morticia Addams: due figure davvero singolari. Per quello che mi riguarda, impreziosiscono la già straordinaria esibizione con un pezzo (“le cygne”, suonato assieme al primo violoncello dell’orchestra) del “Carnevale degli Animali” di Saint-Saëns, una mia passione personale.

Dopo l’intervallo lo spettacolo prosegue col Gloria di Poulenc, ironico e scanzonato, in cui il giovane soprano Sally Matthews, grosso come un armadio a due ante, fa complessivamente una gran bella figura, riuscendo ad evitare di contendere a suon di fuochi artificiali il ruolo predominante sulla scena ad orchestra e coro. Chiude la sinfonia numero 35 di Mozart: nonostante sia molto breve, si tratta di un’opera di piglio piuttosto moderno, quasi post-beethoveniano, in cui spiccano un primo movimento stentoreo e non troppo veloce ed uno scherzo in cui il ritmo ternario è tutt’altro che immediato. Non l’avevo mai sentita, ma mi lascia una sensazione complessivamente col resto del repertorio del genio di Salisburgo: bella, ma non un faro imprescindibile. Chiude comunque molto degnamente la serata.

Concerto eccezionale. Davvero un peccato averlo visto solo in televisione (anche se con un buon audio). Ma fa piacere che la Rai proponga in prima serata certe cose.